In poche ore le
temperature erano precipitate da 33 gradi a 3 gradi. Non potevo credere che a
fine agosto avrei visto la neve,eppure Livigno era completamente imbiancata,
investita da grandi fiocchi che scendevano abbondantemente. Tuttoassumeva una suggestione
natalizia, le case, le strade, le montagne parlavano d’inverno, mentre la gente
percorreva le viedel paese con ombrello e scarpe estive. Le fioriere, piene di
gerani e di surfinie, tradivano la suggestione della stagione fredda,eppure
tutto si incantava nel bianco, e ci sarebbe rimasto per diverse ore. L’indomani
partivamo passando per il confine. Laneve si era sciolta nelle strade, ma
rimaneva su quote più alte. Le montagne svizzere vivevano ancora la suggestione
dell’inverno,così imbiancate da spolverate di neve, così silenziose ed intime.
Le stagioni si tradivano a vicenda, ma questo sulle Alpi era possibile.
venerdì 31 agosto 2012
Livigno sotto la neve di fine agosto
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giovedì 30 agosto 2012
Le cascate di Stanghe
La gola Gilfenklamm presso Stanghe, con
le sue cascate spumeggianti, i gorghi vorticosi ed i profondi tonfani, è uno
degli spettacoli naturali più suggestivi dell’arco alpino. Lungo l’arditosentiero, scavato nel 1893-95, e attraverso una dozzina di passerelle ci
addentriamo nello stretto orrido scolpito, nel corso di ben 12000 anni, nel
marmo dal rio Racines. Un possentebanco di marmo inglobato in scure rocce di
paragneiss e micascisti ostruisce lo sbocco della Val Racines. Alghe dai
riflessi verdastri ricoprono quasi completamente il marmo di un biancoabbagliante, che rifulge dalle vasche levigate dall’acqua sul buio fondo del
burrone. Al vicino Sasso di Mareta (2192 m) il marmo viene anche estratto
industrialmente. Nell’ambienteperennemente saturo di acqua nebulizzata dalle
cascate crescono solo specie idrofile come alghe, muschi e felci. Nei punti in
cui si è accumulata della terra e si infiltra qualche raggio disole il cupo
canyon è punteggiato di variopinte megaforbie come la barba di capra, l’adenostile,
l’aconito, la lattuga alpina, la genziana, la felce maschio e il senecio
comune. (Notizie tratte
da un cartello informativo del luogo).
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mercoledì 29 agosto 2012
La Val Ridanna e la Miniera di Monteneve
La strada saliva
attraverso la Val Ridanna lasciando scoprire mano a mano i suoi piccoli paesi.
Lateralmente, delle montagnealtissime incorniciavano la vallata, abbellendola
in lontananza della visione di cascate e ruscelli. La parte culminante della valleera sovrastata dalla miniera di Monteneve, che, con la sua estensione tra i
2000 e i 2650 metri di altitudine nel cuore delleAlpi, era considerata la più
alta d’Europa. Per moltissimi anni si estrassero da essa enormi quantità di argento,
di piombo e dizinco, fino all’anno 1985, quando venne definitivamente chiusa.
Attualmente i macchinari spenti risultano ancora funzionanti,tanto da venire
usati in maniera dimostrativa durante le visite guidate: l’estrazione mineraria
lasciava il posto all’esposizionemuseale, la Miniera di Monteneve veniva
ripensata come polo di attrazione turistica, continuando a lasciar lavorare i
vecchiminatori del posto (o i loro successori) come guide in grado di
illustrare la vita che si svolgeva nelle gallerie e tutti i processidi
estrazione dei metalli.
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martedì 28 agosto 2012
Monte Ortigara dal Rifugio Campomulo
Monte Ortigara era per eccellenza la montagna degli uomini. Il
vento soffiava lungo gli avvallamenti, accarezzando un’antica montagna scolpita
dalle bombe. Quasi nulla rispecchiava il profilo originale dell’antico rilievo:
la guerra ne aveva stravolto le forme,un susseguirsi di crateri spianava
vallate e depressioni, e in quelle fosse avevano trovato la morte molti uomini.
Camminavamo in silenzio, nel massimo rispetto di quello che un tempo aveva
sopportato, perché il dolore e la morte trattenevano nella terra lepreghiere
di tanti. L’erba si rinnovava di anno in anno, ma ogni germoglio ne protraeva
il ricordo, con la propria linfa mischiata al sangue dei soldati. Guardavo dall’alto
il Vallone dell’Agnellizza, una distesa di alberi ammantava quella terra di
morte, cercandodi coprire il più possibile il bianco della pietra scoperta
dalle mine. La natura si riprendeva quello che le era stato tolto come una
madre delusa, provavo un orrore infinito al pensiero della Prima Guerra
Mondiale. La Pozza dell’Agnellizza è un
vastoavvallamento che divide i due crinali montuosi dell’Ortigara a occidente
e della Caldiera ad oriente. Divenne presto tristemente conosciuta dagli alpini
della 52^ Divisione, che la ribattezzarono “Vallone della Morte”. Completamente
espostaalla vista della linea austriaca e delle sue postazioni di artiglieria
di Corno di Campo Bianco, di Monte Forno e della stessa Ortigara, era il
passaggio obbligato che dovevano percorrere gli alpini prima per attaccare le
quote dell’Ortigara e, una voltaconquistate, per portarvi i rifornimenti di
viveri e munizioni, oltre che le batterie da montagna trasportate a spalla fin
sulle quote di 2105 e 2101. Tutte le testimonianze ricordano con orrore e
raccapriccio il terreno cosparso di morti e di feriti chechiedevano aiuto, e
che non potevano essere raccolti che di notte per non subire ulteriori perdite.
Racconta il Sott. Italo Zaina del Battaglione Spluga: “Corvé di portatori,
barellieri, portaordini, vanno e vengono attraverso il Vallone, sul terrenoaccidentato dalle rocce e dalle buche, ingombro di neve fracida e di pozze d’acque,
cosparso di morti e di feriti, di grovigli di ferro e di materiali d’ogni
specie. I portaferiti cercano e chiamano lungo il terreno sconvolto, si
caricano del loro peso doloroso e s’incamminano sotto il fuoco verso le
posizioni italiane”. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo).
Sulla cima del Monte Ortigara, una corona di alloro secco giaceva tra i resti
arrugginiti di vecchi arnesi e fili spinati, residui di secchi e di gavette,rottami che un tempo avevano funzioni
fondamentali, ma che adesso, sotto la volta del cielo, cercavano a loro modo di
uniformarsi al colore della terra. Ogni cosa pareva volesse tornare all’origine.
Il cippo italiano e quello austriacoricordavano i propri i morti disposti in
maniera distante l’uno dall’altro, volevano distinguersi nonostante portassero
entrambi la memoria di poveri uomini costretti a combattere con i propri
simili.
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lunedì 27 agosto 2012
Anello piccolo della Campolonga
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sabato 18 agosto 2012
Anello in mountain bike a cavallo dei laghi di Cornino e di Rascino
La piana accoglieva il piccolo lago proteggendolo con le sue montagne. Lo sguardo si lasciava accarezzare dalla percezione deiprati, così rasati dai pascoli, oziosi e ritirati all’ombra dei pini. Quel piccolo bosco assisteva al canto dei campanacci, suonavanosfalzati tra loro inconsapevoli della propria sinfonia, così pulita, limpida, così sacra. Scendevamo verso Rascino e scoprivamo laterra battuta dei suoi tentacoli, l’acqua ritirata ne smembrava gli argini lasciandolo scarnificato in balia delle alghe. Tutto si davaalla queite dell’estate, riposava e si lasciava guardare nel pieno della stasi propria dei laghi.
venerdì 17 agosto 2012
La Notte delle Streghe a Castel del Monte e "ru rite de' re sette sporte"
La notte di Castel del Monte si accendeva sotto il racconto delle streghe, portavano il racconto della tradizione, tra la credenza di bambini succhiati, le maledizioni e la paura profonda dell’ignoto.I vicoli del borgo si tingevano di una luce rossa e intensa, così calda da infuocare le pietre e scaldare la notte. Ogni angolo del paese diveniva il palcoscenico di un racconto figurato: passodopo passo si faceva tappa ad assistere la storia de “ru rite de’ re sette sporte”, tra l’angoscia dei castellani in pensiero per i figli malati, la paura dell’ignoto ed un sabba ballato da streghebellissime. Apprezzavamo il racconto dei culti da mantenere, così vicini ai nostri giorni eppure tanto distanti. "Qui un tempo non lontano si credeva alle streghe, e ce ne sono che ci credonoancora. Quando una creatura si ammalava e il medico non ci capiva nulla e non c'era medicina per guarirla, subito si sospettava che le streghe di notte se la succhiavano. Estupidamente si credeva che le streghe entravano nella casa dal buco della chiave o dal tetto. I parenti, gli amici e i vicini, tenevano subito consiglio, e si deliberava che bisognava fare ilgiro del paese di notte e passare sotto sette sporti. Il giro si faceva verso la mezzanotte quando le vie erano deserte, e la comare del battesimo doveva portare in braccio la creaturaseguita da altre donne tutte in silenzio e, se pure si incontrava qualcuno non si doveva fare una parola, con tutto questo credevano di allontanare le streghe e far guarire la creatura. Sifaceva anche in altro modo, si vegliava la creatura per otto o dieci notti, nell'ultima notte anche ad ora tarda si prendevano panni della creatura, si andava fuori dal paese dove due strade siincrociavano, e li si mettevano i panni sopra un pezzo di legno, si battevano fortemente e poi si bruciavano. Qualche volta capitava che la creatura si guariva, e si rafforzava la credenzanelle streghe..." (Testo tratto da "Se ascoltar vi piace. Dai Quaderni di Francesco Giuliani"). Tutte le informazioni sulla “notte delle streghe” sono riportate nel sito: www.lanottedellestreghe.org
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