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Il Castello di San
Potito sorgeva arroccato su uno sperone roccioso alle pendici del Pizzo di
Ovindoli, tra l’Altopiano delle Rocche e la Piana del
Fucino, protetto da una
posizione strategica che lo metteva in comunicazione visiva con gli altri
castelli del circondario. Fondato nel
X secolo aveva rivestito negli anni un
ruolo importante, ma vicissitudini, guerre e terremoti, l’avevano ridotto
all’attuale stato di
rudere. Venne abbandonato e depredato, le sue mura
smembrate a favore di nuove case ai piedi del colle, lasciando ciò che ne rimaneva
inerme all’inesorabile erosione del tempo. La sua particolare forma a nido d’aquila
lo accresceva di suggestioni, il suo limite posto sul
precipizio colmava lo sguardo
della sublime bellezza della Natura sulla soglia dell’esistenza. L’epilogo
della sua memoria si impreziosiva della
floridezza della vegetazione, della bellezza dei panorami, e della
quiete silenziosa di una ricercata solitudine.
Il sentiero saliva alla volta della Montagna di Godi, lungo mulattiere
battute protette dal fitto dei faggi. L’autunno iniziava ad orlare di
ruggine
le prime foglie, tra cui una luce sottile filtrava quietamente. Fuori dal
bosco, un’ampia radura accoglieva il Rifugio della
Montagnola, curato e
prezioso, immerso nel silenzio dei pianori sommitali, dove l’erba dorata dava
manifestazione al vento, che lisciava
i pendii e correva lontano. Sul filo di
cresta scoprivamo la cima di Monte Mattone, da lì i panorami si animavano della
suggestione di
magnifici punti di vista: Monte Sterpi d’Alto, Monte Amaro di
Opi, il Monte Marsicano, la Serra di Rocca Chiarano, stagliavano tutti i loro
profili
al cielo coronato di nubi, mentre in basso il Lago di Barrea continuava a
mantenere la sensazione di quiete nelle sue acque distese.
Uno straordinario
sistema carsico modulava i rilievi sommitali come un suolo lunare: gli orli
delle doline divenivano tante montagnole
su
cui la luce giocava ad estendere le profondità con stacchi di ombre.