Un vento freddissimo correva tra i vicoli e le strade lastricate di Alba Fucens, un tempo tutto questo era ricchezza, mentre adesso solo quel suono animava i resti dell’antica città. La brina si faceva spazio nelle zone d’ombra, distinguendo l’erba rasa con tonalitàschiarite. Alcune colonne tenevano per mano il cielo, si innalzavano verso di esso, forse con l’intenzione di continuare a mantenere il profilo di quelle antiche strutture. Ammiravo tutta quella magnificenza completandola con la fantasia e pensavo aquanto potesse essere grandiosa l'idea della visione totale dell’intera città: noi ne vedevano solo una minima parte, perché su tutto il resto avevano costruito delle case a seguito dell’ultimo catastrofico terremoto. La memoria dei tempi gloriosi si avvalevanella mia mente della rievocazione dell’enorme lago sulla piana del Fucino, mentre il Monte Velino appariva come un dio squarciato di netto dalla Valle Majelama. Ovunque c’erano le tracce di un antico e glorioso passato, assopito ormai da millennie dalla parte peggiore dell’essere umano. Alba Fucens è l'antica città colonizzata dai Romani alla fine della Guerra Sociale nel 450-304 a.C., sorta presso l'antico lago Fucino. La vicinanza della città con le acque del lago che lambivano il suo territorio fuprovata nel 1973 quando fu scoperto un cippo presso Luco dei Marsi, detto De Rosa, dal nome dei fratelli Sinibaldo ed Ersilio De Rosa che lo trovarono durante l'aratura del loro campo. L'antica città, posta su di un colle dalle tre cime (S. Pietra, S. Nicola ePettorino), è situata a circa 1000 metri d'altitudine tra il Velino ed il lago Fucino (donde l'appellativo di Fucens o Fucentia) nel territorio degli Equi, dove i Romani nel 303 a.C.,sterminati gli Equi, fondarono una colonia latina di 6000 anime eretta poi amunicipio. Attraversata da un'importante arteria di comunicazione, quale la Via Valeria (ancora oggi un cippo miliario indica la distanza da Roma), prolungamento della Tiburtina, costituiva il crocevia dell'Italia centrale per i trafficiromani e rappresentava pertanto un centro strategicamente rilevante. Nota per la sua fedeltà a Roma, durante la guerra annibalica e quella sociale, fu luogo di confino pubblico e prigione di Stato. Tra gli altri, furono qui relegati Siface re diNumidia (207 a.C.) e Perseo re di Macedonia (171 a.C.). Le ceramiche, la produzione scultorea ed i ritratti (dello pseudo-Silla e di giovinetto), sono di ottima fattura. Al periodo imperiale risalgono tentativi di bonifica del lago Fucino ed interventi dinotabili indigeni nella costruzione di edifici sacri e nella ripartizione del terreno, in lotti quadrati di uguale misura, da assegnare in proprietà privata agli abitanti romani e latini. Precedenti all'arrivo dei coloni sono le mura di fortificazionepoligonali del periodo italico, formate da blocchi squadrati e con un tracciato che asseconda gli andamenti altimetrici del terreno. La porta occidentale, larga 10 metri, costituiva l'accesso principale in città dalla Via Valeria; quella settentrionale, ampia4 metri, era affiancata da pareti che si dischiudevano verso l'interno; ed infine, quella meridionale, di età posteriore, conduceva all'anfiteatro e presentava un bastione poligonale a pianta quadrata. L'impianto urbanistico è regolare ed è composto di strade che intersecandosi formano una sorta di scacchiera (…). Informazioni tratte da qui, dove il testo continua.
lunedì 30 gennaio 2012
domenica 29 gennaio 2012
Le piste da fondo del Bosco di Sant'Antonio
Il bosco di Sant’Antonio si incantava nella neve, nella suggestione unica di un inverno finalmente ritrovato. Le piste da fondo serpeggiavano tra gli alberi e i faggi secolari, tra brevi salite e morbidi saliscendi, per poi aprirsi nell’indiscussa bellezza dell’ampio altopiano ricamato dal tragitto dei battipista. Tutto eracosì vasto e spazioso, tanto da perdersi fino in lontananza. Finalmente ritrovavamo la neve, così carente dalle nostre parti, finalmente ci appagavamo del candore di una quiete ritrovata. Le piste da fondo del bosco di Sant’Antonio sono riconosciute come alcune delle più belle del centro Italia, così ricche dellasuggestione di scenari diversi. Situato tra il piccolo comune di Cansano ed il bellissimo borgo di Pescocostanzo, nel cuore del Parco Nazionale della Majella, ad una quota compresa tra i 1300 e 1400 m, il Bosco di S. Antonio custodisce uno delle faggete più belle ed antiche d’Abruzzo e d’Italia. Insieme ai faggi, in questaforesta di 550 ettari s’incontrano piante secolari di acero, tasso, pero, cerro e agrifoglio. Il paesaggio è caratterizzato da ripidi versanti alberati che si trasformano, avvicinandosi alla piana, in dolci colline. Qui gli appassionati del fondo aggiungeranno al piacere di scivolare leggeri sulla neve quello di praticare la loroattività preferita in uno scenario stupefacente immersi in una magica atmosfera ovattata tra rami così carichi di neve da piegarsi sotto il suo peso. I percorsi possibili sono diversi. La prima possibilità è appunto quella di sciare all’interno del bosco, , su un anello di pochi km percorribile tranquillamente incirca ½ ora. Gli altri anelli, tutti ottimamente segnati, si snodano in parte nell’ adiacente pianoro di Primo Campo ed in parte nel bosco. Qui si potrà sciare godendo di un panorama che spazia dal Monte Rotella al Monte Pizzalto. Questo è il posto ideale sia per gli amanti del passo pattinato che per gli amanti del passoalternato classico. Tutte le piste, frequentate da turisti provenienti da diverse regioni italiane, sono ottimamente segnate e perfettamente battute. Alla loro cura si dedicano gli istruttori della “Scuola di Sci di Fondo di Bosco S. Antonio – Pescocostanzo” sempre disponibili per coloro che vogliono prendere lezioni. Gli impianti, neve permettendo, restano aperti da metà Dicembre fino alla fine di Marzo. Per chi può scegliere è preferibile evitare, se non si vuole rischiare di sciare in mezzo alla folla, la Domenica. Adiacente le piste, lungo la strada che passa attraverso il bosco lo sciatore che intende ristorarsi trova il ristorante “il faggeto” famoso per la sua cucina legata al territorio e ai suoi prodotti, ed il piccolo chalet dove è anche possibile noleggiare attrezzature per sciare. Da visitare al margine meridionale del bosco il piccolo eremo di S. Antonio (sec. XIV) dal tipico campanile a vela. Questo modesto ma suggestivo luogo di culto è ancora meta di pellegrinaggio ogni 13 Giugno. Testo scritto da Luca Del Monaco (tratto da qui).
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domenica 22 gennaio 2012
Il Fondo della Salsa: il sentiero Piergiorgio De Paulis, sotto la parete Nord di Monte Camicia
I pensieri risuonavano in quell’orrido inavvicinabile, come se dentro la testa avessero trovato la generazione di un eco. Quella roccia impenetrabile, così fredda e vecchia, si innalzava come una vertigine mostruosa. Rimanevamo in silenzio ad ascoltare ilrumore sordo dei sassi che si staccavano dalla parete, il loro battere sulla propria roccia madre, fino a sbriciolarsi nel fondo. Da lì la parete Nord di Monte Camicia assumeva tutta la sua massima espressione, era repulsiva da ogni angolazione, ericordava agli uomini il loro essere mortali. Lo strillo di un’aquila riecheggiava nel cielo, lasciandoci ammutoliti della sua inconfondibile presenza. Un enorme masso di roccia portava la memoria di due nomi, quello del pilota Marco Adinolfischiantatosi sulla parete e quello di un giovane alpinista aquilano, Piergiorgio De Paulis, a cui avevano dedicato proprio il percorso per raggiunge il Fondo della Salsa. Due storie differenti, entrambi da raccontare. Il 6 aprile del 1994 Monte Camicia si avvolgevanella nebbia, quella scarsa visibilità inghiottiva ogni cosa: il comandante Marco Adinolfi dell’Aereonautica Militare si era schiantato sulla parete Nord con il suo aereo cacciabombardiere AMX della base di Istrana, all’età di 27 anni, lasciando perdere suquella roccia tutte le sue tracce. Quattro anni prima, l’8 novembre 1990, questo giovane pilota si era già salvato da una morte simile, nelle campagne dell'Oltrepò pavese, riuscendo a lanciarsi con il paracadute, ma purtroppo adesso il destino non gli riservava unaseconda possibilità. I suoi commilitoni ne omaggiavano la memoria con una spada infissa nella roccia, e con un numero scritto con le pietre sopra la testata del Vradda: 264^, forse il numero della compagnia. (Quest’ultima notizia è senzafonte). Venti anni prima c’era la storia di Piergiorgio, un giovane alpinista aquilano impegnato alla prima ascensione invernale sulla parete Nord di Monte Camicia. Era la Vigilia di Natale del 1974. Nel dicembre del 1974, Domenico (Mimì) Alessandri, CarloLeone e Piergiorgio De Paulis, si cimentano anch'essi nell'impresa invernale. Dopo il tentativo di D'Angelo e Muzii, solo altre due cordate hanno percorso la parete, ma d'estate. Una di queste era condotta dallo stesso Alessandri, esperto alpinistaaquilano, con all'attivo difficili ripetizioni invernali e belle vie nuove nel massiccio del Gran Sasso (Diretta alla parete est dell'Occidentale, Diretta al terzo pilastro del Paretone). De Paulis, 19 anni, è il più giovane del terzetto, ma è già un alpinistacapace e animato da grandissima passione. Come ha scritto Alessandri, "era il migliore della sua generazione, a L'Aquila, in quel momento. Aveva, specialmente su ghiaccio, una tecnica istintiva che gli consentiva di muoversi con velocità e sicurezzanon comuni". La sera del 23 dicembre i tre sono ormai alti nella parete, all'altezza di un caratteristico forcellino e si accingono al terzo bivacco. Hanno proceduto lentamente, ma tranquillamente, su di una parete ghiacciatissima, utilizzando quello che era l'attrezzatura dell'epoca: ramponi tradizionali e la sola piccozza a becca dritta. Scrive Alessandri: "La tragedia ci piombò addosso, imprevedibile, fulminea, a sera quando, già fermi, operavano indipendentemente l'uno dall'altro nella preparazione del bivacco. Sullo sfondo bianco della montagna intravidi la sagoma di Piergiorgio, che si muoveva a pochi metri da me, volare indietro nel vuoto senza neanche un'esclamazione o un grido e scomparire in basso. Aveva preparato il suo ancoraggio con due chiodi, a venti centimetri uno dall'altro, nella stessa fessura orizzontale, vi aveva appeso del materiale trascurando di collegarli e si era agganciato al primo senza accorgersi che il secondo, più grosso, dilatando la fessura, ne aveva compromesso la stabilità". Alessandri e Leone rimangono soli e impotenti di fronte alla tragedia che si è compiuta silenziosa davanti ai loro occhi. Una breve perturbazione arriva a infierire in una notte già terribile. Cadono sassi, Leone viene ferito, è sotto shoc, e non è in grado di continuare. "Il buio della notte e il silenzio della montagna avvolgevano tutto in una quiete cosmica, ma sul piccolo terrazzino di ghiaccio, piombati in un indescrivibile stato di angoscia, iniziavamo una dura battaglia per la vita e ci accingevamo a superare la più tragica notte della nostra esistenza. Il profondo stato di angoscia vissuto per l'intera notte, in un assurdo dialogo con la morte, si dissolse di colpo alle tre del mattino", quando Alessandri matura la decisione di uscire da solo: "la via della vetta sembrò la più rapida, la più sicura, l'unica via d'uscita...". Mimì scala per ore ed ore, in una condizione mentale straordinaria. La concentrazione estrema scaccia la disperazione e la salita è accompagnata dalle "presenze" di Piergiorgio e di tutte le persone care che danno ancora senso a quello che sta facendo. Alle quattro del pomeriggio è fuori. "Mi sentivo come uno che fino a un momento prima era convinto di morire e si ritrova ancora vivo". L'operazione di soccorso del giorno dopo, a cui partecipa lo stesso Alessandri, è degna di menzione. Per la prima volta, infatti, viene impiegato in Appennino un elicottero per un recupero in parete. L'elicottero pilotato dal tenente Fischione, benché non specializzato in questo tipo d'interventi esegue una difficile manovra in "overing" e recupera col verricello Carlo Leone. La Nord d'inverno è stata in qualche modo superata, ma per i sopravvissuti "la salita fu, sotto il profilo umano e alpinistico, senza dubbio un fallimento, poiché non c'è parete al mondo che valga la vita di un uomo". Dopo questa vicenda dovranno passare tredici anni prima che qualcuno osi sfidare di nuovo la parete nella stagione fredda. (Tratto da qui).
Paolo De Angelis, Roberto Iafrate e Piergiorgio De Paulis dopo una salita allo Sperone Centrale del Corno Grande.
Paolo De Angelis, Roberto Iafrate e Piergiorgio De Paulis dopo una salita allo Sperone Centrale del Corno Grande.
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lunedì 16 gennaio 2012
Il rito delle Farchie a Fara Filiorum Petri
Quelle enormi colonne fatte di canne venivano issate una per una dalle genti del paese. Moltissime persone erano presenti, e stavamo tutti stretti gli uni agli altri concentrati in una delle piazze più alte di Fara Filiorum Petri. La combustione delle farchie era un rito molto antico, da tempo desideravo assistervi, eadesso finalmente potevo, ma mai immaginavo così tanto coinvolgimento. Il fuoco bruciava sopra le nostre teste producendo energia, ed era un tramite perfetto con l’idea più bella del cielo, che mano mano diveniva sempre più suggestivo con il calare della notte. Il buio si esaltava della luce di quelleenormi torce, tutte le persone che erano presenti si percepivano come una unica entità, perché vibravano della stessa energia del fuoco. La combustione delle farchie allontanava ogni male e segnava così la fine della parte più rigida dell’inverno: le giornate da adesso in poi si sarebbero allungate progressivamente.Assistere a questo rito è stata un’esperienza davvero molto bella, qui il link del comune di Fara Filiorum Petri per avere maggiori informazioni su questa festa.
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domenica 15 gennaio 2012
Capracotta e le sue meravigliose piste da fondo
Il cielo sopra Capracotta convertiva in neve l’umidità venutagli dal mare, le strade si ammantavano di bianco, incorniciandosi di cumuli scansati dai cingolati. Prato Gentile (1575 m), nonostantemostrava una modesta altitudine, era completamente innevato grazie alle correnti e la sua conformazione orografica, la neve scendeva su di noi a grandi fiocchi, rivelando un paradiso biancobellissimo. Le piste da fondo di Capracotta erano famose in tutta Europa per la loro bellezza, così sempre piene di neve erano sapientemente gestite da un’ottima manutenzione.(www.capracotta.com). Capracotta è il cuore bianco dell’Altissimo Molise, la stazione sciistica e climatica molisana di respiro internazionale. Nel cuore dell’Appennino centro-meridionale, l’offerta sciistica si apre agli appassionati di sci nordico lungo le belle piste dello Stadio di Fondo “Mario Di Nucci”, che si estendono in Località Prato Gentile (nel 1997Capracotta ha ospitato i Campionati assoluti Italiani di Fondo e nel 2004 e 2008 la Continental Cup Europea) e a quelli di sci alpino nel Comprensorio di Monte Capraro grazie ad una pistalunga 1481 m, un dislivello di 252 m ed una pendenza del 18%. La stazione è inoltre dotata di un efficiente impianto di risalita composto da skilift con capacità oraria di portata di 700persone e da una seggiovia capace di trasportarne 900. A Capracotta è possibile sciare anche per i meno fortunati: da qualche anno infatti l’Associazione Sportiva Dilettantistica “Scioanch’io” onlus garantisce la pratica sportiva invernale anche ai diversamente abili. Una qualificata Scuola di Sci ed uno storico Sci Club, sorto nel 1914, completano l’offerta capracotteserispetto alla pratica degli sport invernali. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo). Dalla bellezza delle piste da fondo alla bellezza del paese, continuavamo ad immergerci in visionisuggestive che tanto ci erano care e ci mancavano. Eravamo venuti qui proprio alla ricerca della neve, così scarsa dalle nostre parti, e finalmente la scorgevamo tra i vicoli e le case, nei bordidelle strade e sui tetti, ci riempiva il cuore di una gioia pacata, accarezzandoci come fanno i ricordi da bambino. La sera si accostava al barlume lampioni, che facevano assumere alla neve ilcolore bluastro della carta da zucchero, quelle tonalità d’ombra si lasciavano respirare con una dolcezza infinita, conferendo alla sera una delle sue vesti più belle possibili.
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domenica 8 gennaio 2012
Una giornata intensa tra Campo Imperatore e Campo Felice: Pietrattina e Colle del Nibbio
La luminosità del giorno si amplificava del riverbero della neve, che così rasa dal vento si presentava come uno specchio al sole.La pista da fondo di Pietrattina estendeva il suo anello anche oltre Colle San Francesco: avevano battuto la pista in occasione dialcune gare per giovani sciatori fondisti, e le loro voci si udivano anche da lontano, echi spensierati che davano vita alla montagna.Quella luminosità raccoglieva i pensieri e distendeva la mente, non una nuvola oscurava gli orizzonti, tutto passava così comescorrevano le ore, senza mai perdersi: i colori giravano lungo lo spettro del tramonto, fino a flettersi semplicemente su altresfumature. La notte avrebbe portato la luna piena, così decidevamo di andarla a percorrere a Campo Felice, alla ricercaanche di un’altra luminosità. I gatti delle neve compivano gli ultimi giri, animando il sottofondo d’inquietudine. Salivamo laVolpe e scendevamo la Sagittario, mentre la luna accendeva visuali lontanissime. Quella luce rischiarata e gentile faceva fedeal sole e ne imitava il modello, rischiarava le montagne ed indicava i paesi lontani, così raccolti ed intimi lungo gliinfossamenti del buio. Mano mano che salivamo la temperatura aumentava sotto i calcoli dell’inversione termica, ma quellaquiete temperata a malapena bastava a distendermi, la giornata era stata intensa ed io mi ero stancata. Dietro la montagna alcunenuvole cominciavano a disegnarsi in riccioli di tramontana, il tempo a distanza di qualche ora sarebbe cambiato, ma noiandavamo via, a seguire finalmente il naturale corso della notte.
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