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Scendevamo lungo cunicoli caldi ed asciutti, avvolti dalla
bellezza dei cristalli, tra conformazioni meravigliose di origini ipogeniche.
La
Galleria degli Asteroidi della Grotta di Cittareale era un luogo completamente diverso dall’intero sistema della grotta, pareva come se
tutte le
conformazioni di cristalli iniziassero da lì in poi. Lasciavamo le nostre
attrezzature all’ingresso per agevolarci nella progressione, tra
cunicoli
principali e secondari che dal Passo del Suono si diramavano nel Labirinto
Franoso. Più scendevamo e più ci addentravamo nel
ventre caldo della terra, in
un ambiente friabile e delicato, che scendeva e scendeva con bassi
passaggi dalle pareti di fragile crosta,
che se toccata si polverizzava in
sabbia, aiutati nell’orientamento da piccole placchette metalliche con definiti
i nomi dei luoghi e la via
dell’uscita. In passato ero stata alla Galleria
degli Asteroidi ma non mi ero addentrata oltre, ammiravo ora un luogo
incredibile, un cunicolo
lunare entro cui scivolare, al limite tra la ragione e
l’inizio dei sogni.

L’inverno in Abruzzo è nel silenzio delle montagne, nel
candore della neve tanto attesa, nel riposo dei boschi. Ogni luogo è unico e
speciale, i cieli immensi sormontano un susseguirsi di rilievi e pianure, dove
pietre silenziose assorbono il tiepido sole d’inverno, la cui luce rada
accarezza ogni dove con mano fredda. L’Agriturismo Jovana era uno dei primi
agriturismi aperti in d’Abruzzo, l’accoglienza di Roberta,
l’ospitalità di
Liborio, la gentilezza di Antonietta, la pacatezza di Lorenzo, ci facevano sentire
a casa. Intorno a noi c’era soltanto la quiete della Valle delle Masserie,
attraversata da una lunga strada
bianca che dalla Cantoniera Mimola arrivava
fino a Scanno. Liborio, il capofamiglia, parlava con passione del suo lavoro di
pastore, semplice e faticoso, da giovane era stato anche in Canadà, come lo
chiamava lui,
ma l’amore per l’Abruzzo e per ciò che faceva l’aveva sempre
portato con sé in ogni dove. Conosceva parole in inglese, in francese e in
tedesco e gli piaceva intrattenersi a parlare con noi, davanti ad un
bicchiere
di vino e all’ottimo cibo cucinato da Roberta e sua madre Antonietta. Scegliere
di essere ciò che si è era uno degli insegnamenti più belli e confortanti da
apprendere sul far della sera, quando le
emozioni si amplificano grazie alla
notte e trovano sfogo nei sogni. L’indomani, seguendo il consiglio di Liborio,
salivamo alla volta della montagna, la Serra Sparvera, per lui la più bella di
tutte, che posta così
a ridosso sulle sue terre le proteggeva dai venti del
Nord, ed era anche per questo un nume da venerare. Quel rispetto profondo
dell’uomo per la propria montagna era frutto di un legame antico, stratificato
negli
anni e nelle stagioni, maturato di consapevolezze, poterlo conoscere
tramite i racconti di una vita era un omaggio alla vita stessa. Il sentiero per
la Serra Sparvera si dipanava dapprima nel bosco per poi aprirsi su
radure
maculate di neve, dove la falasca dorata si scopriva e brillava alla luce del
sole. Da lassù i panorami si aprivano
fino in lontananza: dalla lunga linea di cresta del Parco Nazionale d’Abruzzo
Lazio e
Molise, lo sguardo saltava di cima in cima a toccare le vette di Monte
Genzana, Monte Greco, Monte Pratello, ed un susseguirsi di rilievi più o meno
conosciuti, caratterizzati da versanti isolati e selvaggi.
Scoprivamo l’Altopiano delle Cinque Miglia
distendersi al nostro sguardo, il Lago di Scanno incastonarsi tra i monti come
una pietra preziosa, e la neve, ovunque, che con il suo strato sottile
alleggeriva
ulteriormente ogni prospettiva aerea, lasciando così respirare sia
il cuore che l’anima.
La montagna della Torretta prendeva probabilmente il nome
dai ruderi circolari di una torre sita in cima alla sua dorsale. Quelle vecchie
mura,
erose dal tempo, lasciavano leggere soltanto le pareti interne sotto il
livello del suolo, apparendo come un buco circolare foderato di pietre
squadrate. Non
riuscivo a trovare nessuna informazione a riguardo sulla sua edificazione,
probabilmente la sua funzione era stata quella di
avvistamento tanto era
evidente la linea visuale con lo sconosciuto insediamento di Colle San Mauro,
sopra Amiternum, conosciuta anni
addietro grazie a Mario D’Angelosante. La tantissima storia dei nostri luoghi era permeata nella terra, ramificata nelle sue radici, perduta nei
suoi silenzi, e non dichiarava
più echi di memorie ma lasciava soltanto tracce minime, che seppur mute davano idea dell'importanza.