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Salivamo da Sella di Corno lungo la Valle di Cappelletto,
alla volta del mirabile affaccio sul Lago di Rascino, dalla forma insolita e
stellare.
Lungo la via, il bosco a Nord lasciava scoprire zone d’ombra
stanziate di freddo e di brina, dove spolverate di neve mantenevano inalterate
la
conformazione dei propri cristalli. Sul filo di cresta la vista si appagava
della bellezza di entrambi i versanti, si scoprivano i pendii spogli e
assolati
dove i cavalli al pascolo sostavano nella quiete di un pacato sole d’inverno.
Seguivamo la carrareccia fino a scorgere il vicino Lago di
Cornino, dalla forma
più composta e ordinata, con alle spalle la sua piccola pineta e il magnifico Monte
Nuria in lontananza. Cercavamo il
punto di vista più bello per ammirare dall’alto
la bellezza di entrambi i laghi, e siamo state ripagate dal notare il basamento
di un’antica
costruzione, probabilmente una delle sedici abitazioni del contado
del Castello di Rascino, risalente al XI-XII secolo e situato poco distante.
Salutavamo
così l’ultimo giorno dell’anno, tra la dolcezza del sole, la bellezza dei
panorami e la consapevolezza del passato.

Le grotte di Acquasanta Terme erano state scavate dal basso,
da una lenta e lunga azione morfogenetica che da tempo immemorabile
svuotava la
roccia "da dentro”. Quelle esalazioni corrosive avevano generato sulle pareti speleotemi
di gesso e di zolfo attraverso processi
di corrosione e condensazione e avevano allargato
condotte circolari. In alcuni ambienti vi erano depositi di batteri
rosa, in altri
scorrimenti d’acqua, ma anche stratificazioni lapidee tutte da osservare.
Vedevamo la grotta con occhi nuovi grazie al seminario sulla
Geologia con studio delle forme di erosione
interne tenuto poco prima da Jo De Waele, e ora dovevamo osservare i
particolari più insoliti della
grotta, le sue forme più curiose che
raccogliessero la nostra attenzione, da fotografare, scegliere ed analizzare l’indomani
tutti insieme per
capirne la singolare origine. Un ambiente conosciuto diveniva
ancora diverso così percepito con occhi nuovi. Entravamo nella Grotta dei
Pipistrelli fino a ricongiungere il fondo in comune con Grotta Nuova, l’attenzione
per l’ambiente e lo svernamento dei chirotteri ci limitava a
non creare
disturbo. Osservavamo in silenzio qualsiasi forma, le particolarità rocciose
più insolite, alla ricerca della
metamorfosi della pietra nelle viscere del
buio.
La Grotta di Val Cordora si apriva su uno dei modesti
rilievi che ne modulavano la valle, tra la bellezza incolta delle radure
impreziosite di
rovi ed arbusti, sotto la luce fredda di un pomeriggio di dicembre.
La sua modesta estensione si sviluppava tra piccole sale con concrezioni
annerite, quella piccola cavità, conosciuta da tempi remoti, era stata percorsa
frequentemente dai locali, sulle pareti vi erano nomi e date
che correvano indietro
di un secolo, di generazione in generazione, a voler registrare la propria
presenza in quel luogo. L’azzurro intenso
dell’acqua limpida lasciava indagare
il suo fondale come a suggerire possibili prosecuzioni. Uscivamo fuori
estendendo il buio della grotta
alla volta nera della notte, ormai
sopraggiunta, la bellezza era nella morfologia delle ombre animate dalle nostre
luci e dal chiarore di una
flebile luna in fase crescente.