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Tra la grotta e la miniera correva il pensiero di un passato
lontano, sofferto e vissuto, dove la memoria si vestiva della corrosione della
ruggine, il legno si sfaldava ed ogni cosa dava l’idea del duro lavoro dei
minatori. Venivamo accompagnati in un luogo che dall’anonimato delle
gallerie
improvvisamente si particolareggiava divenendo di grande bellezza, tra meandri
concrezionati animati dalle nostre luci, in
equilibrio tra passaggi sospesi e morfologie
complesse. La delicatezza dell’ambiente lo rendeva un luogo da preservare.
Raggiungevamo Ischia accompagnati dal volo dei gabbiani che
scortavano le imbarcazioni sfruttando le scie nel vento. La più grande
delle
isole Flegree ci accoglieva con le sue acque termali, la sua bellezza, la sua
calma dovuta ad una insolita poca affluenza. La piccola baia di
Sorgeto si
schiudeva a mezzaluna tra rocciose pareti verticali, la sua acqua limpida si
caratterizzava delle sorgenti calde che scaturivano
direttamente nel mare,
dando ai bagnanti il benessere del caldo e del freddo percepiti assieme; un
bivacco ricavato tra le rocce dava dimora
ad un isolano che cucinava sfruttando
il calore di una polla sorgiva, usanza tramandata tra gli abitanti da tempi
lontani che rendeva ancor
più particolare la percezione del posto. Percorrevamo
i vicoli colorati di Sant’Angelo, impreziositi di maioliche e fioriture di
capperi, l’antico
villaggio di pescatori si rinnovava al turismo mentre il
porticciolo manteneva inalterata la sua funzione nella quiete delle acque. I
Giardini la Mortella raccontavano una storia d’amore e di meraviglia, miriadi di
fiori si lasciavano indagare lungo un percorso che mano a
mano diveniva anche
interiore, tra note musicali, gorgoglii d’acqua e canti di uccelli. Ibant obscuri sub sola nocte per umbram i
versi
dell’Eneide di Virgilio rammentavano allo spettatore di cogliere quel
percorso, di sprofondare in sé stessi come fanno le radici nel buio, e di
ascoltarsi. Ne rimanevo incantata. Portavo con me il ricordo delle bianche mura
della Madonna del Soccorso, della maestosità del
Castello Aragonese, ma soprattutto
un sentimento di quiete dinanzi alla vastità del mare.
La bellezza di Laturo era nella sua collocazione isolata
immersa in una natura rigogliosa e selvaggia, non vi erano strade carrabili ma
soltanto
sentieri volti a raggiungerlo. Il piccolo abitato si schiudeva ai
nostri occhi come un fiore prezioso nel mese di giugno, ne scoprivamo a
piccoli
passi i vicoli e le vecchie case, ruderi di antiche arenarie lavorate in
passato dalla mano dell’uomo. Gli ultimi abitanti l’abbandonarono
alla fine degli
anni 70, da allora un grande silenzio fino al 2012, anno in cui prendeva vita l’associazione
Amici di Laturo per la sua
salvaguardia. Il verde rigoglioso della vegetazione
dominava su tutti i punti di vista, tra edere, clematidi e ortiche accostate ai
muri, si
percepiva la memoria del passato, di quella vita sacrificata ed
essenziale, autentica nella sua natura. La parte alta del paese mostrava
una
piccola chiesa ristrutturata, accoglieva il rispetto dei viandanti ed ammirava
lontano la bellezza delle montagne.