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Nel cuore dell’estate rovi e arbusti avevano fagocitato le
vecchie vie, le poche case di Lodonero erano rimaste erette, protese a malapena
verso il cielo con labili equilibri. La bellezza panoramica dell’affaccio sulle
Gole del Velino godeva di un privilegio visivo, purtroppo tutto
era stato
abbandonato, dimenticato, lasciato a sé stesso e alla natura originaria che
tutto riprendeva. Vecchi spaghi serravano porte
riservanti il nulla, le antiche
capanne avevano salutato l’ultimo abitante da circa trenta-quarant’anni. I
fantasmi del passato avevano
già svalicato l’oblio, nessuno più si ricordava,
forse tutte le memorie erano andate già perdute.
S. VITTORINO di Lotonero – Sigillo. Sanctus Victorinus /
Victorino de Loco Nigro, chiesa così attestata nel 1252 e nel 1398. Nell’una
e
nell'altra data era cappella di S. Maria di Sigillo. Esisteva in località detta
in passato Lotoniro-Lotonero (dal colore scuro della
fanchiglia) e oggi
insipidamente Lodonero, ancora visibile sopra un bel colle a destra di chi
percorre la Salaria in direzione di Rieti.
Alla fine del 1700 vi erano «alcune
capanne per animali». Il Latini, che lo chiama «Totonero», nel 1828 vi vide
«alcuni tuguri per
rimessa di pecore e per pastori». Non compare mai tra le
chiese visitate nei ricorrenti giri di visite per la diocesi. Segno che la
chiesa era scomparsa già prima della seconda metà del XVI secolo, che l'inizio
delle visite che si conservano ancora. AVRi.
Visita A8280817, c. 407; Di
Flavio 1989, p. 45 n. 76; Id. […] Informazioni tratte da qui, grazie ad Ivan C.
per la segnalazione informativa.
Ci inoltravamo nella bellezza curata dei giardini, tra
edifici eretti da simbologie, tra codici incomprensibili e manifestazioni di
archetipi.
La grande bocca di Giona ci ingoiava mentre navigavamo nel buio
della nostra esistenza, con una sola luce a farci da faro nell’oscurità:
Amor
vincit omnia.Ho visitato la Scarzuola nel mese di maggio, come regalo per
il mio
compleanno. Ogni cosa preannunciava l’impossibilità della visita, tra
prenotazioni sold-out e tempi assolutamente scaduti, eppure
io la Scarzuola
(davvero non so come) sono riuscita a visitarla. Marco Solari, il nostro
“Caronte” accompagnatore di anime-visitatori
inconsapevoli, mi faceva
riflettere su come “chi dice la verità” susciti timore, anch’io ero esitante
nel fare le mie domande,
nonostante la curiosità sulle svariate simbologie e il
rispetto per il luogo. Inizialmente pensavo a William Shakespeare e al
valore del
buffone di corte in scena come detentore di verità profonde, poi capivo il
timore che suscitava chi non aveva paura
di essere giudicato. Lì ho focalizzato
l’attenzione sull’approccio di chi non vuole essere compiacente: è una libertà
spirituale
che non scende a compromessi.
I ruderi dell’antica Taverna di Collepietro giacevano anonimi
tra i rovi, tutto era stato fagocitato dal tempo, soltanto la memoria
del nome
era rimasta a darne testimonianza. Poche mura, a malapena protese al cielo, un
tempo facevano da riferimento importante
per chi passava sulle vie della
Transumanza, quando tutto era più lento e dilatato, i viaggi si compivano a
piedi e a rischiarare la notte
c’erano soltanto i lumi delle lanterne. Chissà
come doveva apparire la Piana di Navelli a quei pastori nella notte rischiarata
soltanto
dalle stelle, quanto dovevano essere preziosi quei ripari per loro e
le loro greggi, e quanto era apprezzato un pasto caldo ed un
giaciglio al
sicuro. Adesso i tempi erano cambiati, le distanze annullate, le priorità differenti
con esiti scontati sul valore delle cose.
Interessanti informazioni sulla zona sono riportate in
questo articolo che invito a leggere:
Sull’altopiano dei Prati di Foce, nascosti nel
fitto della vegetazione, rimanevano i resti di un’antica chiesa battesimale
dedicata
a San Giuliano. L’individuazione era stata facilitata da una piccola
targa e da alcune segnalazioni temporanee poste recentemente,
plausibilmente
finalizzate alla valorizzazione storico-naturalistica del territorio.
L’attestazione della chiesa risaliva alla metà
del XII secolo, e secondo gli
studi la sua struttura era frutto del reimpiego di blocchi calcarei e di epigrafi
di età romana.
Le piccole mura rimaste in piedi definivano come uno scrigno
l’area sacra, che con la consapevolezza della storia e la bellezza
del bosco
circostante, si svelavano ancor più preziose nella percezione. (Interessanti
informazioni sulla chiesa sono riportate in
questa pagina web). L’altopiano di Foce
si raccoglieva sotto il suo anfiteatro di montagne dai manti boscosi imbruniti
dal
freddo, con l’erba rasa ancora verde dei prati che ingannava la percezione
delle stagioni. Una modesta pioggia scendeva
leggera, bagnando i colori e
rendendoli più brillanti. La magnifica quercia di Basanello – la famosa Cacatora – ci accoglieva
come un riparo,
così imponente e antica, censita e protetta, giungeva a noi come un monumento
da tutelare. Tra strade
e antichi sentieri dimenticati e poi riscoperti
compivamo un anello ridiscendendo nella piana presso il Casale Federici, ancora
in piedi ma cadente e malridotto dal peso degli anni, sempre più vestito di
rovi e destinato all’oblio.