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I ruderi dell’antica Taverna di Collepietro giacevano anonimi
tra i rovi, tutto era stato fagocitato dal tempo, soltanto la memoria
del nome
era rimasta a darne testimonianza. Poche mura, a malapena protese al cielo, un
tempo facevano da riferimento importante
per chi passava sulle vie della
Transumanza, quando tutto era più lento e dilatato, i viaggi si compivano a
piedi e a rischiarare la notte
c’erano soltanto i lumi delle lanterne. Chissà
come doveva apparire la Piana di Navelli a quei pastori nella notte rischiarata
soltanto
dalle stelle, quanto dovevano essere preziosi quei ripari per loro e
le loro greggi, e quanto era apprezzato un pasto caldo ed un
giaciglio al
sicuro. Adesso i tempi erano cambiati, le distanze annullate, le priorità differenti
con esiti scontati sul valore delle cose.
Interessanti informazioni sulla zona sono riportate in
questo articolo che invito a leggere:
Sull’altopiano dei Prati di Foce, nascosti nel
fitto della vegetazione, rimanevano i resti di un’antica chiesa battesimale
dedicata
a San Giuliano. L’individuazione era stata facilitata da una piccola
targa e da alcune segnalazioni temporanee poste recentemente,
plausibilmente
finalizzate alla valorizzazione storico-naturalistica del territorio.
L’attestazione della chiesa risaliva alla metà
del XII secolo, e secondo gli
studi la sua struttura era frutto del reimpiego di blocchi calcarei e di epigrafi
di età romana.
Le piccole mura rimaste in piedi definivano come uno scrigno
l’area sacra, che con la consapevolezza della storia e la bellezza
del bosco
circostante, si svelavano ancor più preziose nella percezione. (Interessanti
informazioni sulla chiesa sono riportate in
questa pagina web). L’altopiano di Foce
si raccoglieva sotto il suo anfiteatro di montagne dai manti boscosi imbruniti
dal
freddo, con l’erba rasa ancora verde dei prati che ingannava la percezione
delle stagioni. Una modesta pioggia scendeva
leggera, bagnando i colori e
rendendoli più brillanti. La magnifica quercia di Basanello – la famosa Cacatora – ci accoglieva
come un riparo,
così imponente e antica, censita e protetta, giungeva a noi come un monumento
da tutelare. Tra strade
e antichi sentieri dimenticati e poi riscoperti
compivamo un anello ridiscendendo nella piana presso il Casale Federici, ancora
in piedi ma cadente e malridotto dal peso degli anni, sempre più vestito di
rovi e destinato all’oblio.
I morbidi pendii di Monte Calvo trattenevano a malapena i
residui di neve, concentrati maggiormente nella parte sommitale.
La bellezza
dei panorami era ammirabile a trecentosessanta gradi, complice di una giornata
tersa dalle condizioni più simili a
quelle della primavera prossima al
risveglio, mentre l’inverno era già a Nord, dove il freddo assumeva la luce blu
delle ombre
sulla neve, tra piccoli ricami di calaverne ghiacciate. Una lunga
carrareccia metteva in congiunzione il Ponte Radio, Forca
Porcini, il Ricovero
delle Jubbere e Fonte Crovella, ne seguivamo parti dissestate, tra i pendii
erbosi e parti liminari di bosco. Il
pomeriggio si inoltrava presto nel buio, i
cavalli trovavano riposo alle pendici della montagna e tutto volgeva nella
quiete.