L’ultimo
ritorno di Scirocco aveva pulito molte montagne dalla neve, le quote modeste
della Laga si vestivano a malapena dispolverate leggere, che stemperavano i
colori secchi della falasca, lasciando il bianco intenso solo sulle cime e nei
luoghi diaccumulo. Giunti alla chiesa di San Martino un’avvolgente nevicata
dava finalmente voce all’inverno: mano a mano chesalivamo entravamo dentro il
chiarore delle nuvole, e i toni finivano tutti col perdersi nel bianco.
Sentivamo l’acqua scorreresotto di noi, dentro il Fosso di San Martino, mentre
di tanto in tanto qualche nuvola svaporava scoprendo le meravigliose guglierocciose di Cima Lepri. Alcuni cinghiali transitavano indisturbati nei pressi
di un vecchio rudere, mentre il vento si arricciava inpiccoli vortici lungo la
sella di Monte Doro. La Cascata delle Scalette si mostrava in tutta la sua
bellezza, vestita dei toni freddidell’inverno. Era altissima, ed
effettivamente lasciava leggere tutti i suoi gradoni come se fosse un’enorme
scala d’accesso per lacima della montagna. In una tregua di nebbia, finalmente si
apriva la visuale su tutto il costone roccioso, quella bellezza si caricavadei
toni impervi della superiorità della natura, lasciando contemplare la sacralità dei luoghi inaccessibili.
domenica 23 febbraio 2014
La Cascata delle Scalette sotto Cima Lepri, dalla chiesa di San Martino - Monti della Laga
sabato 15 febbraio 2014
Monti Ernici - Anello di Monte Serra Alta da Sora e il relitto aereo del volo Itavia 703
La
sera del sabato 30 marzo 1963 un violento temporale imperversava sui monti
Ernici, tanto da rendere di difficile comprensione tutta una serie di luci
sinistre, miste a lampi e fulmini, a ridosso della Serra Alta. Un aereo era
scomparso lungola direttrice Pescara-Ciampino, e prima fra tutti fu
l’intuizione di un ragazzo a collegare le due circostanze. Vittorio aveva appena
ventitré anni, e dall’abitato di Sora scrutava l’incognita della montagna, con
tutta una serie di dubbi possibili e la paura diconfrontarsi realmente con la
morte. Partito all’indomani con un amico, raccolse la compagnia anche di altri
ragazzi, forse tutti spinti da una inconsapevole prova di coraggio. La radio
continuava a trasmettere la notizia della scomparsa del volo dilinea Itavia
703, e loro volevano cercarne la risposta lungo la dorsale della montagna che
più conoscevano. Trascorsero tutta la domenica alla ricerca dell’aeroplano, ma
non trovarono nulla, tra la neve e le giornate corte, ripiegarono con
l’intensione ditornare. Il 2 aprile 1963, Vittorio ed i suoi amici erano
tornati a cercare, senza sfiduciare quell'intuizione, e mentre percorrevano il
filo di cresta, seguendo un percorso più agevole e pulito dalla neve, scorsero
da lontano, a poche decine di metri sotto la cimadi Serra Alta, il rosso
intenso dell’ala del piccolo aereo. Avevano trovato il relitto che tanto
cercavano, adesso dovevano trovare il coraggio di avvicinarsi. “(…) Superato quell’attimo di sbigottimento
gli amici si precipitano verso il relitto. Un primotentativo fallisce. Troppo
uguali dossi e vallette. Tornano indietro. Riprendono i punti di riferimento e
questa volta ecco il relitto dell’aereo. All’approssimarsi del velivolo gli
amici di Vittorio si fermano. Il timore riverenziale per quell’evento cosìeccezionale quanto drammatico impedisce loro di proseguire. Solo Vittorio, il
più grande di tutti nonostante i suoi appena 23 anni raggiunge il relitto. Il
suo racconto, finora lucido ed appassionato sì fa più greve, partecipato…
Lamiere contorte ebruciate, corpi straziati… quanto dolore…. Poco distante dal
relitto i corpi del pilota e del copilota che nell’estremo tentativo di
segnalare la posizione dell’aereo avevano appeso ad un faggio una sciarpa ed un
cappotto… E’ triste raccontare quei momentidrammatici… Presi sciarpa e cappotto
Vittorio ed i suoi amici iniziano il mesto ritorno. Circa a metà strada
incontrano una pattuglia dell’aeronautica alla quale comunicano di aver trovato
l’aereo indicandone la posizione. Il comandante dellapattuglia pretende che
gli vengano consegnati sciarpa e cappotto.” (Testo in corsivo tratto da
qui). Sotto la cima di Monte Serra Alta, dopo quasi cinquantuno anni, giaceva
ancora il relitto del piccolo aereo Douglas DC-3. Lo trovavamo raccolto nellaneve, spanciato, con la vernice graffiata dai nomi dei tanti cercatori di
quella triste storia. Noi non ci siamo avvicinati, siamo rimasti ad un paio di metri
di distanza, perché avevamo paura di possibili lamiere nascoste sotto la neve. Ormai
quell’aereo facevaparte della montagna da molti anni, eppure quella neve era la
stessa di allora, suscitava tristezza e silenzio, e anche la voglia di andare
via. I faggi giacevano spogli, mentre il filo di cresta scopriva l’eterna
bellezza delle montagne circostanti.
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venerdì 14 febbraio 2014
Le capanne a Tholos di Monte Manicola
Nei
primi vent’anni dell’Ottocento, con la stesura del Catasto Provvisorio in
Abruzzo, parecchie persone accorsero in montagna con lo scopo di impossessarsi
di un pezzetto di terra,cercando di fornire, attraverso muri a secco e costruzioni
edificate velocemente, una testimonianza per il diritto di proprietà. Vennero
occupati anche luoghi aspri e selvaggi,lontani dai centri abitati e difficili da vivere, tanto che la pietra divenne presto
un elemento fondamentale per adattare la natura alle proprie esigenze, per
sopravvivere. I campi da coltivarevenivano bonificati con cura dai nostri
antenati, che sasso dopo sasso avevano accatastato grandi maceroni, costruito muri a secco, ed edificato i tholos, le famose
capanne in pietra chegarantivano un rifugio, a contadini e pastori, nei periodi
di maggior lavoro. Tra Monte Manicola e Colle del Vescovo vi erano tantissime
testimonianze di tholos, molti dei quali purtroppocollassati sotto il peso
della propria mole. Si confondevano tra i tanti accatastamenti di pietra, lasciandosi
distinguere soltanto alla base grazie al verso ordinato dai sassi. La loro
funzionalità siera spenta da molti decenni, e la natura mano a mano li
riassorbiva sotto una figurazione di terre incolte. Tra gli alberi, alle basse
pendici di Monte Manicola, una capanna a tholos siconservava in maniera
sorprendente, dando sfoggio della maestria di chi l’aveva costruita. Gli
studiosi la classificavano come la più grande di tutta la zona, e fortunatamente
continuavaa preservarsi grazie al rispetto della gente del posto. Il suo
interno si componeva di sedili in pietra, di un ripostiglio e addirittura di un
camino, tutto perfettamente conservato, mentrela cupola sommitale era chiusa
da un’enorme lastra di roccia che scaricava il suo peso sulle pareti circolari.
Visto da fuori si inseriva totalmente nel paesaggio, con il tetto ricoperto di
terraed arboscelli che ne fissavano ulteriormente la struttura grazie alle loro radici.
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domenica 2 febbraio 2014
Ju Castellaccio di Castiglione di Tornimparte
Nei pressi di
Castiglione di Tornimparte, la natura manteneva inalterata nei secoli tutta la
bellezza di quelle terre, con le sue riserve di acqua, i suoi boschi e i suoi pascoli. I prati, scarsamentericoperti di neve, si lasciavano pulire dalla pioggia portata dallo Scirocco: l’aria
pareva scaldarsi sotto i sentori di una precoce primavera, con le gemme degli
alberi in procinto d’ingrossarsinelle illusioni di una falsa stagione. Un
antico tratturo definiva le sue anse con muretti di pietra a secco, un tempo
apparteneva ai romani, mentre adesso apparteneva alla neve che ne ricoprival’interno.
Tra tutte le colline ve ne era una in particolare che sottolineava la sua
posizione dominante: la sua conformazione di rilievo isolato si guardava
intorno a 360°, come una sentinella.Sopra quell’altura un tempo vi era la
gloria de Ju Castellaccio, un
importante castello normanno dedicato a Sant’Angelo, ma che adesso rivelava soltanto
un silenzioso anonimato, celato neiruderi che definivano le sue stanze. Ormai,
da anni, il versante a Nord si rivestiva di un bosco di faggi, con rovi e
ginepri: la Natura si rimpossessava di ciò che l’uomo le aveva tolto, cercando
dinascondere agli occhi il magnifico perimetro del castello. La fortezza era
probabilmente in uso tra il XII e il XV secolo, poiché nelle ultime campagne di
scavo erano stati rinvenuti manufatti diorigine sia normanna che angioina. Tra
i ritrovamenti vi erano molti frammenti bellici: pezzi di armi da lancio, di sfere
e catapulte, punte di dardi, di frecce e di lance. Molte battaglie,evidentemente, erano state condotte su quell’altura, e la terra continuava a
custodire chissà ancora quanti altri tesori e quanti altri segreti.
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