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Nelle zone d’ombra perenne, nei colori del freddo, tra le
vibrazioni dei toni azzurri della neve, lì era la bellezza. L’ingresso coronato
di rocce svelava sculture di ghiaccio, forme fluide di acque modellate dal
respiro della grotta, solide e durissime come la pietra,
ma allo stesso tempo fragili
e delicate come il vetro, forgiate di trasparenze, le trovavo bellissime nella
loro semplicità complessa.
Poco oltre ulteriori stalattiti di ghiaccio
arricchivano temporaneamente le poche concrezioni di quel passaggio. Una progressione
lenta, istruttiva e piacevole, l’accostamento al buio ritrovato, la quiete. Uscivamo
poco prima del tramonto, quando le luci cominciavano
a stendersi nel riverbero dei
colori, tra riflessi di toni madreperla sul candore innevato dell’altopiano.
La Chiesa allagata di San Vittorino dava accesso ad un varco
onirico spazio-temporale, dove ogni aspetto si rimescolava e vestiva di
suggestione. Erano trascorsi dieci anni dalla mia precedente visita e
ne
percepivo un’ulteriore sprofondamento. La facciata barocca aggettante, il
pavimento sommerso dall’acqua, la volta aperta al cielo animata dal volo
degli uccelli, erano aspetti visivi che
coinvolgevano i sensi nella percezione
di un mondo surreale. All’esterno della Chiesa trovavo questa volta un cartello
informativo di cui ne cito il contenuto: “La
Chiesa di San Vittorino si trova
al
km 88,100 della Via Salaria, nella piccola frazione San Vittorino del comune di
Cittaducale, a breve distanza dalle Terme
di Cotilia. È posta all’interno della Piana di San Vittorino, un territorio
dove si trovano molte sorgenti mineralizzate e sono frequenti i fenomeni
carsici come i sinkhole (sprofondamenti improvvisi del terreno). Già in epoca
preromana i Pelasgi e i Sabini ritenevano
sacro questo territorio e vi
compivano sacrifici. La zona mantenne la sua sacralità anche presso i romani e
in tale epoca acquisì ulteriore importanza grazie allo sfruttamento delle
sorgenti
nell'impianto termale di Cotilia. AI posto dell'attuale chiesa, si
trovava un tempio dedicato alle ninfe dell’acqua,
sorto nei pressi di una sorgente considerata sacra. L'edificazione della
chiesa
sui resti dell'antico tempio pagano si deve al fatto che, proprio in quel
luogo, nel 96 d.C. subì il martirio San Vittorino di Amiterno. Inizialmente fu
realizzata una cripta che ne ospitò i resti e
solo tra il Trecento ed il
Quattrocento fu edificata la chiesa vera e propria, che deve il suo aspetto
attuale ai lavori di ampliamento voluti dal vescovo di Cittaducale, Pietro Paolo
Quintavalle, iniziati nel
1608 e terminati nel 1613. Tuttavia, nell'Ottocento, i forti fenomeni carsici e gli eventi sismici a cui il territorio è
soggetto causarono lo sprofondamento della
chiesa ed il suo progressivo
allagamento, che di recente si è ulteriormente accelerato a causa delle acque
che scaturiscono dalla sorgente che sgorga al suo interno. Il tetto è ormai
crollato,
ma interessante è la facciata barocca. L'interno, a tre navate,
ospitava diverse opere d'arte. Tra queste sopravvivono un bassorilievo dell’Annunciazione attribuito a Giovanni Pisano
una fonte
battesimale, entrambi risalenti al XIV secolo e conservati nella Cattedrale
di Santa Maria del Popolo di Cittaducale e un affresco conservato al Museo Diocesano di Rieti. Per il
carattere
suggestivo e surreale del luogo, nel 1983, la Chiesa fu scelta dal regista
russo Andrej Tarkovskij come set cinematografico per girare una scena del film
d'essai Nostalghia.”
Ulteriori informazioni sul territorio sono reperibili
in questo sito: www.cittaducaleturismo.it . Le coordinate della chiesa sono:
42°22'35.14"N 12°59'19.30"E
L’antica Cotilia fu un luogo sacro molto importante, fondata
dai discendenti del Dio Saturno, il popolo dei Pelasgi, venne
conquistata prima
dai Sabini e poi dai Romani, che lasciarono magnifiche testimonianze storiche
ancora visibili tra Caporio
e Paterno. Il Lago di Paterno, Lacus Cutiliae, Italiae
umbilicus, era uno dei centri più importanti della Sabina arcaica, si
narrava ospitasse un’isola galleggiante, probabilmente composta di torba e
calcare, su cui era situato un santuario dedicato alla Dea
Vacuna, protettrice
delle sorgenti, culto primitivo legato alla madre terra e alla fertilità, dove la
leggenda narrava di una sacerdotessa
trasformata in serpente svolgere la
funzione di oracolo. L’abbondanza delle sorgenti di acque acidule, solforose e
ferrate, situate nei pressi
di questa località, venne sfruttata da due
importanti imperatori romani della famiglia dei Flavi, rispettivamente padre e
figlio,
Vespasiano e Tito, il primo maggiormente noto per la costruzione del
Colosseo, ed il secondo per la distruzione di Gerusalemme. Nati
e morti in questi luoghi lasciavano ai nostri giorni i resti delle loro costruzioni
abitative e termali. Il complesso archeologico della
Villa di Tito sorgeva a
ridosso del Lago di Paterno e godeva di un magnifico panorama sulla Valle del
Velino, l’origine della sua
vera natura era incerta, probabilmente una
villa con annesso centro termale di grande suggestione paesaggistica. Le magnifiche
murature di quel grandioso manufatto si ergevano possenti sulle coltivazioni di
ulivi, la memoria di un passato così importante
raccontava la sua bellezza. Poco distante, a meno di tre chilometri in linea d’aria vi erano le antiche
Terme di Vespasiano, mi colpiva
la natatio,
una grandiosa piscina di 60 metri per 24 scavata direttamente nel banco
roccioso, le varie nicchie e gli ambienti
coperti a volta, i corridoi per gli spazi retrostanti ancora celati nella terra. Ulteriori informazioni su questo
sito sono reperibili
in questo link. (Le prime sette immagini sono riferite alle Terme di Tito, le restanti a quelle di Vespasiano).
A Borgo Universo si respirava l’aria del dialogo tra
microcosmo e macrocosmo, miriadi di colori si addossavano sui muri come
vestiti
preziosi, in un gioco equilibrato tra il vecchio e il contemporaneo. Mi piacevano
moltissimo le creazioni dei tanti
artisti giunti da diverse parti del monto a
rendere la propria opera in quel luogo, dimostrando che per fare arte non è
necessario vivere in
una grande città. La Torre delle Stelle dominava sul paese
e ammirava la Piana del Fucino, lì dentro un osservatorio astronomico
indagava
l’universo e il sole, la stella più bella, la luce pura che attraverso i suoi
spettri da sempre vibrava i colori. Seguivamo
con interesse il filo conduttore
delle immagini, richiami sottili sull’indagine dell’esistenza.