Salivamo il
ripido Vallone di Fua, immergendoci in una piacevole dimensione d’ombra. Quella
forra selvaggia veniva attraversatada un sentiero che accedeva ai prati
superiori, dove alcuni rifugi in pietra, nella località delle Caparnie,
venivano affidatistagionalmente ai pastori di Santa Anatolia. Era da poco
iniziata l’estate, e i prati superiori esponevano al meglio le ultime
fioriturerimaste. Il Lago della Duchessa si arricchiva della bellezza degli
armenti: mucche e cavalli vi trovavano il ristoro bivaccando sullerive,
lasciandosi riflettere assieme al cielo in quello specchio d’acqua. Il rumore dei
loro campanacci risuonavanell'aria trovando una piacevole cassa di
risonanza in quella depressione. Alcuni ranuncoli in prossimità delle rive erano
statisommersi dall’abbondanza delle ultime precipitazioni, la loro bellezza
pareva bloccarsi nel tempo, mentre poco distantiscorgevamo un gran numero di
tritoni crestati, indisturbati dalla nostra presenza. Procedevamo in direzione
del Male Passo, allaricerca di uno dei più bei punti di vista sul Monte Velino,
e mano a mano che avanzavamo vedevamo aprirsi sotto di noi anche lamaestosa grandiosità
del Vallone di Teve. Quell’enorme canale boscoso pareva sprofondare al cospetto
delle montagne che netenevano il registro; sempre con tantissimo piacere distinguevo ancora al suo interno
il piccolo bosco di betulle che tanto avevo cercato.
domenica 22 giugno 2014
Anello della Duchessa, per la Valle di Fua, il Male Passo e il Vallone di Teve
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martedì 10 giugno 2014
Monte Cava dal Valico della Chiesola di Lucoli
Il Valico della
Chiesola molti anni fa accoglieva una piccola chiesa dedicata a San Felice, la Ecclesia Sancti Felicis de Camardosa, di
cui alcuni documenti ne testimoniavano la presenza fin già nel XIIsecolo. Di quella
piccola costruzione, divenuta ricovero pastorale prima di scomparire del tutto,
ne rimaneva soltanto la denominazione presa nei secoli più recenti: la Chiesola
di Lucoli,da cui appunto il nome del valico. Diversi insediamenti in passato si
erano registrati in quelle zone, e a darcene testimonianza erano i documenti
sulla storia abruzzese scritti da Anton LudovicoAntinori: un villaggio già inabitato
nel XVII secolo rendeva le sue spoglie alla zona del Cerasolo, ma ormai non c’era
più nulla da vedere di quelle pietre vissute, e persino la più reconditamemoria
tendeva a dissolversi col passare degli anni. Molte carrarecce si incrociavano
tra loro tessendo l’antica viabilità che collegava il territorio aquilano col quello
del Cicolano, noiseguivamo parte di quei sentieri prima di seguire il filo di
cresta di Monte Cava. I pascoli stanziavano nel bosco al riparo dal sole e dall’aria
immobile, mentre noi ammiravamo tutti i profili dellemontagne circostanti,
offuscati leggermente dall’umidità che mano a mano generava in cielo le torri
dei cumulonembi.
domenica 8 giugno 2014
La Via del Pesce nelle Gole di Celano
La Via del Pesce
era un antico tragitto che metteva in comunicazione il versante aquilano
con le antiche sponde del lagoFucino. Prima dei Torlonia la piana era un
immenso bacino d’acqua naturale, che più volte si era provato a prosciugare pervia dell’irregolare livello delle piene stagionali e per la sua natura melmosa
portatrice di malaria. L’antico sentiero partiva da Aiellitrovando un ampio valico
su Prato di Cerro, tra il versante Sud di Monte Etra e quello a Nord di Monte
Secino, per poi immettersi amezza costa nelle suggestive Gole di Celano,
costituendo la via più breve per raggiungere la Val d’Arano poiché evitava di perderequota nella forra sottostante. Compivamo
un anello passando lungo le creste di Monte Savina e Monte Etra, scoprendo dalontano il versante morbido del Sirente e da vicino un’infinita varietà di
fiori dai colori sorprendenti, tutti all’apice della lorobellezza. Ammiravamo
il volo dei grifoni ed anche l’acrobazia meccanica di un piccolo velivolo, che
visto dall’alto loguardavamo infilarsi in quello squarcio di montagna, lasciandomi sognare
il suo punto di vista. La riscoperta della funzionalità diquesto antico
sentiero era avvenuta per merito di Mario d’Angelosante, senza dubbio uno dei
maggiori conoscitori del territorio montuoso d’Abruzzo.
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giovedì 5 giugno 2014
Anello di Collebrincioni e Monte Castellano e la memoria del 23 settembre del 1943
Da Collebrincioni
saliva una ripida strada in direzione di Monte Castellano, la memoria correva
indietro nel tempo al 23 settembre del 1943. Queste zone avevano vissuto l’esperienza
diundici ragazzi, tutti amici intorno a vent’anni, rimasti fedeli fino alla morte.
Umberto, Stefano, Francesco, Fernando, Berardino, Pio, Carmine, Sante, Giorgio,
Anteo e Bruno erano undici amiciche attendevano. Tra loro, Bruno aspettava suo
padre, il tenente colonnello Gaetano d’Inzillo, che aveva promesso a suo figlio
e ai suoi amici di portarli via da Collebricioni. C’era la guerra e loropartecipavano
ad un piano di resistenza ben preciso, che li vedeva coinvolti nel recupero di
armi da condurre nel teramano. Passava la notte e loro sognavano di realizzare
il diritto allapropria libertà, sognavano il Bosco Martese, e ponevano fiducia
agli uomini con più esperienza, quelli che sapevano sparare, che non li
avrebbero mai abbandonati alla volontà degli invasori. Ma lanotte passava e
non ci fu fede all’appuntamento. L’indomani la voce tedesca risuonava tra i
vicoli di Collebrincioni, i ragazzi fuggivano in direzione di Monte Castellano
sotto il raggioscoperto di una mitragliatrice, alcuni risposero al fuoco, ma
Umberto venne ferito. I suoi amici nonostante il terrore della loro condizione non
lo abbandonarono, lasciarono cadere a terra learmi che nemmeno sapevano usare:
uno venne graziato, gli altri nove divennero i Martiri Aquilani. L’anticima di monte Castellano teneva la memoria
di quel giorno con una croce, doveun piccolo uccello vi si era posato sopra. La
memoria di quel giorno si perdeva nella bellezza delle fioriture e nei colori rinnovati
delle montagne, una disperazione lontana ma di cui la terra manteneva ancora l’umore.
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