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L’antico eremo della Madonna del Cauto giaceva silenzioso nel
cuore del bosco, la bellezza della sua costruzione, con romitorio e chiesa
incastonati nella roccia, si aprivano ai nostri occhi come un dono. Avevamo la
consapevolezza di essere dentro un luogo spirituale,
frequentato in passato da
monaci, eremiti ed asceti, alla ricerca delle voci del silenzio dove la
solitudine lasciava parlare l’anima.
La sacralità era percepibile ancora oggi,
nei gradini intagliati nella roccia, dentro gli anfratti dei ripari rocciosi,
nell’arco a tutto sesto
che manteneva armoniosa la sua geometria, nella piccola
abside ancora affrescata con scene di vita di Santa Caterina d’Alessandria.
Un
rintocco di campana segnava il nostro passaggio, la facevamo suonare ascoltando
il protrarsi delle vibrazioni, che quasi subito
si abbandonavano nel suono del
vento penetrato tra i rami. Poco distante la piccola grotta del Pertuso delineava
un’altra area sacra,
ancor più essenziale ed importante, tra rocce, vegetazioni
e ombre perenni.
Tornare nei luoghi del passato, dove la natura rinnovata negli
anni manteneva sempre il volto della giovinezza. Dormire nel bosco, sotto le
stelle, dando voce ai ricordi che tornavano vivi dentro gli stessi scenari.
Tutto
si conteneva dentro l’abisso: parole e memorie rimaste ferme, legate alle
persone e alla roccia, nei cunicoli, sui pozzi affianco le lame di pietra. Sul fondo
il tempo si annullava completamente al
cospetto delle opere di consolidamento ancora
integre del passato, costruzioni frutto di sogni esplorativi dove il desiderio
di scoprire nuovi ambienti incontaminati faceva da motrice al lavoro
collettivo.
Adesso c’erano gli occhi colmi di serenità e ricordi, consapevolezza
e quiete d’esistenze.