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Tra la Cima di
Faiete e la Montagna Grande si definiva un antico sentiero che passava per i
laghi di Passaneta e Barisciano,
conducendo ai ruderi di Santa Maria del Monte.
La bellezza dei modesti contrafforti del Gran Sasso si stemperava sotto i toni
della
neve, rimasta a schiarire soltanto i versanti a Nord delle montagne, come a
voler mostrare il volto di due stagioni
differenti. Le acque si fermavano al
gelo sotto la volta di sottili lastre di ghiaccio, mentre il falasco secco
mostrava soltanto il
ricordo della vita, con tutti i colori che si sbiadivano in
toni opachi e stanchi, come a voler spegnersi del tutto prima di
perdersi sotto
la coltre bianca. I ruderi di Santa Maria del Monte ricomponevano a tratti
l’antico perimetro dell’abbazia
cistercense, molti secoli si frapponevano alla
deposizione di quelle pietre, lasciando alla memoria l’indagine di poche mura
issate a ricordare, con finestre confuse tra quello che era dentro e quello che
era fuori, ormai tutto interno della
Piana di Campo
Imperatore. Salivamo su Monte Archetto con il pensiero rivolto ai
Partigiani che durante la Seconda Guerra Mondiale trovarono
riparo nel suo
rifugio. Il vecchio cemento che teneva le pietre portava incisa la data 1931,
probabile anno della sua edificazione.
I fiori secchi dei cardi si issavano da
terra come stele di memoria, trovando risalto nel contrasto con la neve, prima
di perdersi
lentamente nella nebbia, come a imitare i ricordi che sbiadiscono
dopo settant’anni.

Le campagne di
Aragno erano ricche di tholos, così come quelle dei paesi circostanti; alcuni
erano collassati sotto il proprio peso
divenendo cumuli di macerie, mentre
altri mantenevano ancora la loro forma originaria. Il piccolo colle di Santa
Barbara, davanti
al paese di Aragno, ospitava tra la fitta boscaglia importanti
resti di mura articolate, intese a testimoniare la presenza dell’uomo,
che con
le pietre aveva definito perimetri e creato terrazzamenti. La carta IGM segnalava
un rudere col nome di Vasca di Giuda,
la
curiosità di scoprire di cosa si trattasse ci spingeva ad esplorare il
versante a Sud di quella piccola collina. Nel punto indicato
trovavamo un
riparo in pietra a secco, nello specifico probabilmente una condola, semi-interrata e con volta a botte.
Parte del tetto era
crollato, mentre le mura interne mantenevano ancora l’ordine strutturale, articolato
soltanto da due incavi ed una feritoia.
Al di sopra di
Barisciano si dispiegava il sentiero dei Santarelli,
un antico percorso compiuto dai contadini e dai pastori per immettersi sulle vie
della monticazione. L’antico tratturo
mostrava a malapena la presenza dell’uomo tramite sconnessi muri a secco ed il
vuoto di una nicchia votiva ormai dimenticata. Il carattere austero del Gran
Sasso si ammorbidiva grazie ai suoi
contrafforti collinari ed erbosi, dove
antiche testimonianze italiche narravano da millenni il culto dei popoli
Vestini. Presso la Fonte di Sant’Angelo alcuni archeologi avevano rinvenuto
significative
sepolture e testimonianze epigrafiche, pronte a testimoniare la presenza dei
popoli italici nelle aree più montagnose di Barisciano, così come una piccola
altura anonima,
situata poco più avanti in direzione di Santo Stefano di
Sessanio, lasciava riemergere dalla terra la testimonianza di cinque tombe a
tumulo del VI-V secolo a.C. I popoli italici erano custodi delle
antiche vie
dei tratturi poiché la pastorizia era la loro principale fonte di economia, e per
questo dovevano garantirsi l’accesso agli altopiani superiori dove foraggiare i
pascoli. Una delle maggiori
direttrici della transumanza vestina passava proprio
nella zona adiacente al Monte della Selva, tra Monte Cofanello, Cognanelle
e Colle Force, e proprio in queste
prossimità trovavamo i resti di
un’antica cinta muraria del V – IV secolo a.C.,
che se vista dall’alto lasciava leggere perfettamente il suo perimetro
circolare. Un piccolo gruppo di caprioli era intento a riposare tra i resti di
quell’antica postazione, come a volerne sottolineare ancora la sua funzione efficace
nonostante lo scorrere dei millenni.
Per
approfondimenti: “Ricerche sugli insediamenti Vestini”,
Adriano La Regina, in
«Mem. Acc. Lincei», serie III, vol. XIII, fasc.5, Roma 1968, pp. 360-444; “Centri
fortificati Vestini”, Ezio Mattiocco, Teramo 1986; “Paletnologia e Archeologia
di un
territorio”, Fulvio Giustizia, Roma 1985; “I Vestini e il mistero del pagus di Separa”, Alberto Rapisarda,
L’Aquila 2011; “Terra di Barisciano”, Raffaele Giannangeli, L’Aquila 1974.