Sotto la linea di tracimazione dell’acqua pareva che tutto
si fosse fermato in uno strano limbo, il limaccio aveva imbiancato ogni foglia,ogni ramo, ogni roccia, colorando orizzonti di distinte realtà, una dei toni degli
albori della primavera, l’altra del silenzio monocromatico difondali riemersi.
Piccole penisole riemerse prendevano slancio nel Lago di Bomba, dove il volo
raso di aironi cinerini ed altri uccelli accarezzavail pelo d’acqua. Tra
pendii di argille scagliose e blocchi calcarei, il Fiume Sangro trovava la sua
pausa su questo enorme bacino artificiale.La quiete prendeva i colori del
tramonto, si diffondeva nell’anticamera della notte, e contemplava i primi
bagliori delle stelle.
domenica 24 marzo 2019
Tramonto sul Lago di Bomba
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Monte Pallano e i suoi antichi insediamenti
Monte Pallano conservava il suo fascino millenario immerso nella
quiete della natura, pacata e silenziosa, che accoglieva sui prati sommitali i
primi germogli di primavera. Il suo punto di vista eramirabile e si apriva sia
verso la Val di Sangro e la Majella Orientale, sia verso il Molise e i Monti
dei Frentani, chiarendo con la sua posizione dominante la scelta delle antiche
tribù italiche che vi si stabilirono tra ilV e il IV secolo a.C. . Ci giungeva
l’eredità di maestose mura megalitiche, una magnifica testimonianza che un
tempo cingeva a protezione la montagna, e che ora si lasciava lambire soltanto a
trattidal vento, tra vecchi passaggi anonimi, custodi di ombre, che lasciavano
riecheggiare le antiche leggende sui giganti. L’antico abitato si pregiava di
un meticoloso sistema di drenaggio delle acque piovane,con il piazzale progettato con pendenze e drenaggi che permettevano il
deflusso a valle dell’acqua, convogliata poi verso una condotta che tagliava il
lato corto del foro verso Nord-Ovest. Lo smaltimentodell’acqua meteorica
dovette rappresentare un problema a giudicare dalle numerose canalette o
drenaggi con cui si tentò di evitare il ristagno dell’umidità negli edifici e
nei terreni circostanti l’abitato.Diverse fasi costruttive sono state
riconosciute nel groviglio di ambienti e strutture murarie che circondano il
foro. È probabile che un primo impianto, caratterizzato da muri di spessore
maggiore deglialtri, abbia preceduto la monumentalizzazione del piazzale,
questi primi edifici furono rasati o fornirono la base per altri che ne presero
il posto, alcuni dei quali pavimentati in cocciopesto e spesso intonacatiinternamente, a loro volta in qualche caso abbattuti e “ridisegnati” nelle fasi
successive. Costante comune alle costruzioni di Monte Pallano fu la tecnica
costruttiva, che impiegava pietre appenasbozzate legate non da malta ma da un
terriccio sabbioso molto depurato, utilizzato anche come rivestimento delle
pareti. (Il testo in corsivo è tratto da un cartello informativo del
luogo).
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domenica 17 marzo 2019
Monte Calvo
A Sud la terra scoperta al sole liberava le prime fioriture
di crochi, a Nord l’inverno rimaneva aggrappato alle creste con i suoi
cornicioni dineve e di ghiaccio. Noi eravamo nel mezzo, sul filo di vetta
sotto la croce, a contemplare la bellezza del passaggio delle stagioni, checontenevano un po’ dell’una e un po’ dell’altra, senza mai rinnegarsi.
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sabato 16 marzo 2019
Cona della Croce presso San Lorenzo di Marruci
Tra l’antica Amiternum e l’abitato di Marruci vi erano tracce di strade ormai
cadute in disuso, che attraversavano coltivi e campi arati. Traqueste era
interessante la località Cona della Croce
dove i resti di una vecchia chiesa rurale, spoglia di dettagli, custodiva al
suo internogrovigli di rovi contro i muri
diruti dell’abside scoperchiata. Le poche testimonianze la legavano al
culto delle Rogazioni, antiche processionipropiziatorie che i contadini
compivano per chiedere la benedizione divina sull'acqua, sul lavoro dell'uomo e
sulla buona riuscita delleseminagioni. Dedicata alla festività della Croce, la
processione avveniva il terzo giorno di maggio, tra il profumo dell’erba di una
primaverainoltrata. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale la piccola chiesa
cadde in disuso, e da allora manteneva soltanto il silenzio tra le suepovere mura che così scarnificate scoprivano l'anima della pietra.
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domenica 10 marzo 2019
La Costa dei Trabocchi, passando per l'Eremo Dannunziano e Santo Stefano in Rivo Maris
Le conchiglie erano gli scheletri
del mare, trattenevano nelle loro spirali echi di memorie lontane, come i canti
dei poeti a noi cari. Iltempo dapprima veloce era diventato inarrestabile nella
sublime constatazione del Trionfo della
Morte, rivivevo quei luoghi cercando ilpunto di vista degli occhi del
Vate, scrutando il Trabocco Turchino e il Promontorio Dannunziano, ammirando
quella metafora di abisso chemi si distendeva davanti ai limiti del cielo. La risacca
risuonava tra l’odore delle alghe, e con la sua dolcezza scarnificava le “ossa”
deivecchi trabocchi, logorati dall’ira del mare e dall’opera crudele del
tempo. Erano passati 130 anni da quando Gabriele D’Annunziotrascorse lì una
sua estate, aveva vissuto quei lidi e contemplato quei flutti. Di trabocco in
trabocco seguivamo ora in bici la costa daCasalbordino Lido fino ad Ortona. Su
un piccolo colle giacevano i resti dell’antica abbazia di Santo Stefano in Rivo
Maris, databile tra la metàdel V ed il VI secolo, protetta dai rovi di
biancospino che la rendevano inavvicinabile e custodivano, tra la dolcezza del
loro profumo, gliantichi mosaici col simbolo dell’albero della vita. Sulla via del ritorno, alle nostre spalle,
scendeva la sera, che mano a mano accoglieva lanotte con gli ossequi della
bellezza del tramonto, mentre il Faro di Punta Penna scandiva il tempo con la
sua luce ciclica, prendendosempre più forza al pari della luce delle stelle.
domenica 3 marzo 2019
Monte di Canale dal versante di Collarmele
La primavera meteorologica era
entrata, si sentiva nell’aria, si vedeva nel cielo disteso. L’umidità della Piana
del Fucino si raccoglieva nellasua valle e con straordinari giochi di velature
alleggeriva tutte le montagne circostanti. Il suolo recava in dono la fioritura
dei primicrochi, di una bellezza semplice e rigorosa, puntuale ad ogni
primavera. Alcuni cavalli pascolavano sulla quiete dei pendii mentre a monte sitratteneva ancora l’inverno che con la sua mano bianca aveva livellato ogni
crinale. Monte di Canale dedicava al Sirente un magnifico punto divista sul
suo versante settentrionale, custode di antiche neviere. Il vento aveva
modellato quella materia bianca a seconda dei suoi flussi,scoprendo sassi,
riempendo vuoti, cancellando pensieri. Tutto scivolava verso valle, nulla aveva
più importanza, solo la contemplazione dellabellezza.
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