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I Prati di Foce
si raccoglievano al di sotto di piccole montagne, isolandosi a Sud con maggiori
baluardi. Una lunga cresta si poneva come spartiacque con la valle del rio
Forcella, dove i
paesi di Menzano, Santi e Casaline caratterizzavano una delle
ultime estensioni della terra d’Abruzzo, prima del reatino e della Salaria. Il
valico di accesso che metteva in comunicazione i due
versanti della montagna
ormai era anonimo e segnato a malapena da un sentiero, così come erano anonimi
i resti dell’antico Castello di Cesura. La prima volta che lo vidi era d’inverno,
e la
neve aveva coperto di molto il perimetro basso delle sua mura, adesso si
lasciava scoprire sotto l’aria fredda di novembre, scaldata a malapena dagli
ultimi colori dell’autunno. Alcune
stanze mantenevano ancora la loro funzione
di dimora, accogliendo piante ed arbusti tra le poche mura rimaste, mentre la
memoria della pietra tornava indietro di quasi mille anni,
quando da quella
posizione dominante vi era il controllo sulle vallate sottostanti. Il Castello
di Cesura venne edificato nel XII secolo a beneficio dei coloni dei terreni spettanti
alla Badia di San
Quirico e Giulitta,
segnando il confine tra l’antico contado Reatino e quello Amiternino. Anton
Ludovico Antinori testificava il contributo di Cesura alla fondazione della
città dell’Aquila, nel
1254, e la sua capitolazione nel 1349 per mano del conte Lalle Camponesco Aquilano; venne completamente abbandonato, dopo di che i
secoli continuarono a livellare inesorabilmente le
sua mura. Riprendevamo il
sentiero che metteva in comunicazione gli antichi confini, immettendoci
nuovamente nei Prati di Foce. Una carrareccia costeggiava a Nord la vallata,
passando davanti ad un vecchio casolare in rovina. Tale struttura aveva da
sempre attirato la mia attenzione, ma non era mai stata accessibile a causa del
fitto groviglio di rovi che la rendeva
impenetrabile. Il freddo aveva messo a
dimora le piante e finalmente senza il fogliame riuscivamo ad individuarne l’accesso:
al suo interno alcuni ingranaggi di archeologia industriale
avrebbero potuto
svelarne la funzione, ma avevo paura ad avvicinarmi a causa del soffitto
gravemente pericolante.

L’autunno era
ancora in ritardo nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise,
iniziava a colorare i faggi che
costeggiavano il torrente Fondillo, mentre erano
le foglie secche dello scorso anno a scaldare la terra. Un ripido sentiero
immerso
nel bosco ne risaliva la dorsale attraversando strette svolte, ogni
tanto si apriva lasciando allo sguardo l’indagine di luoghi remoti e
selvaggi. Due
piccole cime ne caratterizzavano la parte sommitale, dominando a 360° un’ampissima
visuale, tra la
massiccia presenza del Monte Marsicano ed i severi profili delle
montagne al di sopra del Passo del Cavuto. Barrea e Villetta
Barrea custodivano
il loro lago in parte inaridito, che oltre al riflesso del cielo mostrava anche
la terra delle sue sponde. Un
gruppo di camosci giaceva a mezza costa indisturbato
dalla nostra presenza, li guardavamo mangiare all’innesco del bosco, al di
sopra dei ripidi pendii che piombavano a valle. Tutto quel territorio era un’area
sacra consacrata a Cerere e al culto della
Luna, dove i Volsci si stabilirono
nel III secolo a.C., tra il "Molino di Opi", Barrea e l'imbocco della
Val Fondillo. Lì una necropoli di
grandissima importanza era venuta alla luce
grazie a degli scavi, rivelando più di cento tombe, corredi di armi ed oggetti
ornamentali.
