skip to main |
skip to sidebar
Verso Bormio, lo sguardo si accostava alle pareti strapiombanti che si vedevano dalla strada, quelle rigide composizioni verticali
si inabissavano a valle in una vertigine incredibile, mostrando una roccia vecchia e stratificata, aspra, addolcita solamente dal colore
biondo dei larici, che con la loro delicatezza ne riequilibravano una percezione armoniosa. L’esposizione a Sud teneva calda la
pietra al sole conferendogli l’intensità della colorazione autunnale, l’inverno invece si trovava altrove, nel versante a Nord in
direzione di Trafoi. Come erano differenti questi due versanti, l’unica cosa che li accomunava era tuttavia una bellezza austera
fatta di aria sottile, pronta a far correre lo sguardo fino in lontananza. La sorprendente visibilità mi colpiva molto, si
riusciva a tenere il conto di cime lontanissime, scandite perfettamente da sagome esemplari. Andavamo in direzione di Livigno.
Andavamo a prendere l’inverno in anticipo, oltre 3400 metri di quota sul Ghiacciaio dello Stelvio. Le Alpi Retiche erano assolutamente maestose e severe, così impervie ed elevate,
aumentavano di dimensione mano a mano che ci avvicinavamo. La neve sommitale mi scaldava il cuore al pensiero dell’inverno passato, pensavo al mio caro Appennino, e ai miei ricordi
bellissimi fatti di neve. Mi mancava tutta quella calma fatta di silenzio, dove si sentiva appena il crepitio della neve al contatto con la pelle, mentre cadeva a grandi fiocchi lungo un’isolata
stradina di montagna. La salita da Trafoi serpeggiava lungo la costa in una mimesi straordinaria, sgomitolandosi nell’impressione di una contenuta muraglia cinese. A monte i
crepacci dei ghiacciai pensili ricordavano la superiorità indiscussa di Madre Natura, i loro tagli profondi e vecchi esigevano l’ovvio rispetto dedicato ad un’entità superiore. Eravamo arrivati durante
l’ora del tramonto, saremo rimasti lì qualche giorno a sciare, e mentre scaricavamo i bagagli vedevamo il cielo caricarsi in calde tonalità marmoree venate dalle nuvole. Il Passo dello Stelvio, a
2758 metri di altitudine, manteneva la sua aria pulita e sottile, con il beneficio di una visibilità assolutamente perfetta. Mi toccava la malinconia al pensiero che a breve avrebbero chiuso il Passo per
l’inverno lasciando gli alberghi abbandonati, e a come quel luogo antropizzato ritornasse al suo legittimo silenzio.
L’acqua di una delle fontane si fletteva al labile suono di un piccolo getto d’acqua, mentre numerose ninfee ne ricoprivano la superficie, stringendosi tra loro e lasciando intravedere soloalcuni specchi. Da lì si contemplavano i riflessi dell’ippocastano, che dall’alto muoveva dolcemente le sue foglie al vento, mentre, dal profondo della vasca, le silenziose presenze dei pesci rossi
apparivano e scomparivano, come pensieri distratti sussurrati dall’inconscio. Quelle architetture maestose si elevavano lì da molti secoli, mantenendo l’umore di un’antichità integra e
onnipresente. Il rigore delle forme dentro la chiesa si lasciava modellare dalla luce filtrata in trasparenza: quei vetri di pietra sottile erano una incredibile metafora di spiritualità. Eravamo lì
per acquistare la Tintura Imperiale, un liquore antichissimo della metà del Settecento fabbricato dai Monaci Cistercensi di Casamari, e descritto da Gabriele D’Annunzio come una specie di opale
paradisiaca. Qui il sito web dell’Abbazia con tutte le informazioni possibili: http://www.abbaziadicasamari.it/