“La Fonte del Salice si trova in un valloncello che è tributario dell'arcuato fùssu ella muràta, il quale costituisce la parte più bassa ed impervia del lungo impluvio che comincia con la màlle càscia. Il nome di questo tratto di valle deriva dei resti di due
grosse mura megalitiche, realizzate a secco, che si trovano ai lati del fosso (750 m), chiamate localmente Murata del Diavolo o Murata delle Fate” (cit.). Da secoli il mistero di queste enormi pietre che formavano la murata avevano cercato di trovar logica
in varie ipotesi: alcune sostenevano che si trattasse delle mura di cinta dell’antica Amiternum (o addirittura le costituenti della stessa acropoli), altre che fossero i resti della struttura di un ponte che collegasse Pitinum con Amiternum; altre ancora, invece,
sostenevano che l’enorme muraglia fosse stata eretta per segnare il confine tra i Sabini e i Vestini. Ai Sabini in modo particolare si legavano anche altre curiose interpretazioni che vedevano tale luogo come il loro palcoscenico ideale dove compiere riti
propiziatori e sacrifici cruenti, legati al culto del “ver sacrum”. Quest’ultima immagine si legava bene alla suggestione locale: ho letto che gli abitanti del posto da sempre affermavano che in condizioni di forte vento pareva che la murata ululasse,
producendo suoni impressionanti al limite della comprensione. Ovviamente tutte queste ipotesi sono carenti di riscontri storici, l’unica cosa certa è che la datazione di questa inspiegabile murata corre dietro a noi di Tremila anni. A guardala da vicino mi lasciavaesterrefatta, quelle pietre erano davvero enormi e perfettamente ben assemblate tra loro: come avevano fatto Tremila anni fa a trasportarle fin lì e a disporle a secco in maniera così perfetta? Era un progetto difficile da realizzare ai nostri giorni (quasi
impossibile considerando la collocazione ambientale), come avevano fatto loro? I dubbi erano davvero tanti. L’inspiegabile però donava un fascino assoluto alla cosa, perché attivava la mente a compiere delle interpretazioni. La foltissima vegetazione
lì intorno mano mano chiudeva quasi tutti i passaggi, non è stato affatto facile individuare e raggiungere questo luogo: le tracce del percorso spesso si perdevano sotto grandi mura di ginestre e di ginepri, piante di bosso e roverelle. Ma forse è proprio un bene
che Madre Natura stia inglobando di nuovo tutto a sé, non permettendo così alla massa di raggiungere un posto simile, salvaguardandolo e proteggendolo dall’ignoranza e dalla maleducazione.
Delle Mura hanno trattato: G. Simelli, Giornale itinerario, 1810, Miss. Biblioteca di Parigi; F.K. Klenze, in: Amaltea, t. III, pp. 78-110; O. Gerhard, in Aica t. 1, 1829, p.187; C.K. Bunsen, in Annali, VI (1834), pp. 34 ss; G. Martelli, Antichità dei Sicoli 1835; K. Craven, Excursions in the Abruzzi, 1, 1838, p.218; W.L. Abeken, Mittel-Italien vor den Zeiten der römischen Herrshaft, 1843, p. 86; A. Leosini, Monumenti Storici, 1848, pag. 240-241; N. Persichetti, Avanzi di Costruzione pelasgica nell’agro amiternino, in Biag, Sez. Rom. XVII (1902), pp. 134-148. Questa bibliografia relativa alla Murata è stata tracciata dallo studioso Marinangeli e riportata dal Prof. Carlo Tobia nelle note di “Fuori porta la montagna”.