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Il Lago di Penne
lasciava scorrere su di sé il riflesso del cielo, animato dai toni caldi del
prossimo tramonto. Alcune nicottere stanziavano in lontananza lasciando
riecheggiare il loro verso nella conca del lago, le loro voci si ascoltavano
come se venissero da molto lontano, apparivano e scomparivano nei loro echi distanti,
mentre il cielo si animava del passaggio degli aironi, disposti agli ultimi
spostamenti nell’aria, prima del riposo della
sera. In quell’ora il silenzio
avvolgeva ogni riva, nemmeno un filo di vento ne striava la superficie. Il Lago di Penne, costruito nel 1965 dal
Consorzio di Bonifica Vestina, con uno sbarramento artificiale in terra alto 30
metri e lungo circa 500, al massimo livello raggiunge la quota di 256,5 metri
s.l.m. con una superficie di 70 ettari. A primavera inoltrata, dopo le piogge
abbondanti, il bacino pieno ha una profondità media di 10 metri. L’acqua è
utilizzata durante l’estate per
irrigare i terreni della valle del Tavo. Ogni fine estate il lago si svuota
rapidamente, riducendosi ad un modesto laghetto di qualche ettaro di estensione
con pochi metri di profondità. Bisognerà attendere la nuova primavera perché
l’invaso torni ai livelli più alti. Il sistematico riempimento e svuotamento
espone le sponde del lago ai fenomeni di instabilità nei tratti caratterizzati
dalle scarpate ripide. Il lago
artificiale del fiume Tavo, a partire dagli
inizi degli anni Ottanta, è stato oggetto di interessi naturalistici da parte
del WWF e di numerosi cittadini di Penne, fino a quando la Regione Abruzzo con due
leggi, la n. 26 del 1987 e la n. 97 del 1989, ha istituito una riserva naturale
con l’azione concreta di tutela dell’ambiente umido. La riserva è gestita da un
comitato costituito da Comune di Penne, Consorzio di Bonifica Centro e
WWF
Italia. Il comune ha inoltre incaricato, per la gestione operativa e tecnica,
la cooperativa COGECSTRE. Grazie ai numerosi progetti realizzati, l’area
protetta vestina rappresenta oggi un progetto di sviluppo sostenibile a livello
europeo. Le tappe più significative in questa piccola area protetta risalgono
agli anni Ottanta quando, nel 1985, l’Amministrazione Provinciale di Pescara
istituì a Penne l’Oasi di Protezione della
fauna, vietando l’attività
venatoria. La riserva è un importante luogo di sosta e di riproduzione dell’avifauna
stanziale, di passo e nidificante. Nella Riserva sono state avviate alcune
importanti iniziative di conservazione della fauna, il Progetto Lontra del WWF
Italia, con la realizzazione sulle rive del lago di un centro di riproduzione e
di educazione del rarissimo mustelide. Altri progetti di conservazione, in
collaborazione con l’Università La
Sapienza di Roma sono: Progetto recupero
della testuggine terrestre, Progetto Anfibi, Progetto Capriolo, Giardino delle
Farfalle. La Riserva Lago di Penne ha concentrato la sua attenzione sul
progetto Ecologia dei Mustelidi: per la prima volta in Italia sono stati
applicati radio collari ad oltre trenta puzzole (Mustela putorius) allo stato
selvatico. I risultati di questa ricerca sono stati sorprendenti in quanto sono
stati acquisiti
nuovi elementi conoscitivi inerenti l’ecologia e la biologia
della puzzola europea. Con l’Università dell’Aquila è in corso una
collaborazione per le attività del laboratorio entomologico e la creazione di
un nuovo Museo della Farfalla, con relativi tirocini formativi del corso di
Educazione ambientale della facoltà di Scienze ambientali. Il Progetto Anfibi,
oltre alla ricerca sul campo inerente l’ecologia delle diverse specie
appartenenti a
questo gruppo, ha previsto la costruzione di alcuni stagni
artificiali, volti a favorire l’aumento della popolazione di raganella (Hyla
intermedia). La qualificazione ambientale, a totale rimboschimento
naturalistico, è inserita in un progetto di ripristino dell’ambiente naturale.
(Notizie tratte da un cartello informativo del luogo).
Il sentiero che
dal convento di San Giuliano conduceva a Monte Castelvecchio, alla famosa Crocetta, era uno dei percorsi più
conosciuti dagli abitanti dell’Aquila, solo io non lo avevo mai
percorso, anche
se da tempo ne avevo la curiosità per vedere la voragine che si era aperta nel
terreno a seguito del terremoto del 2009. La terra si era incredibilmente
squarciata in quella
spaccatura, avevo visto delle foto a riguardo, ma dal vivo
faceva certamente un altro effetto. Diversi aspetti segnavano quella zona,
quasi a volerne compromettere la bellezza, la montagna si
vestiva di alberi
spettrali, carbonizzati, che portavano la memoria anche dell’incendio del 2007,
ma più il sentiero saliva e più si scoprivano le montagne, più quel territorio
si riappropriava della
bellezza del suo punto di vista. La città dell’Aquila
riposava sotto un sottile strato di nebbia, la neve si spolverava sui tetti e
sui rilievi più bassi, fino a manifestarsi in maniera assoluta sulle
montagne
più alte. Il massiccio del Gran Sasso era completamente imbiancato, immacolato
di tanto in tanto dalla luce del sole che filtrava tra le nubi, così come il
Sirente e la dorsale Monte Ocre:
quel piccolo balcone si affacciava su tutta la
città e le montagne circostanti rilevando la bellezza dal suo invidiabile punto
di vista, anche se basso. Nonostante i segni del terremoto e dell’incendio,
la Crocetta continuava ad essere percorsa
dagli aquilani, che come sempre ne seguivano i sentieri fino a marcarli e
rimarcarli, come se quei tracciati fossero le linee di unione di un legame
profondo, ed ogni passaggio ne sottolineasse per l’ennesima volta l’importanza.

I rami sottili
dei faggi si intrecciavano tra loro, quasi a voler stabilire un sodalizio tra
ogni singola pianta, la neve poi ricopriva
tutto e sigillava quelle unioni in
una superficie unica. Quella visione pareva l’intelaiatura di un tetto, come se
quella struttura
fosse l’idea di un qualcosa in grado di proteggerci, come un
riparo, una casa, il bosco ci accoglieva al suo interno e si lasciava
percorrere nelle sue dimensioni più intime. La neve aveva coperto ogni cosa,
persino i tronchi degli alberi ne erano rivestiti,
il suo candore schiariva ulteriormente
il silenzio del bosco, così assoluto e intatto da ogni altra presenza. La valle
della Giumenta
si marcava solo delle nostre tracce, di tanto in tanto ne
incrociavamo qualcuna di qualche animale, ma erano davvero
poche e quasi
completamente rivestite. Ci affacciavamo sulla Valle del Morretano dove il
bianco dominava su tutto, persino il
cielo era coperto di nebbia, tanto da
cancellare i profili della terra e generare così un’unica estensione. Fissavo il
candore della neve
e scoprivo interminabili giochi di frattali: senza riferimenti
visivi la vertigine viveva dell’illusione ottica di uno strano caleidoscopio
naturale.
