Le piste di sci da fondo del Terminillo sono così belle, così curate e così ben tenute da lasciare perplessi al fatto che nonostante questo ottimo servizio siano anche completamente gratuite. Mantenute sotto l’amministrazione provinciale di Rieti sono unbellissimo esempio di come si riesca a mantenere un bene mettendolo a frutto nella migliore maniera possibile. È questa l’Italia che mi piace. Il brutto tempo di ieri ci aveva costretto a rinunciare a venire qui, perché la condizione della neve non eral’ideale per fare il fondo pattinato, ma questa mattina era una giornata splendida, così bella da farci accantonare tutti gli impegni per venire a percorrere queste piste. Ero elettrizzata all’idea di provare l’attrezzatura da skating, ero convinta didivertirmi fin da subito riuscendo a tenere bene gli equilibri, visto il passato di pattinatrice. Ma quanto mi sbagliavo. Il fondo pattinato è uno degli sport più duri che possa esserci, perché si compone sostanzialmente di una tecnica così perfetta e completache si raggiunge solo dopo tanta pratica. Alla continua ricerca di equilibrio sbagliavo tutti movimenti, portando in contrazione ogni muscolo del corpo. Ho faticato tantissimo a cercare di allinearmi. Ero venuta qui con chi conosceva bene questo sporte lo praticava da anni: mi dicevano che la cosa più importante era quella di apprendere la tecnica nella giusta maniera, passo dopo passo, perché se appresa in maniera sbagliata sarebbe stato poi quasi impossibile correggere gli errori. A fine mattinatami accorgevo di fare alcuni movimenti nel modo giusto perché provavo meno fatica, e questa cosa mi rendeva felice. Credo che questo sport porti davvero tante soddisfazioni, e a me l’insistenza per impararlo non manca.
lunedì 31 gennaio 2011
Le bellissime piste da fondo del Terminillo
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venerdì 28 gennaio 2011
La notte e l'altrove
La notte è un grado di decodificare i sentimenti dell’infanzia, di rivangare la paura del buio assopita dalla crescita. Quel confronto così puro si veste di un oblio inconscio e inspiegabile, dovel’unica cosa da fare è quella di farsi accogliere. Ma non è facile liberarsi a tutto questo, siamo troppo costruiti di difese per riuscire ad intercettare subito questo canale così diretto.La sensibilità facilita la sua percezione, ma nonostante questo c’è sempre da raffinare. Eppure questo confronto è la cosa più naturale e antica del mondo: è un dialogo tra noi e l’infinito,tra noi e la nostra più materna dimensione ancestrale, tra noi e quell’antichissimo limbo contenitore di anime. Tra noi e la notte. L’altrove è quella dimensione. Tutto quello che non vediamo ci fa paura, perché si veste di un silenzio assordante aggregatoredi ombre. Bisogna accostarsi a tutto questo per definire meglio i nostri pensieri, per riconoscersi, per capire un po’ di più dove finisce la nostra anima e comincia l’Universo.
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mercoledì 26 gennaio 2011
Le Mura Ciclopiche di Cansatessa
“La Fonte del Salice si trova in un valloncello che è tributario dell'arcuato fùssu ella muràta, il quale costituisce la parte più bassa ed impervia del lungo impluvio che comincia con la màlle càscia. Il nome di questo tratto di valle deriva dei resti di duegrosse mura megalitiche, realizzate a secco, che si trovano ai lati del fosso (750 m), chiamate localmente Murata del Diavolo o Murata delle Fate” (cit.). Da secoli il mistero di queste enormi pietre che formavano la murata avevano cercato di trovar logicain varie ipotesi: alcune sostenevano che si trattasse delle mura di cinta dell’antica Amiternum (o addirittura le costituenti della stessa acropoli), altre che fossero i resti della struttura di un ponte che collegasse Pitinum con Amiternum; altre ancora, invece,sostenevano che l’enorme muraglia fosse stata eretta per segnare il confine tra i Sabini e i Vestini. Ai Sabini in modo particolare si legavano anche altre curiose interpretazioni che vedevano tale luogo come il loro palcoscenico ideale dove compiere ritipropiziatori e sacrifici cruenti, legati al culto del “ver sacrum”. Quest’ultima immagine si legava bene alla suggestione locale: ho letto che gli abitanti del posto da sempre affermavano che in condizioni di forte vento pareva che la murata ululasse,producendo suoni impressionanti al limite della comprensione. Ovviamente tutte queste ipotesi sono carenti di riscontri storici, l’unica cosa certa è che la datazione di questa inspiegabile murata corre dietro a noi di Tremila anni. A guardala da vicino mi lasciavaesterrefatta, quelle pietre erano davvero enormi e perfettamente ben assemblate tra loro: come avevano fatto Tremila anni fa a trasportarle fin lì e a disporle a secco in maniera così perfetta? Era un progetto difficile da realizzare ai nostri giorni (quasiimpossibile considerando la collocazione ambientale), come avevano fatto loro? I dubbi erano davvero tanti. L’inspiegabile però donava un fascino assoluto alla cosa, perché attivava la mente a compiere delle interpretazioni. La foltissima vegetazionelì intorno mano mano chiudeva quasi tutti i passaggi, non è stato affatto facile individuare e raggiungere questo luogo: le tracce del percorso spesso si perdevano sotto grandi mura di ginestre e di ginepri, piante di bosso e roverelle. Ma forse è proprio un beneche Madre Natura stia inglobando di nuovo tutto a sé, non permettendo così alla massa di raggiungere un posto simile, salvaguardandolo e proteggendolo dall’ignoranza e dalla maleducazione.
Delle Mura hanno trattato: G. Simelli, Giornale itinerario, 1810, Miss. Biblioteca di Parigi; F.K. Klenze, in: Amaltea, t. III, pp. 78-110; O. Gerhard, in Aica t. 1, 1829, p.187; C.K. Bunsen, in Annali, VI (1834), pp. 34 ss; G. Martelli, Antichità dei Sicoli 1835; K. Craven, Excursions in the Abruzzi, 1, 1838, p.218; W.L. Abeken, Mittel-Italien vor den Zeiten der römischen Herrshaft, 1843, p. 86; A. Leosini, Monumenti Storici, 1848, pag. 240-241; N. Persichetti, Avanzi di Costruzione pelasgica nell’agro amiternino, in Biag, Sez. Rom. XVII (1902), pp. 134-148. Questa bibliografia relativa alla Murata è stata tracciata dallo studioso Marinangeli e riportata dal Prof. Carlo Tobia nelle note di “Fuori porta la montagna”.
domenica 23 gennaio 2011
Scialpinismo su Monte Calvo da Fonte Crovella
Sotto il vento della Tramontana molte condizioni sembravano alterate, anche se la neve era sopraggiunta il massiccio del Gran Sasso risultava come un baluardo insormontabile. I ventisuperiori spazzavano e modellavano la cima delle montagne a loro piacimento, generando condizioni di neve così diverse da sembrare originariamente differenti nonostante la stessaesposizione. Monte Calvo era la montagna più sicura su cui potessimo andare. Mano mano che salivamo incontravamo diversissime condizioni di neve, eppure il luogo era semprequello: possibile che in pochi metri di distanza si incontrassero condizioni di neve così diverse? Passavamo facilmente dalla neve fresca a quella ghiacciata, dalla polvere più vaporosa ai lastroni dighiaccio, da quella secca e leggerissima che permetteva bene di scivolare a quella pesante che si attaccava. Alcuni spiazzi addirittura erano stati completamente puliti dal vento,scoprivano la terra congelata e i sassi, talmente brinati dal ghiaccio da sembrare dei coralli bianchi sul fondo del mare. Dare attenzione a tutte queste cose era davvero difficile per chi, comeme, ha iniziato da poco a fare scialpinismo. Ma probabilmente era impegnativo per tutti. Tra le pendenze, la nebbia, i sassi nascosti a filo di neve così come i ginepri infami con le loro maledettecamere d’aria (lo so perché ci sono finita dentro), le superfici ghiacciate e gli alberi, non sapevo più quale santo pregare. E poi non dimenticherò mai quell’incontro romantico avvenuto nelbosco, tra me e la quercia, che con il suo ramo sulla mia traiettoria mi ha dato una sonora frustata sul viso. Che dolore. Ma nonostante tutto questo non cambierei la giornata di oggi connulla al mondo. In fondo in fondo in fondo, stress da sopravvivenza a parte, oggi mi sono proprio divertita! Mi ha colpito tantissimo la bellezza di tutti gli scorci incontrati: non eromai salita da Fonte Crovella, questa per me era una nuova via per conoscere Monte Calvo. La nebbia svaporava l’ambiente conferendogli velature evanescenti, e il bosco sotto questa lentediventava bellissimo perché assomigliava al ritratto dell’ambientazione di una fiaba: la magia veniva fuori proprio da quelle intangibili profondità. La calaverna si modellava su ognunodi quei rami, con una serie infinita di miliardi e miliardi di piccoli aghi di ghiaccio. Tutto si imbiancava di una regalità unica, misteriosa, solenne e bellissima. Monte Calvo è davvero una montagna speciale.
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sabato 22 gennaio 2011
Valle Mara
La neve si caricava sugli alberi, facendoli inchinare alla sua supremazia, appianando un calmo e maestoso sentiero che si vestiva di silenzio e pace. Ogni cosa si percepiva ovattata e dolce,come se fosse stata sentita per la prima volta. Riuscivo tuttavia a distinguere il suono dei singoli fiocchi, sembrava che crepitassero al contatto col mio viso. Valle Mara (o Valle Amara) era una zonamolto cara agli abitanti di Tornimparte, diversamente denominata su carta, saliva dalla zona di Vaccamorta fino sopra al Cerasolo. Bianco nel bianco del bianco di una monocromia che attutiva ognicosa, mi ricordava la suggestione di un sogno e una suite per violoncello. Il maltempo girava ovunque, lasciando la calma solo nei boschi. Qui la neve scendeva piano, posata, risparmiata dalvento e tranquilla. Solo più tardi gli spostamenti d’aria sarebbero giunti anche qui, ma adesso no, adesso ogni cosa era amorevolmente disposta su equilibri impercettibili e calibrati.Quei rami erano così carichi di neve da toccare terra, pareva che rendessero omaggio anche al nostro passaggio, così inchinati in nostra disposizione. Di volta in volta liberati trovavanonuovamente la loro estensione verso il cielo, la loro linea, la loro elevazione verso quella cava fonda celeste che nemmeno per un attimo ha smesso di far nevicare. Come era bella la neve, laguardavo dal basso venirmi incontro con il suo fare incerto, sembrava una danza, ed io ne ero partecipe; ero lì e la guardavo, assistendo ad uno dei miracoli più belli che Madre Natura potesse esprimere.
giovedì 20 gennaio 2011
Prevista ondata di maltempo nella notte tra giovedì 20 e venerdì 21 gennaio 2011
Da un po’ di giorni tutti i siti meteo ne parlavano, alcuni con gioia altri con preoccupazione. C’era chi ne gioiva e chi ne aveva apprensione, chi si allarmava per i disagi stradali, e chi perinvocarla non sapeva più a quale Santo appigliarsi. Stava arrivando. Dopo tanto tempo che appariva e spariva finalmente giungeva il pronostico che si sarebbe stabilizzata. Finalmentesarebbe giunta a far fede all’inverno. Finalmente l’avrebbe amato e onorato nella buona e cattiva sorte. Finalmente. Finalmente arrivava la neve. Come in tutte le cose piacevoli in divenire, laparte più bella si tratteneva nell’attesa, ma l’impazienza agitava l’animo, tanto che non si poteva stare fermi ad aspettarla, bisognava fare qualcosa, bisognava andarle incontro peraccoglierla meglio, per renderle omaggio, per farle capire che nulla più di lei in questo momento poteva essere cosa gradita.
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domenica 16 gennaio 2011
Le Cascate del Ruzzo e il Castello di Pagliara
Il fiume Ruzzo è una risorsa idrica molto importante sia per Teramo che per il resto della Provincia, perché da circa 70 anni li alimenta di acqua, grazie alla complessa ideazione dell’acquedotto che annota la paternità dell’ingegnere Alfonso de Albentiis. Ilprimo salto visibile, nonostante la facile accessibilità, non perdeva le sue naturali caratteristiche, ma manteneva il sapore selvaggio dell’origine, davvero un piccolo paradiso carico di colori meravigliosi. Lo scroscio delle acque si timbrava talmente tanto dienergia da essere rigenerante per la testa, quasi non riuscivo a staccarmi da lì, quello scroscio d’acqua così potente mi faceva stare davvero bene. Il salto superiore della Costa dei Baroni era ancora più bello, si caricava dei colori al limite dell’allucinazione:il rosso vibrava più di tutti, si accostava al turchese e al verde intenso, dando illusione di primavera. Non ho mai visto una zona d’ombra così luminosa: nonostante l’esposizione a Nord (siamo nell’ombra di Monte Brancastello e Monte Prena, da cui sgorga ilFiume Ruzzo) tutto si irradiava in maniera ariosa e limpida. La calda temperatura di oggi ci allontanava dall’inverno: l’erba addirittura si rinverdiva, scoprendo, di tanto in tanto, anche timide margherite. Il Casello di Pagliara si addossava su di unpiccolo rilievo poco distante. Lassù, assieme a quei ruderi, c’era la presenza di una piccola chiesetta, che con la sua bellissima posizione, ammirava quasi tutto il lato Nord del Massiccio del Gran Sasso. Un cartello del Parco riportava le seguentiinformazioni: Santa Maria a Pagliara. Il primo impianto del castello risale al IX secolo. Appartenne ai Conti di Pagliara o di Collepietro, illustre casato dal quale provenne S. Berardo, vescovo di Teramo dal 1116 al 1122. La famiglia ebbe illustrirappresentanti fra i quali risultano numerosi abati, guerrieri e uomini di stato ed ebbe il dominio su buona parte della Valle Siciliana per circa 5 secoli. La nostra chiesetta, S. Marie de Paliaria, la troviamo sulle decime del 1324. Se molte sono lenotizie dei secoli successivi sul castello, sul feudo e sui feudatari di Pagliara sono invece piuttosto scarse quelle sul nostro luogo di culto. Quando Fra’ Nicola vi giunse, nel 1825, trovò la chiesa completamente diruta e la ricostruì aggiungendovi una parteabitativa. La prima domenica dopo Pasqua i fedeli di S. Massimo, frazione di Isola del Gran Sasso, e in misura minore quelli dei paesi vicini, si recano sul colle per i festeggiamenti in onore alla Madonna. Questa data non è fissa e se il cattivo tempo nonpermette questa breve scampagnata, la festa viene rinviata di settimana in settimana.
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