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Compivamo una bellissima traversata di Monte Le Quartora,
partendo dal territorio di Casamaina per raggiungere quello di Roio Piano.
Una
comoda carrareccia saliva inizialmente nel bosco per poi aprirsi alla bellezza
dei panorami, quella strada era probabilmente una
via di transito che dava
accesso alle miniere di bauxite. Superato il valico, la zona di Terra Rossa
lasciava affiorare il colore che le
dava il nome, purtroppo non c’era la neve a
riverberare il candore sui pendii, il bianco giaceva soltanto a chiazze e nelle
zone d’ombra, e
tra i ruderi dell’antico monastero di Santo Iaco. Un sentiero a
malapena percettibile si immetteva nella carrareccia che
passante per Pesco Croce raggiungeva il Passo di Vallefredda, dove un vecchio fontanile dismesso faceva
da crocevia. La bellezza
della Piana di Campoli si raccoglieva protetta dai
rilievi intorno, le casette Michetti, ormai completamente dirute, rievocavano
la presenza dei suoi ultimi abitanti, famoso era il ricordo del pastore
Vittorio che fino agli anni Sessanta le aveva mantenute
funzionali soggiornando
negli stazzi. La luce bassa del pomeriggio iniziava ad inondare piano la valle,
mentre i buoi e i cavalli
ci guardavano incuriositi e allo stesso tempo disinteressati.
Gli ultimi avvallamenti della Costa Grande fino a Capo Ripa, con i suoi
maceroni disseminati e l’erba rasa e stinta, ampliavano ulteriormente il fascino di quei luoghi così similmente lunari e solitari.
La piccola chiesa della Madonna della Neve era nascosta nel fitto della vegetazione; chiusa nelle sue mura aveva per maniglia
un ramo sulla sua porta rossa. La bellezza dell’essenziale era nell’ambiente
modesto e curato, diviso da un’arcata che metteva
in risalto lo spazio rialzato
dell’altare, sopraelevato da alcuni gradini. I segni del tempo sfiguravano
l’affresco principale ma che
tuttavia era ancora discretamente leggibile. Una piccola acquasantiera
scavata nella roccia impreziosiva la cornice interna della finestra,
mentre le parole
incise, poco visibili sugli intonaci esterni, si stavano perdendo. Non c’erano più i riti
di culto legati alla mietitura, si erano
affievolite le preghiere alla provvidenza,
erano cambiate le usanze dei tempi passati. C’era la memoria e le sue
testimonianze,
la consapevolezza dei ricordi che anche se definivano luoghi
ormai dell’altrove avevano in sè
ancora tanta dolcezza. Il crinale di
Monte Costeria godeva di un piacevole
affaccio panoramico, tornavamo per la mulattiera di Pilongo di Sotto, tra
maceroni e antichi resti
di basamenti di pietre a secco, mura divisorie dei
coltivi montani. (Per approfondimenti: "La Montagna e il Sacro, riti e paesaggi religiosi
in Abruzzo" di Edoardo Micati, Carsa Edizioni, 2018.)