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Salivamo il Vallone Schiena Cavallo immersi nella bellezza
suggestiva del bosco d’autunno, dove la temperatura del colore lasciava vibrare
gli
spettri cromatici del rosso, e le profondità si avvolgevano di quel tepore
introspettivo di una natura pronta al raccoglimento dell’anima prima
del riposo
invernale. Era il momento giusto per ammirare quella tonalità così
coinvolgente, e percepire quel sentimento così soggettivo e
universale. Usciti dal bosco i pendii si vestivano
soltanto di erba rasa, si spogliavano di ogni cosa e lasciavano libero il punto
di vista sulle altre
montagne, colorate anch’esse, bellissime su tutte le
visuali, anche molto lontane. Il filo di cresta di Schiena di Cavallo rendeva l’idea
del
suo nome, seguivamo la sua dorsale sopra il fitto dei boschi, sul suo
crinale acuminato e immerso in una natura solitaria e incontaminata,
dove vecchi
sentieri ne seguivano a tratti il filo prima di immettersi dalla Sella di
Lampazzo al Vallone Cavuto. Da lì di nuovo la bellezza dei
colori caldi dell’autunno,
impreziositi dal verde intenso dei muschi, tra i faggi secolari di un bosco
vetusto custode di memorie lontane, e
magnifici aceri dalle foglie di giallo
intenso, il rosa dei primi ciclamini autunnali, e la bellezza della
consapevolezza di quanta grandiosa
meraviglia vi sia in natura così
disponibile a farsi guardare.
Secondo la Schedatura analitica delle opere fortificate
abruzzesi a cura di Giuseppe Chiarizia in “Abruzzo dei Castelli”, il Castello
Mancino risultava essere un rudere di proprietà incerta con primo impianto
risalente al XI secolo e il cui aspetto, prevalentemente dovuto
alle
trasformazioni, attribuito al XVI secolo. Probabili leggende facevano risalire
la sua fondazione per opera delle popolazioni peligne,
distaccatesi dal ceppo
originario con una Primavera Sacra. Quei vecchi ruderi, così presenti e sovrastanti
i Colli dell’Oro, si avvalevano della
visuale dominante non soltanto sulle
valli attraversate dal Fiume Sangro, ma anche a controllo dei passaggi tra le altre
montagne
intorno, culmini di bellezza. Sotto di noi l’abitato di Pescasseroli
mostrava i suoi tetti raccolti, stretti come una visione intima, mentre
una pioggia
leggera ci accompagnava lungo il nostro cammino. In prossimità di Monte
Forcella una piccola nicchia ricavata nella roccia
custodiva una sconosciuta area
sacra con all’interno una Madonnina bianca omaggiata dalle candele e da alcuni ex voto dei fedeli. La natura
stessa dei
boschi era essa stessa un’area divina entro cui inoltrarsi, perdersi e
ritrovarsi, tra le vibrazioni del rosso d’autunno, che con il
suo spettro visibile
scaldava di suggestione la luce filtrata tra i rami.