Il bosco si
animava del corso d’acqua del Rio Marilongo, quel rumore ci accompagnava a
tratti, a seconda della tangenza con ilsentiero. Quell’enorme abetaglia si
incastonava sulle ripide pareti della montagna, lasciava intravedere appena il
sentiero che salivaattraverso essa, coprendo e scoprendo scorci unici sull’orrido
delle cascate di Pissandro. Una leggera nebbia si incanalavavelocemente verso
l’alto, attraverso aperture di canali scoscesi, stemperando quel verde intenso
incupito dal cielo color piombo.La pioggia ci regalava la presenza delle
salamandre, il loro passaggio silenzioso impreziosiva i colori della terra. Il
RifugioAntelao ci accoglieva nei suoi ultimi giorni di apertura settimanale,
così contornato dalle nuvole lasciava intuire la suaposizione panoramica. Situato a 1796 metri, in località Sella di Pradonego, nel comune di Pieve di
Cadore (Belluno), l’edificio,dopo recenti lavori di ristrutturazione e
ampliamento, costituisce una meraviglioso punto di passaggio tra il Cadore,sul
quale si affaccia come un balcone naturale, e la Val Boite , lungo un percorso
che cinge ad est la montagna (3263 mt) da cuiprende il nome. Di proprietá
del CAI di Treviso, il Rifugio Antelao fu voluto e costruito nel 1948 dalla
scrittrice e alpinista AlmaBevilacqua (più conosciuta con lo pseudonimo di
Giovanna Zangrandi) per valorizzare una zona dolomitica poco nota, da leiapprezzata ed amata durante la lotta partigiana. (Informazioni tratte da qui).
lunedì 24 settembre 2012
Rifugio Antelao da Nebbiù
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martedì 11 settembre 2012
Riflessioni su una spiaggia di Golfo Aranci
L’indomani
saremo partiti per tornare a casa, dopo circa una settimana trascorsa in moto
in Sardegna, ed una precedente tra l'altopiano di Asiago, le montagne della Val
Ridanna ed un appuntamento a Livigno. Le vacanze dello scorso anno avevano come
elemento prevalente quello dei vulcani, quest’anno, invece, a fare da comune
denominatore erano le miniere. Cercavamo digestire il più possibile i giorni a
disposizione, alloggiando in B&B a basso costo per risparmiare, ma
soprattutto senza mai fermarci, cercando sempre di prendere il più possibile
della bellezza dei luoghi che attraversavamo. Siamo di passaggio su questa
terra, in maniera così veloce che purtroppo non potremo mai vederla tutta,
dobbiamo prendere il più possibile dalla sua bellezza,altrimenti quale senso
mai avrebbe la vita? Finalmente ci riposavamo su di una spiaggia di Golfo
Aranci. Non capivo come poteva la maggior parte dei turisti, che sceglieva come
meta la Sardegna, soffermarsi solo sulla Costa Smeralda, anche noi ci siamo
andati, ma siamo subito fuggiti via da quelle spiagge super affollate, dove si
aveva difficoltà anche solo a camminare in rivaal mare. La Costa Smeralda era
senza dubbio bellissima, ma altrettanto meraviglioso era tutto quello che
veniva dopo. Ripensavo a Stintino e all'Asinara, alla bellezza della Costa
Verde, così selvaggia e impreziosita dell'unicità delle Dune di Piscinas.
Ripensavo alla zona aspra delle miniere di Ingurtosu, con i suoi paesi
fantasma. Ripensavo all'interno incontaminato della Sardegna, tra i nuraghe e
le tombe dei giganti, all'odore dell'elicriso, alla maestosità del Gennargentu,
e alle querce da sughero piegate dal Maestrale, un vento così presente in tutta
la terra di Sardegna. Ripensavo agli occhi dei sardi, che più ci inoltravamo
nell’entroterra e più divenivano autentici, ospitali. Questi pochi giorni mi
avevano dato tanto, spero presto di tornare su quest’isola antica.
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lunedì 10 settembre 2012
Verso il massiccio del Gennargentu
L’interno della
Sardegna si lasciava scoprire attraverso strade di asfalto perfetto. Salivamo alla
scoperta del Gennargentu con ildesiderio di portare il saluto alla montagna. I
purceddi sardi stanziavano
tranquillamente bordo strada, nei pressi dellefontane e degli slarghi, erano non
curanti della presenza dell’uomo, tanto da non scappare se avvicinati. Per certi
aspettitrovavo l’interno della Sardegna simile alle mie montagne d’Abruzzo,
con gli stessi ritmi di chi coltiva la terra, con la stessagentilezza di chi
sente per il proprio luogo un amore viscerale che è pronto a condividere. La gentilezza
e l’ospitalità si leggeva neivolti di chiunque, quella terra era davvero
affascinante e si lasciava scoprire con familiarità. Dal rifugio Bruncuspina losguardo scendeva in basso lungo vallate immense, e saliva in alto a guardare le
altre montagne farsi accarezzare dalle nubi.
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domenica 9 settembre 2012
La foresta di Betilli e il Borgo dei Carbonai
I paesi si
sperdevano nell’entroterra sardo, distanziandosi tra loro di molti chilometri. Veniva
sera ed eravamo alla ricerca di un luogo dove poter mangiare e dormire. Un cartello
lungo la strada evidenziava il bivio dove era posto, indicando un albergo a
pochichilometri di distanza: il Borgo
dei Carbonai. Seguivamo l’indicazione incuriositi dal nome, inoltrandoci
nel bosco di Betilli, percorrendo una lunga strada sterrata che non vedeva mai
fine. Il Borgo dei Carbonai appariva immerso nel silenzio,contornato meravigliosamente
da una foresta di lecci e dai colori della sera. Due gatti bianchi ci venivano
incontro alla ricerca di carezze, e subito dopo anche il gestore veniva ad
accoglierci. Eravamo soli in quell’enorme struttura a ridosso della montagna,immersi nella quiete più totale, dove non si sentivano rumori se non quelli
soffusi del riposo del bosco.
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Il complesso "Su Nuraxi" di Barumini
Il Nuraghe di
Barumini si innalzava al di sopra di distese sconfinate, ormai rivestite solo
di erba secca. Quell’enorme complesso era visibile da ogni angolazione e
raccontava agli uomini la possibile suggestione del mito dei giganti. Le enormi
mura di basalto si componevano di pietre ciclopiche e seguivanoil ritornello
di linee circolari. Il nuraghe “Su Nuraxi”,
situato nei pressi del paese Barumini, nella regione collinare miocenica della
Marmilla, ai piedi del tavolato basaltico della giara di Gesturi, il più noto e
maestoso complesso nuragico della Sardegna, è stato dichiarato nel 1997 dall’Unesco
Patrimoniodell’Umanità. La sua affascinante storia iniziò negli anni ’50 quando
l’archeologo e accademico dei Lincei Giovanni Lilliu mise in luce il fortilizio
costituito da una torre principale (A), delimitata da un vasto cortile (B) e da
quattro torri (C,D,E,F) e circondato da un antemurale e da un vasto villaggio
di capanne.L’aspetto originario del complesso era simile a quello di un
castello medievale, con alte, svettanti torri cupolate. A distanza di tempo il “gigante
di pietra” conserva la sua monumentalità e una grande forza evocatrice. La torre
centrale o mastio, di forma troncoconica slanciata, originariamente più alta di
18 metri edattualmente m.14,10, contiene tre camere sovrapposte di cui quella
superiore ridotta al contorno perimetrale di base, costruite con filari di
pietre di basalto, degradanti verso l’alto, messe in opera a secco. Il corpo
centrale e le quattro torri, unite da cortine murarie rettilinee, vennero
rifasciati, per ragionistatiche e di maggiore difesa, con blocchi di pietra e
coronati da mensole in basalto le quali sostenevano un ballatoio piombatoio. Il
rifascio occluse l’originario ingresso meridionale sostituito da un secondo
ingresso sopraelevato, aperto dalla cortina di N.E., che costituisce l’attuale
accesso al monumento. L’ingressooriginario architravato conduceva ad un
ambiente ellissoidale con due garritte a sinistra e a destra, da cui si
accedeva al cortile nel quale è ricavato un pozzo, profondo più di venti metri.
Nel cortile si aprono anche gli ingressi alla torre centrale e alle torri
laterali e alla porta sopraelevata collegata alla scala checonduce alla
sommità del bastione. Le torri sono provviste di due ordini di feritoie con
funzione difensiva o presa di luce. Nella camera di base del mastio dotata di
due grandi nicchie, fu rinvenuto un abbondante strato di sughero, probabilmente
utilizzato come rivestimento del pavimento e delle nicchie. Ilcomplesso
presenta diverse fasi costruttive. Secondo l’archeologo Giovanni Lilliu l’impianto
primitivo del XVI-XV sec. a.C. era costituito dalla torre centrale intorno alla
quale nel XIV-XII sec. a.C. vennero costruite le quattro torri e un primitivo
antemurale. Nel XII sec. a.C. il fortilizio venne rifasciato el’antemurale
arricchito di due torri, raggiungendo il numero di sette. Il soprintendente
archeologo Vincenzo Santoni, sulla base di un recente riesame delle strutture e
dei materiali, ritiene unitaria la costruzione del mastio, del bastione
quadrilobato e del primo antemurale, datandoli tra la fine delXV e l’inizio
del XIII sec. a.C.. Un esteso villaggio di capanne, a prevalente impianto
circolare ma anche rettilineo, si espande a Est e a Sud del fortilizio turrito,
all’esterno e all’interno dell’antemurale. Il villaggio è costituito da più di
200 capanne, edificate in diversi periodi
e utilizzate fino all’età tardo-romana, originariamentecoperte con
travi di legno a raggiera e frasche e conservate in parte dell’elevato in
pietre di basalto e marna. Focolari, giacigli, ceramiche di uso quotidiano,
sistemi di canalizzazione delle acque ed un pozzo testimoniano che in queste si
svolgeva la vita comunitaria. In alcuni ambienti sono stati rinvenuti elementiriferiti ad uso rituale. Fra le capanne si distingue la capanna 135, ubicata
nel settore orientale del villaggio, di impianto sub rettangolare, sotto il cui
pavimento sono stati rinvenuti pozzetti votivi. Un altro ambiente degno di
particolare nota è la capanna 80, dotata di un sedile circolare e di nicchie, denominata
“Saladel Consiglio” sulla base dell’ipotesi che vi si svolgessero riunioni di
carattere civile e religioso da parte degli anziani del villaggio presieduti
dal capo. È stato in essa rinvenuto un modellino litico di nuraghe. Rilevanti
anche gli isolati abitativi del tipo “a corte” pluricellulare, dotati di un
atrio centrale e vani circostanti (11,20,42). (Notizie tratte da un
cartello informativo del luogo).
Tra le miniere della Sardegna, la strada da Piscinas a Ingurtosu a Montevecchio
Ingurtosu, il paese fantasma, nacque a
metà dell’ottocento nella valle omonima che da Punta Tintillonis degrada
dolcemente fino alle dune e al mare di Piscinas. Il suo nome deriva dal sardoguntórzu che significa grifone, avvoltoio, e anche ingordo. Il borgo fu il
centro direzionale delle Miniere di Ingurtosu-Gennamari e fino a metà degli
anni 60 ospitava circa 2000famiglie. Oggi sono rimasti pochi edifici e
affascinanti ruderi incastonati tra la macchia mediterranea padrona della
valle. (Testo tratto dal
sito http://www.miniereingurtosu.it/, dove l’articolocontinua). Tornavamo a
Montevecchio dopo esser stati alle Dune di Piscinas, non conoscevamo questa strada,
alcuni ce la consigliavano per la bellezza, altri no a causa del suo dissesto,
mauna volta imboccata la via l’intenzione era ovviamente quella di percorrerla.
La strada saliva passando per uno sterrato sconnesso, la moto si adattava anche
se non posso nascondere iltimore per il fondo breccioso e i tratti esposti
senza le protezioni. Ma quali protezioni potevano esserci in un luogo così abbandonato?
La bellezza della macchia mediterranea inglobavatutto, cercando di
riappropriarsi di quanto era suo, rimanevano solo gli scheletri di una città
fantasma e il presagio di un passato lontano. Eravamo nel cuore delle miniere
della Sardegna, dove ivecchi ferri arrugginiti costituivano un’importante
archeologia industriale, così suggestiva, così sensibile nell’assenza. Un tempo,
il rumore dei lavori meccanici faceva da tamburo nella valle, ora solo il suono
del vento rimaneva ad accarezzare la sabbia.
Per dormire e
mangiare a Montevecchio consiglio (vivamente) l’Agriturismo Sa Tanca – località
Sa Tanca – Montevecchio – 09031 – Arbus – Provincia del Medio Campidano
(VS) – telefono: 340/9105265 – web:
www.agrisatanca.com
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