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Allo Stazzo delle Mandrucce i prati si vestivano d’erba d’oro.
Il piccolo rifugio si apriva accogliente nel cuore della valle, unica presenza
preziosa di tutta la zona che avevamo raggiunto attraversando Valle Cupa. Partiti
da Jovana ci eravamo inoltrati nei toni ombrosi del bosco
d’autunno, lungo una
comoda carrareccia bordata di noccioli, di faggi, di aceri e di cespugli
spinosi di rosa canina. Antichi muri a secco
ricoperti di muschi e vecchi
alberi vestiti di licheni dimoravano nell’ombra perenne di quella selva infossata
tra Monte Curio e Serra
Pantanella, che una volta oltrepassata dava respiro ad
un ambiente lunare ed essenziale, spoglio di ogni albero, in grado di svelare
soltanto
i dolci avvallamenti della terra. Il piccolo rifugio forniva riparo e
indicazioni, l’oro d’Abruzzo era nei pascoli intorno che mano a mano
procedevano lenti sotto la guida di un pastore e dei suoi cani. Eravamo circondati
della preziosa ricchezza dell’essenziale.
Al di sopra delle Gole di Antrodoco un reticolo di sentieri
metteva in comunicazioni edifici diruti, memorie di un passato lontano ricco
ancora di tanta suggestione. Quella natura così impervia si riprendeva quanto l’uomo
le aveva tolto, lasciando svelare soltanto a tratti le
vecchie mulattiere. Quegli
edifici anonimi erano ormai riparo di arbusti, le loro finestre direttamente scoperchiate
su volte di cielo non
facevano più differenza tra dentro e fuori. Lunghe file
di mura a secco assecondavano sinuosamente il sentiero tra querce e ginestre,
la
bellezza era ovunque tra i sassi, lungo vie parzialmente dimenticate che
lasciavano ancora intendere la loro importanza. Trovavamo l’eremo di
Rottevecchia nascosto da una vegetazione selvaggia, la sua datazione risalente
al XIII secolo ci proiettava in un passato lontano fatto di
isolamento e
privazioni. Una scala in pietra semidismessa dava accesso ad una grande grotta
protetta da un muro, l’area sacra era a ridosso
della montagna, così come un
altro ambiente nelle prossimità, probabilmente costruito in un secondo momento, che custodiva ancora
all’interno l’agio di una dispensa con scaffali in legno inseriti
nella muratura, e all’esterno un piccolo affresco di una Madonna con
Bambino
datato a.D.1583. Fuori un pozzo ancora mantenente l’acqua si riforniva dello stillicidio delle rocce sovrastanti.