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Sopra
Poggio Cancelli si nascondeva un piccolo rilievo detto la Montagna di Carosi,
durante la Seconda Guerra Mondiale questo luogo aveva custodito la vita di
prigionieri Inglesi e Americani portati lì dagli abitanti di Poggio Cancelli
per proteggerli dai rastrellamenti dei Tedeschi. C’era la neve e la dolorosa
ordinanza
di fucilazione del capofamiglia: rischiare di aiutare un prigioniero
evaso comportava la morte certa di un padre. Quei detenuti erano stati condotti lì per
svolgere i lavori forzati per la costruzione della diga, ma, a seguito dell’arresto
di Mussolini, evasero dai campi di concentramento per darsi alla macchia,
approfittando del disorientamento delle sentinelle che non sapevano se la
guerra fosse finita oppure no. I fuggiaschi trovarono l’aiuto degli abitanti
del posto, che spesso li ospitarono nelle loro case, ma quell’inverno la
situazione era talmente delicata da rischiare una terribile rappresaglia, così i
detenuti
evasi vennero nascosti in una casa isolata. Si temeva però un ritorno dei Tedeschi, perché avevano scoperto che a
Poggio c’erano altri prigionieri. Il problema si presentò ancora più difficile
della prima volta! Ma certo, non si potevano scacciare quelli rimasti,
bisognava difenderli ed aiutarli a tutti i costi! Così
fu fatto. Furono radunati
tutti i prigionieri rimasti e, nottetempo, in segreto, accompagnati sulla
montagna di “Carosi” (poco distante da Poggio), ove esisteva una casetta
costruita con muri a secco, cioè senza calce. Lì stettero una quindicina di
giorni; ma non vennero abbandonati! I cittadini di Poggio, a giorni alterni,
si
recavano da loro col cavallo fornito di basto, facendo finta di far legna, a
portare i viveri e dare loro notizie. (Il testo riportato in corsivo è una
citazione tratta dal libro “Campotosto e il suo lago” di Aurelio De Santis, pag. 51). La storia trovava inalterata i suoi
scenari, quei luoghi erano gli stessi di settant’anni fa, perché
integri di una
bellezza autentica. Soltanto la diga ne aveva stravolto la valle con il nuovo
bacino d’acqua, mentre tutti i rilievi circostanti non avevano subito
mutazioni. Sopra i modesti rilievi di Monte Cardito e Monte Coculle un tempo
non molto lontano passavano gli aerei inglesi e americani, per lanciare con il
paracadute indumenti e viveri per i prigionieri. La scena era la stessa di
allora, con i profili del Gran Sasso e della Laga. Le nuvole, obbligate dal
maltempo, ridisegnavano i profili delle montagne, ma la materia rimaneva sempre
quella.

Da
Pietracamela saliva un’antica strada che metteva in comunicazione i due
versanti del Gran Sasso, percorsa un tempo come tragitto più breve per L’Aquila
da pastori e commercianti. La gola del Rio Arno con le sue cascate e i suoi
affacci su Pizzo
d’Intermesoli era in grado di suscitare molta suggestione,
chissà cosa provavano quegli uomini del passato a dover affrontare l’incognita
della montagna, di quel viaggio affidato a Dio e alla fortuna, portando nel
cuore il pensiero delle persone care. Il
fondo del terreno si componeva di
pietre come le originarie strade romane, quei sassi avevano visto il cammino di
infiniti passaggi, ed ora giacevano nel silenzio di un mattino di novembre. Il
rumore del vento spesso si confondeva con quellodelle acque del Rio Arno, il
Foehn ci veniva incontro marcando la sua voce mano a mano che salivamo: lo
sentivamo turbinare su Pizzo d’Intermesoli e Corno Piccolo, vestendo e
spogliando il cielo di nubi con prepotenza ed impazienza. L’ingresso della Val
Maone scopriva alla sua destra la preziosa cavità della Grotta dell’Oro, protetta
da una piccola balaustra di alberi spogli, alcuni cespugli e bacche di ebbio. Un
articolo pubblicato sulla Rivista del CAI di Roma – l’Appennino, n.3/1997 –
parlava delle piccole
grotte sotto il Gran Sasso, di seguito la citazione
riguardo la Grotta dell’Oro. La leggenda della corsa all'Oro. La cavità più stravagante è la Grotta
dell'Oro, sempre in Val Maone, registrata al Catasto abruzzese con il numero
152. Il grande
grottone di ingresso risalta imponente sotto i bastioni rocciosi
e gli orridi canali dell'Intermesoli. La leggenda narra che la presenza di
luccicante pirite, scambiata in un primo tempo per preziosa vena aurifera,
scatenò una vera e propria caccia all'oro
tra gli abruzzesi. In pochi sono pronti
a giurare su questa ricostruzione. Resta però il fatto che ancora oggi, se si
risale la pietraia sino allo sgrottamento e ci si avventura nei cunicoli più
franosi (con la dovuta cautela), si possono trovare con una certa
facilità sia
i resti di antichi picconi che briciole di pirite. (Tratto da “Le Piccole
Grotte sotto il Grande Sasso” di Lorenzo
Grassi – Gruppo Grotte Roma “Niphargus”). Lasciavamo la Grotta dell’Oro per
fare rientro, alle nostre spalle percepivamo il frastuono degli
elementi che
imperversava su Campo Pericoli, da lì a 24 ore si sarebbe scatenato un
temporale talmente violento da causare imponenti frane: tronchi, fango e pietre
avrebbero occupato un tratto dell’unica via di accesso al paese, isolandolo.
La
valle di Neustift si chiudeva nella parte sommitale, lasciando agli occhi la
fitta visione di una coltre nuvolosa. Il
recente fronte
sopraggiunto aveva portato in quota neve e nebbia, mentre nella
vallata sottostante si era stabilizzato l’autunno. Una strada si
insinuava
nella Pinnis Tal, lasciando scoprire la bellezza educata delle campagne
austriache, curate e dall’erba rasa, impreziosite di
tanto in tanto dalle
piccole baite di montagna. Lo sguardo era in grado di cogliere maestosi profili
montuosi, tratteggiati dinanzi
dai ripidi sentieri che ne cercavano l’accesso. Infinite
distese di larici scaldavano la costa delle montagne, trovando un grosso
risalto dall’accostamento con i pini neri e gli abeti rossi. Le nuvole andavano
e venivano, e a volte, per poco, si aprivano dei veri e
propri varchi di luce. Raggiungevamo
la località di Elferbergbahn, godendo dall’alto di un maestoso punto di vista sull’intera
vallata.