L’isola del Cretaccio alle Tremiti si componeva di argilla esposta alle intemperie, le sue forme sinuose erano state modellate dal mare e dal vento, mani sapienti di una assoluta condizione divina.La sua continua erosione lo destinava ad una certa scomparsa, quella visione era sublime e malinconica, accompagnata dalla dolcezza del suono del mare, così antico e paterno, assoluto eincontrastabile. Le leggende del posto popolavano il Cretaccio della presenza dei fantasmi, raccontavano storie di detenuti decapitati che nelle notti di tempesta ritrovavano la loro voce.L’acqua limpida del mare lasciava trasparire il Profondo Blu, un mondo sconosciuto che più di tutti mi attraeva e allo stesso tempo mi inquietava.
mercoledì 31 agosto 2011
Isola del Cretaccio alle Tremiti
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Le Isole Tremiti
Le Isole Tremiti si perdevano nel mare, protette da tutta quella immensità sconfinata e misteriosa. Mentre avanzavamo di rotta levedevamo comparire all’orizzonte, anticipate dalle nuvole che vi erano sopra. Chissà quali sentimenti contrastanti animavano ilcuore di un isolano, così lontano dal mondo e vicino a se stesso, mosso tra l’odio e l’amore di un desiderio d’evasione e unafortissima appartenenza. Probabilmente sarebbe partito, sicuramente sarebbe tornato. Tra i boschi di San Domino e ireperti di San Nicola correva il mito di Diomede, profumato del mirto e raccontato dal vento. Le piante dei capperi rivestivano laterra, mentre strane rocce assumevano forme di elefanti. Alcune caprette nere si inerpicavano su sentieri strapiombati, nel bassodelle carceri e al di sopra del mare. I vicoli del Torrione raccontavano la storia di nonna Sisina, impastata alla nostalgia ealla memoria dei ricordi: nonostante il tempo trascorso l’abbiamo incontrata lì, ancora pronta ad accogliere chiunque bussasse allasua locanda. Il rumore delle cicale si incorporava all’ombra di un caldo pomeriggio d’estate: tra la gente che arrivava e quella chepartiva solo alcuni sarebbero rimasti, pronti come ogni sera a guardare l’orizzonte.
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lunedì 29 agosto 2011
Vieste e la baia di Marina Piccola
Nella mente gli scorci dolomitici ancora mantenevano i loro profili: eravamo tornati da poco da Dobbiaco, e subito ripartivamo per continuare il nostro viaggio. Lasciavamo la macchina per proseguire con la moto, pochi bagagli e tantissimavoglia di viaggiare, alla ricerca delle strade interne e secondarie che ci permettevano di godere anche e soprattutto dell’idea stessa del viaggio. Vieste ci attendeva, erano passati circa tre anni dall’ultima volta che c’ero stata.
sabato 27 agosto 2011
Il Lago di Braies
Il Lago di Braies si tingeva del plumbeo colore del cielo, a breve sapevamo che sarebbe giunta la pioggia, così volevamo aspettarla lì, per vederla nella sua veste più bella, mentre si univa,si raccoglieva, si sposava con la sua stessa essenza. Le piccole barche del molo venivano raccolte per il maltempo, tutto si incantava in maniera silenziosa e ordinata, tra i lamponi selvaticie i sentieri tracciati dal passaggio dell’uomo. Il lago, sempre più scuro, era come uno specchio che rifletteva la Croda del Becco, posso quasi descrivere il mio umore di allora, così assortoe incantato a comprendere quella straordinaria bellezza. Il tempo sarebbe passato sopra quel presente, e già comprendevo fin da subito che quella visione mi sarebbe mancata. Ormaila pioggia cominciava a scendere su di noi in maniera battente, potevamo finalmente ammirarla al riparo degli alberi, seduti sul bordo del lago.
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venerdì 26 agosto 2011
Einser - Cima Una dalla Val Fiscalina
Lo sguardo percorreva la Val Fiscalina, lasciandosi accarezzare dal verde intenso dell’erba. Le pareti verticali delle Dolomiti diSesto interrompevano ogni prospettiva orizzontale: tutto saliva, prima si distendeva e poi si sollevava, nobilitandosi al cielo e airaggi del sole. La frana di Cima Una imponeva il peso della montagna, dandone l’imperativo del suo valore assoluto: la suaparete verticale si drizzava ripida fino in cima, toccando il cielo e l’oltre, perdendosi tra le nuvole e l’altrove. Il sentiero serpeggiavain un percorso frequentato da molti turisti provenienti da diverse nazionalità, ma mai ne avrei immaginate così tante presso ilRifugio Locatelli davanti le Drei Zinnen, le Tre cime di Lavaredo. Tantissimi idiomi differenti si fondevano con il suono del vento, inuna voce unica che scivolava verso Sud. Il cappello di alta pressione regalava all’Italia davvero giornate splendide di cui inmolti approfittavano. Il nostro percorso riprendeva per vie più solitarie, costeggiando laghetti e circhi glaciali, tra scorciincantevoli, ghiaioni e rocce affilate. Il candore duro della pietra era ammorbidito dai papaveri gialli di montagna, che con la lorodelicatezza suggerivano poesia e memoria di altri tempi: quei fiori si rinnovavano su percorsi impossibili, vissuti un tempo daisoldati della Prima Guerra Mondiale. Le vecchie trincee dismesse, con i ripari nascosti e i passaggi segreti, raccontavano unadattamento disumano dell’uomo nei confronti della Natura. Adesso ai miei occhi tutto era assolutamente bellissimo, ma dicerto un tempo non lo era per quei soldati, che sicuramente sognavano solo la loro casa, scaldandosi il cuore con il ricordodella persona amata. Quelle pietre trattenevano ancora la memoria degli uomini andati perduti, erano parole sollevate dalvento, sottili e sussurrate, planavano costeggiando la terra per poi perdersi in un salto, nel vuoto abissale del cielo. Quella montagnaera come una cattedrale, la sua parte sommitale si conteneva in un perimetro sacro che come cupola aveva la volta del cielo.
Per ricevere informazioni sulla Alta Pusteria consiglio di visitare il sito www.altapusteria.com
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Da Dobbiaco a Cortina d'Ampezzo in mountain bike per il lago di Landro e il Passo di Cimabanche (e il paese di San Candido)
Una vecchia ferrovia abbandonata segnava un percorso ciclabile a leggera pendenza che collegava Dobbiaco con Cortina d’Ampezzo.La bellezza di quei luoghi si approfondiva in un susseguirsi di scenari incantati che attraverso un lungo fiume meraviglioso siamplificava tra i laghi di Landro e di Dobbiaco, così carichi di quiete e di scorci romantici. Il fiume pareva mormorare qualcosadi incerto, animandosi nei riflessi di luce che si insinuavano con i suoi raggi discreti. Un vecchio cimitero di guerra rammentava ilvalore alla memoria, definendo un perimetro sacro in cui a malapena si poteva sussurrare: erano le vittime della PrimaGuerra Mondiale che avevano perso la vita tra le asperità di quelle montagne. Gli uccelli cantavano tra gli alberi, mentre gli scorci siaprivano sulla Croda Rossa e le famose Tre Cime. Quella vecchia ferrovia era in uso dal 1921 al 1964, ora ne rimaneva solo ilricordo, trattenuto nei tunnel delle gallerie e in antiche stazioni ormai abbandonate da molto tempo.
mercoledì 24 agosto 2011
Il Lago di Misurina
Il cielo si specchiava sulla superficie del lago giocando a confondersi, il vento era sceso tanto da appianare ogni increspatura. I profili delle montagne si stagliavano perfetti su quello specchio, identificandosi in colori intensi e crepuscolari: ogni cosa era dolcissima. Lungo la prospettiva di quelle profondità correva la favola di Misurina, un bambina che per padre aveva una montagna. I turisti passeggiavano lungo le sponde del lago, alternandosi tra chi veniva e chi andava, noi ci trattenevamo sul molo, a guardare.
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I laghetti di Fié
A breve saremo partiti, lasciavamo i meravigliosi scenari dello Sciliar e dell’Alpe di Siusi per andare a Dobbiaco, alla scoperta della Val Pusteria e delle Dolomiti di Sesto, ma prima di andare mi veniva fatto un altro regalo: la visita dei Laghetti di Fié.L’eccellente gestione del posto amplificava un luogo già bello di suo, rendendolo fruibile al massimo, ma mantenendo al contempo un saldo rapporto con la Natura. Ammiravo moltissimo la gente del Nord, ma soprattutto invidiavo il loro senso civico per il benecomune che gli permetteva di gestire i loro paradisi. Nessuno lì si permetteva nemmeno di buttare una carta per terra, sono certa che la gente stessa del posto avrebbe fermato chiunque mancasse di tale rispetto. E infatti lì le strade erano tutte pulite, perfette,bellissime. I Laghetti di Fié si mostravano come due specchi, uno pronto ad accogliere i bagnanti, l’altro adibito per la pesca. Le trote affioravano a pelo d’acqua scivolando nel loro regno, mentre altrove fiori di ninfea ne ricamavano la superficie. Sulla riva,alcune barche richiamavano ad una visione romantica in attesa di coppie di amanti, mentre il vocio della gente si mescolava alle risa dei bambini, ancora attutite nelle prime ore del mattino. A malincuore dovevamo partire in direzione Nord-Est, erodispiaciuta di lasciare tutta quella bellezza, ma al contempo ero entusiasta di scoprirne altra, di certo unica anch’essa.
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