La
montagna del Morrone si ammorbidiva sotto un profilo arrotondato, trovando il contrasto solo nei canali strapiombanti. Ogni volta stimavo la scelta dei Santi
di accostarsi alla visione più sublime della Natura, dove le sue forze entravano
in gioco tra burroni e voragini, e il limite umano rimaneva
sempre indietro. Ilversante meridionale del Morrone sembrava
lacerato da un’artigliata diabolica, e proprio sul ciglio di uno di questi fossi
scoscesi sorgeva l'eremo di Sant'Onofrio, l'ultima dimora di Celestino V. Intercettavamo un
comodo sentiero che da Badia Morronese saliva in direzione del Colle delle
Vacche, dove unrifugio non custodito aveva il privilegio di ammirare la parte
alta della montagna. Superati i canali dell’Occhio Bianco e della Valle dell’Inferno,
scorgevamo dietro enormi macigni l’eremo di Santa Maria de Cryptis al Morrone. “In capo del Cerrito, la Cappelluccia di
Santa Croce, della quale per distanza di mezzo miglio in circadi lunghezza, si
va per una pianura nominata ‘le vicende’, et se arriva al pede del monte
Morrone, nel quale sta la grotta dove dimorò per alcun tempo San Pietro
Celestino, appiedi della quale si trova la Ecclesia di S. M. in Ruta.” Citazione
tratta da “Rassegna Abruzzese di Storia
e Arte” scritta da GiuseppeCelidonio nel 1898. Questa era l’unica notizia
storica sull’eremo di Santa Maria de Cryptis, dimenticato per secoli da tutti e
fino a pochi anni fa anche sconosciuto nell’ubicazione. La grotta chiudeva parzialmente
il suo ingresso con un muro di epoca medievale, nascondendo all’interno l’incisione
di tre crocisegnate sulla roccia. In linea d’aria, a meno di un chilometro, la
piccola chiesetta di Santa Croce sorgeva solitaria sulla sommità di un rilievo,
mantenendo il legame visivo con la Grotta di Santa Maria. L’Eremo di Santa Croce o di San Pietro è visibile da buona parte della
Valle Peligna per la sua magnifica posizione sullasommità del colle ove, molto
più in basso sui primi dirupi, sorge anche l’Eremo di Sant’Onofrio. È il
secondo romitorio fatto costruire da Pietro sul Morrone, probabilmente intorno
al 1260, dopo quello di Santa Maria. Diverse testimonianze del processo di
canonizzazione narrano di aver visto Pietro in Santa Crocenell’arco di diversi
anni ed uno dei testi racconta di averlo visto compiere un miracolo nella
vicinissima località detta “Il Vellanito”. Sull’importanza e la funzione che il
luogo di culto ebbe nel passato i pareri degli studiosi sono piuttosto
discordi. Alcuni sostengono che in Santa Croce vi fosse un cenobio, altriparlano solo di una modesta cella eremitica. A giudicare da ciò che ne rimane è
difficile immaginare che un tempo potesse esservi un cenobio, per quanto
modesto: anche le testimonianze dei secoli precedenti parlano sempre e solo di
una “cappelluccia”. La cappellina, coperta da una volta a botte,è di modeste
dimensioni: all’interno solo alcune nicchie e un altarino diruto. Oltre all’ingresso
principale troviamo, lateralmente, un altro piccolo ingresso ora completamente
chiuso. La finestrella absidale è costituita da una stretta fessura. Il luogo
di culto ha sicuramente visto periodi migliori e numerosieremiti si sono
succeduti sulla cima del colle, ma la crisi della pastorizia ed il conseguente
abbandono dei pascoli del Morrone hanno determinato la sua lenta decadenza: per
secoli il luogo di culto era vissuto forse solo in funzione della società
pastorale. Il Polce in un suo libro sulla Valle Peligna parla di eremiti che,
aiprimi del Novecento, dimoravano ancora nella minuscola cella. (Citazione
tratta da “Eremi d’Abruzzo – Guida ai
luoghi di culto rupestri”, Carsa Edizioni). Chiudevamo il percorso ad
anello in direzione dell’Eremo di Sant’Onofrio, scendendo il ripido canale che
lo fiancheggiava alla sua destra. Tra salti di roccia, appigli ed arbusti,
scoprivamo solo alla fine che quel percorso erada farsi solo in salita. Venivamo
ripagati da tutti gli sforzi con l’ingresso aperto della Chiesa, finalmente
potevamo ammirare gli affreschi duecenteschi dell’antico oratorio, dove la
quiete traspariva dai colori, ispirando all’anima una profonda sensazione di
pace.
sabato 29 marzo 2014
Anello degli Eremi Celestiniani: Santa Maria de Cryptis, Santa Croce e Sant'Onofrio al Morrone
domenica 16 marzo 2014
Monte Tilia da Leonessa e la Torre Angioina
Monte Tilia sovrastava l’abitato di
Leonessa, proteggendolo ad Ovest con la sua conformazione grandiosa, così
importante da lasciar presupporre il forte legame tra quella comunità e la suamontagna. Fino al 1927 anche queste erano terre d’Abruzzo, passarono alla
provincia di Rieti durante il periodo del ventennio fascista. L’appartenenza
abruzzese si leggeva anche nellaconformazione di alcuni lacerti di cinta
muraria che culminavano a 1254 metri di quota inglobando un’antica torre
angioina: quello era il tipico assetto di fortificazione dei castelli-recinto di pendiodiffusi in
Abruzzo. Monte Tilia segnava il suo versante a Nord-Est con un impianto di risalita
ormai dismesso da anni, da lì partiva un percorso che compiva un anello su
tutta la montagna,lasciando scoprire nuove visuali sul territorio: la più
inedita fra tutte, per me, era quella rivolta al Gran Sasso, con la lettura quasi
esclusiva di Monte Corvo e Monte San Franco. La primavera davasegno dei suoi
risvegli con le prime fioriture di crochi ed erba trinità, la neve si
tratteneva nelle zone d’ombra, ma ormai era inevitabile il rinnovo della vita,
con il calore del sole chefecondava la terra. I monti Reatini si vestivano nelle
parti sommitali del tratteggio di alberi stilizzati, che posti a contrasto con
la neve, rendevano il gioco di trasparenze e velature. La cimadi Monte Tilia
si deturpava per mano dell’uomo a causa di una vecchia sciovia abbandonata,
così come alcune strutture ricettive poste nei pressi del Laghetto: di quei
locali ormai ne rimanevanosoltanto le mura dismesse ed il ricordo di remote
stagioni invernali. Il percorso proseguiva al di sopra dei Prati dell’Acquaro,
lasciando scoprire la bellezza del Fosso Fascino diLeonessa. Una deviazione
del sentiero dal suolo marcato conduceva alla Torre Angioina: attraverso una piccola
serie di brevi saliscendi si usciva dal bosco con la sorprendente visionedella
maestosa torre a nove lati scanditi da paraste. Venne fatta edificare nel 1278
da Carlo I d’Angiò al fine di rafforzare i confini del suo regno. Una scalinata
attrezzata da pochi anni dava accessoalla pancia della torre, dove una
balconata si affacciava sull’abitato di Leonessa, lasciando ammirare dall’alto
la sua bellissima conformazione a mandorla.
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sabato 15 marzo 2014
Il Rifugio del Monte da Prato Selva
Il bosco sopra
Prato Selva viveva pienamente il suo inverno, con l’ombra degli alberi che si
estendeva sulla neve come un pentagramma silenzioso. La luce del mattino
filtrava tra i ramispogli senza incontrare molti ostacoli, diffondendosi ovunque
come una dichiarazione di quiete. Salivamo in direzione del Rifugio del Monte,
per ammirare la bellezza del suo punto di vista.Mano a mano si scorgevano
alcune balze affilate su Pizzo d’Intermesoli, che fuoriuscendo dalla neve disturbavano
l’armonia di quella grandiosa coltre bianca. Il Fosso del Montesembrava la
pancia dell’inverno, si caricava di un potenziale pauroso come a voler
sottolineare la superiorità assoluta di Monte Corvo. Il Rifugio del Monte si
inseriva in uno degli scenaripiù affascinanti e selvaggi del Gran Sasso, attualmente
gestito su prenotazione, tiene aggiornate tutte le sue attività nel suo sito web: www.rifugiodelmonte.it
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domenica 9 marzo 2014
Santa Maria della Croce di Assergi
La strada fondovalle
del Vasto lasciava scoprire, lungo il suo cammino, i ruderi della chiesa di
Santa Maria della Croce. Semi-nascosti dalla vegetazione si individuavano
soprattutto grazie ad una piccola tabella dell’Archeoclub, da lì lo sguardo si
alzava perlocalizzare il sito d’interesse, che si trovava ai piedi della
parete rocciosa. Ciò che rimane della
vecchia costruzione, oltre il suo muro a valle, è la parte absidale i cui resti
chiudono dei piccoli vani sotto roccia. Buona parte del corpo della
costruzione,quello verso valle, doveva essere scoperta, e costituiva una
specie di sagrato della chiesa. È invece evidente la copertura della parte
antistante l’abside dagli scarsi resti che comunque ne lasciano intuire la
planimetria. Ai due spigoli della costruzione sinotano infatti le imposte di
volta della copertura della zona antistante l’abside. A pochi metri dalla
chiesa si nota un altro piccolissimo riparo parzialmente chiuso da mura, nel
cui interno vediamo una vasca di raccolta dell’acqua. A questo luogo diculto
della bella Valle del Vasto il popolo di Assergi donò, nel 1525, una vicina
cava di pietre per macine da mulino. Il reddito derivante dalla cava doveva
servire alla manutenzione della chiesa. Non sappiamo fino a quando la chiesa fu
aperta al culto,ma è probabile che il terremoto del 1703, che distrusse
moltissimi paesi, causò il crollo anche di S. Maria della Croce. Realizzazione
Archeoclub – Pescara – Majambiente. (Informazioni tratte da un cartello
informativo del luogo).
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Anello di Assergi, Monte di Aragno e la Valle del Vasto, percorrendo le terre della Resistenza
Attraversavamo i
paesi di Assergi e Camarda investiti dalla luce pacata del mattino. Ogni tanto
usciva qualche vecchio abitante, rimasto fedele alla sua casa, e ci salutava
con una gentilezza dialtri tempi,
portatrice di auguri. Nei loro occhi si leggeva una consapevolezza diversa
dalla nostra, per loro la montagna manifestava più incognite che svaghi. Una
strada di fondovalleraggiungeva Aragno, che raccoglieva nella parte alta tutto
il suo passato: vi erano case vecchie e abbandonate, devastate dal tempo e dal
terremoto, rivestite di rovi e muschi, e inabissate nelsilenzio di volte
sfondate. Settant’anni fa in quelle case si vociferava sulla Resistenza, si
aveva paura, e si cercava di schivare lo sguardo tedesco. Aragno era stata la
culla dellaResistenza armata aquilana, proprio qui si innescarono le direttive
dell’organizzazione partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Alle porte
della montagna trovavamo i sentieriper il Monte di Aragno, ammiravamo la
catena occidentale del Gran Sasso rivestita dal candore della neve, su cui
nuvole sfilacciate proiettavano la propria ombra. Sotto di noi la Valle delVasto giaceva come un deserto, spesso spoglia e senza ripari, si componeva di
colline e saliscendi prima di toccare il fondo boscoso verso il letto del
fiume. Diversi casolari abbandonatidavano memoria della presenza dell’uomo, ma
uno tra tutti era quello che aveva segnato la Storia: il Casale Cappelli. Erano
passati molti anni dal triste episodio che vide questo luogo teatrodi morte, di
cui ormai ne rimanevano soltanto poche mura pericolanti ed una lapide affissa
alla memoria di Giovanni di Vincenzo. Il 4 maggio 1944, un piccolo gruppo di
sei partigiani siera rifugiato in questo casolare a pochi chilometri da
Assergi: si erano attardati in paese per raccogliere informazioni e viveri,
mentre il resto della brigata aveva già raggiunto un altro riparonel bosco del
Chiarino. L’imbrunire fece rimandare la partenza all’indomani, chissà quanti
sogni di libertà animavano le loro menti, prima di perdersi nel sonno, al
riparo dell’antico casolare,anche noto come Casale Jenca. Ma intorno alla mezzanotte, a seguito di una
soffiata dei repubblichini, il casolare fu circondato da un centinaio di
nazifascisti che con facilità asserragliòla stazione, con la morte immediata
di Giovanni di Vincenzo, colui che era di guardia. Furono tutti presi, ad
eccezione di uno che riuscì a dileguarsi. Un triste capitolo di storia della
Resistenzaabruzzese veniva scritto su queste pietre, ormai sconnesse e
fatiscenti, intricate di rovi e fasci di liane. Tornavamo ad Assergi seguendo
il corso del fiume, lo stesso percorso dei nostri progenitori.
Escursione organizzata dal CAI di Isola del Gran Sasso, coordinata da Luciano del Sordo.
Per approfondimenti sugli
eventi storici relativi alla Resistenza armata aquilana: “L’Aquila dall’armistizio
alla Repubblica 1943-1946” di Walter
Cavalieri, Edizioni Studio 7 L’Aquila, 1994.
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