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Salivamo
dai Campitelli lungo la Conca dei Biscurri, passando per i ruderi del Fortino
Diruto, un’antica casermetta utilizzata nella seconda
metà dell’Ottocento per
tenere sotto controllo i briganti, soliti rifugiarsi in quei boschi con lo
scopo di assaltare chi si dirigeva verso il Passo dei
Monaci, unico
collegamento fra il Lazio e l’Abruzzo. Un tempo vi erano pastori, commercianti
e monaci benedettini, ora soltanto noi e qualche
altro escursionista che
vedevamo in lontananza. Alla nostra sinistra la lunga dorsale di Monte Miele ci
divideva dalla Valle Pagana, come un
magnifico spartiacque. L’ambiente diveniva
sempre più severo, tra ghiaioni, sfasciumi e valloni ondulati di vecchie
morene, dove a tratti
resistevano ancora piccoli depositi di neve. Scendevamo
per la Valle Pagana incontrando un rivolo che la impreziosiva, mentre nel bosco
un
campo carreggiato catturava la nostra curiosità con la particolare bellezza
delle sue forme.
Eravamo
accolti dalla Natura, tra la notte a Campo Imperatore che conteneva tutti i
nostri sogni, e l’alba che ci donava la bellezza della
meraviglia di uno
straordinario punto di vista su Corno Grande, così maestoso e superbo, così
magnifico e importante, straordinariamente
bello. Le prime luci avevano il
potere di rendere la montagna “leggera” quasi aerea e intangibile, una materia
sovrannaturale come quella dei
sogni e dei pensieri. I cavalli e le mucche si
muovevano al pascolo lentamente, in un risveglio pacato, tra l’erba rasa e le prime nebbie
basse del mattino. Iniziavamo un nuovo giorno appagati da una grande, magnifica, immensa bellezza.
