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Pioveva nel bosco, tra i faggi scoscesi del Monte Guardia d’Orlando,
dove si nascondeva l’ingresso della meravigliosa Grotta del Secchio.
Uno
stretto e lungo cunicolo dava accesso a meandri concrezionati, dove piccole
sale echeggiavano i riflessi di luce attraverso speleotemi di
calcite. La bellezza era ovunque: i depositi minerari
avevano modellato la roccia nei millenni, svelando in una delle prime sale
magnifiche
stalattiti con addossate eccentriche e tubolari trasparenti. Una
pioggia fittissima di capelli d’angelo rivestiva l’ingresso del ramo finale
superiore, considerato fino a qualche anno fa come il più spettacolare della
grotta. Nuove scoperte avevano individuato una prosecuzione
attraverso un lungo
laminatoio, lo percorrevamo fidandoci delle descrizioni, adattandoci metro dopo
metro ad una durevole serie di
strettoie. Ma quello che si apriva alla fine del
budello ci ripagava poiché di grande bellezza: davanti ai nostri occhi un fiume fossile mostrava
tutto il suo
corso, con la piega delle sue anse bianchissime rivestite da vaschette e concrezioni
coralloidi. Seguivamo il corso del fiume e a
seguito di un successivo
restringimento vi era l’ulteriore meraviglia del lago fossile: un’ampia vasca mostrava col candore il suo massimo
livello di tracimazione, vi erano concrezioni ovunque e di ogni tipo, ogni
centimetro di quella sala mostrava la meraviglia della creazione divina.