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Alle Porte del Paradiso sostavano i ricordi, il tempo
passava ma rimaneva la consapevolezza che anche lo scorrere di un’intera
esistenza non poteva comprendere quella eternità. Sarebbero passati
i giorni, i
mesi, gli anni eppure una vita intera non avrebbe trovato differenze, tutto si
sarebbe presentato come disegnavano i ricordi, senza accrescimenti e sviluppi,
ma vivo d’eterno. Faceva riflettere su
quanto fosse breve la vita umana. La disposizione
delle concrezioni marcava un fitto limite che divideva lo spazio, mentre tutto
intorno il buio colmava i silenzi della terra.
Un ripido sentiero
conduceva ai ruderi di Mirandella, l’antica Ascrea si vestiva di rovi ed
arbusti, e mirava ovunque dal suo strategico punto di
vista. A Sud il Fosso
dell’Obito sprofondava al cospetto di Monte Cervia, antiche leggende narravano della
disfatta di genti Saracene che qui
vennero uccise dai montanari, disposti a
tutto pur di difendere le proprie terre. “Mentre
gli armati passavano laggiù tranquilli e sicuri, i
montanari cominciarono a
rotolare enormi massi che schiacciarono la più gran parte di quegli uomini”.
Mirandella svettava scoscesa sulla
Valle del Turano, e ne manteneva ancora il
controllo visivo, celato solo un poco dagli alberi che ormai dimoravano
solitari quelle mura. A Nord
il Monte Navegna apriva la vista anche sul Lago
del Salto, ponendosi a capo tra la bellezza di due magnifici specchi d’acqua.
Le nuvole si
riflettevano sulla superficie dei laghi, amplificando il senso del
cielo, mentre il penisolotto di Monte Antuni rinviava sull’acqua la bellezza
speculare del Palazzo del Drago. Un sottile istmo collegava a quella piccola
montagna isolata, il nuovo castello sorgeva sui resti bombardati
del 1944, ma
parte delle antiche mura erano ancora visibili completate dall’edera. Dalla sommità
di Monte Antuni, Umberto ci descriveva le
sue terre con occhi segnati d’amore e
d’appartenenza, lasciandoci immergere in quella bellezza che ovunque mirava
luoghi da scoprire.

L’antica
mulattiera di Corvara si perdeva tra i rovi e i residui di neve, la via per la
montagna scopriva mano a mano la geometria di prati
coltivati, mentre un cielo
nuvoloso disordinava ogni rigore. Attraverso un ripido canalino raggiungevamo la
cima di Monte La Queglia, dove lo
sguardo raggiungeva il mare scivolando sui morbidi
pendii delle colline sottostanti. Davanti a noi la Majella innevata teneva fede
all’inverno, la
tanta neve accumulata si era sciolta altrove a causa dei venti
caldi, ma lì permaneva ancora. Il filo di cresta della montagna scendeva e
saliva sul
Pizzo della Croce, trovando in un suo avvallamento un’importante
area sacra: nei pressi del Laghetto del Morrone vi erano i resti di un antico
Santuario
dove i Popoli Italici avevano prestato giuramento contro Roma. Lì dove erano
stati rinvenuti un migliaio di oggetti votivi in
terracotta, frammenti di
epigrafe e una statua di Giove, vi erano soltanto i rovi ad avvolgere i
basamenti degli antichi templi.
Grazie a Vincenza Bizzoni, Accompagnatore di Media Montagna, e a Guido Palmerini, archeologo, per averci indicato ed illustrato questo interessante percorso.