Il promontorio
di Punta Aderci permetteva al vento di pettinare i suoi fili d’erba: lo
Scirocco planava su quei pendii fino a prendere la rincorsa per il grande salto
nel vuoto sul mare. Le nuvolesvaporavano in appannamenti soffusi, l’umidità
aumentava la percezione di freddo ed ogni cosa giaceva nel silenzio di quella
energia misteriosa che appartiene ai romantici. Il mare fuoristagione aveva il
sapore della nostalgia, di un luogo vissuto fuori il giusto tempo e per questo al di là delle intenzioni, al di là dei pensieri, al di là di quella conca profonda,
misteriosa esconosciuta, che conteneva l’oblio più assoluto delle cose che non
potevamo vedere: noi scrutavamo solo la sua superficie liscia e
rassicurante, ma sapevamo bene che sotto di essafermentavano tantissime
energie ignote. In fondo il mare era
come la montagna. Il tardo pomeriggio
lasciava scorrere sulla costa i colori appena rischiarati della sera, più il
tempo avanzavae più tutto pareva rasserenarsi, come se si stesse cercando una
quiete preparatoria al riposo della notte. Alcuni trabocchi vivevano il suono
della risacca, e si lasciavano andare allamelodia dei flutti delle onde. I
faraglioni di conglomerato si innalzavano sulla spiaggia come delle sentinelle
che scrutavano l’orizzonte, mentre il crepuscolo giungeva distendendo ognicosa. La riva si vestiva e svestiva ogni volta del suo manto d’acqua,
rilasciando conchiglie e gusci di ricci di mare, mentre verso l’interno tante
piccole dune animavano quella superficiespiegata. La notte dava voce al faro
di Punta Penna, che rischiarava ogni lontananza con giri di luce alternati. Laggiù,
persi nel buio, alcuni barlumi provenivano dal promontorio delGargano, il mare
e la notte si fondevano in un tutt’uno impossibile. La Riserva Naturale di Punta Aderci tutela il tratto di costa
naturalisticamente più bello e interessante d’Abruzzo:un susseguirsi di
spiagge di sabbia e ciottoli, di alte falesie e scogliere, di paesaggi agricoli
e macchia mediterranea. La Riserva si estende per 285 ettari dalla spiaggia di
Punta Pennaalla foce del Fiume Sinello. Il promontorio di Punta Aderci
caratterizza l’intera area abbracciando il parco e i sottostanti fondali
marini, offrendo una visuale a 360° su tutta la Riserva, acui fa da sfondo, la
sera, il rosso del tramonto che disegna i profili delle montagne dei tre parchi
nazionali: Majella, Gran Sasso-Laga e i Monti Sibillini. La Riserva ospita
comunità dipiante resistenti al salmastro, al calore e al vento secondo una
sequenza che, dalla battigia verso l’interno, vede insediarsi prima piante
pioniere – come il ravastrello – poi specie delladuna mobile – come la
gramigna delle spiagge – e infine quelle della duna fissa fino alla comparsa
delle piante arbustive e della macchia mediterranea. Le dune e l’ambiente
fluviale si prestanobene all’osservazione naturalistica e al birdwatching. Qui
svernano e sostano molte specie di uccelli come aironi, svassi, sterne,
cormorani, il falco di palude e il fratino che campeggia non a caso nel logo di
Punta Aderci. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo).
domenica 24 marzo 2013
Punta Aderci e Punta Penna
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sabato 23 marzo 2013
L'Abbazia di San Clemente a Casauria
La pietra si
alleggeriva di merletti superbi, quasi a voler imitare la delicatezza di un
vestito. L’Abbazia di San Clemente a Casauria era in assoluto uno dei gioielli
architettonici più belli d’Abruzzo, la materia che la componeva plasmava
addosso la figura dei re, contava infinite simbologie e svelava a tratti enigmi
arcani legatial Sacro. L’interno si
vestiva della luce filtrata delle finestre sommitali, e il suo chiarore pareva
a sua volta amplificare lo spazio. Tra colonne ritmate, decori e la solenne
impostazione della chiesa mi tornavano in mente le parole di Gabriele
d’Annunzio che, tanto affascinato da quella cattedrale, la volevacome ultima
dimora per la madre morta. Poco rimaneva dell’orrore del passaggio dei
Saraceni, del male dei saccheggiamenti e della distruzione dei terremoti,
l’energia positiva di quel luogo rimaneva inalterata ed accoglieva tutti
lasciandoli stupefatti: la gente si ammaliava della sua bellezzaquasi inconsapevolmente
senza rendersi conto che era la sua essenza
ad emanare incanto. L’Abbazia sorge nei
pressi del sito dell’antico pago romano di Interpromio, alcuni studiosi pensano
che il primitivo sacello sorse sui resti del tempio dedicato a Giove
apportatore di venti, Casa Urii (Urios) e da questi il toponimo diCasauria. La
chiesa dedicata inizialmente alla SS. Trinità, con annesso Monastero venne
fondata dall’Imperatore Ludovico II nel 871 per scioglimento di un voto fatto
durante la prigionia di Benevento. L’anno successivo (872), il papa Adriano II
concesse le reliquie di S. Clemente, papa e martire, al monasterocasauriense.
In breve tempo l’Abbazia divenne molto potente per i donati dell’Imperatore, ma
nel 920 fu saccheggiata dai Saraceni e, nel momento che riacquistava poderi e
potenza, tra il 1076 e il 1097, venne di nuovo e ripetutamente saccheggiata dal
Conte normanno Ugo Malmozzetto. Nel XII secolo l’Abbaziaebbe il periodo di
massimo splendore: nel 1105 l’Abate Grimoaldo la restaurò e la riconsacrò, dal
1152 l’Abate Leonate la trasformò completamente con un progetto veramente
monumentale, il suo successore, l’Abate Iole, continuò fedelmente l’opera
intrapresa da Leonate. Dal XIV secolo iniziòuna lenta ed inarrestabile
decadenza aggravata dal terremoto distruttivo del 1348 che rovinò chiesa e
convento. Soltanto la prima fu restaurata parzialmente nel 1448; del ricco
Monastero, con chiostro e colonnine binate, solo nel 1700 fu ripristinata
un’ala. Nel 1775 il complesso divenne regio patronato subendoancora danni e
degradazioni. La chiesa ha avuto numerosi restauri: nel 1891, nei primi decenni
del ‘900, soprattutto dopo il terremoto del 1915 e, non ultimi i restauri degli
anni ’70 ed ’80. La pianta della chiesa è a croce latina con i bracci del
transetto poco sporgenti, divisa in tre navate ed unica absidesemicircolare,
in corrispondenza della navata del centro. I pilastri sono a sezione variabile
nelle prime quattro campate. In fondo alle navate laterali si aprono due
piccole scale in pietra che discendono dalla cripta. Questa, realizzata nel IX
secolo, presenta due recinti absidali uno dei quali, quello più esterno,denuncia l’ampliamento della soprastante area absidale della chiesa avvenuta
nella ricostruzione del XII secolo. La cripta è divisa in due navate
trasversali di nove campate ciascuna. La facciata è preceduta da un
pregevolissimo portico a tre arcate di cui, la mediana, e tutto sesto e le
laterali a sesto acuto, questeultime più di gusto orientale che
gotico-borgognone. I capitelli delle colonne, addossate ai pilastri
rettangolari che dividono le arcate, sono ricchi di sagome e di fregi. La parte
soprastente il portico, al di sopra di una bella cornice impreziosita da
archetti pensili, presenta quattro finestre bifore, elle quali duearchitravate
e due ogivali, provenienti dall’antico monastero e collocate in facciata nel
1448. La facciata termina con coronamento orizzontale. Il portico è coperto con
volte a crociera costolonate e vi si aprono i tre portali d’ingresso alla
chiesa. A sinistra del portico si vedono i resti di struttureappartenenti alla
primitiva torre campanaria ed al convento; sulla destra sorge la parte del
monastero ricostruita a fine settecento. Il portale mediano è molto ricco nella
parte scultorea ed ha l’archivolto formato da tre archi a ferro di cavallo,
anche questi di gusto orientale, concentrici e rientranti, poggiati suelaborati capitelli, scolpiti con motivi antropomorfi e a fogliame, i quali
poggiano su semplici colonnine. Gli stipiti presentano quattro figure scolpite
che con ogni probabilità rappresentano i sovrani benefattori del Monastero. Sopra
gli stipiti, due elaborati capitelli sostengono un architrave sul quale è
raffigurata lastoria della fondazione dell’Abbazia: da sinistra verso destra
si nota un edificio con la scritta Roma che rappresenta la città, Adriano II consegna
a Ludovico II le reliquie di S. Clemente, è vicino all’imperatore il “Suppo
Comes” con la spada, l’Imperatore segue un asino carico delle reliquie del
Santocontenute nella teca di alabastro, la chiesa è rappresentata circondata
dal fiume Pescara e due monaci sono in attesa, l’Imperatore offre a Romano,
primo abate del Monastero, lo scettro abbaziale e con esso il possesso del
luogo, il milite Sisenando e il vescovo Grimoaldo, consegnano l’isolapescariense all’impearore affiancato da “Heribaldus Comes”. La lunetta è
occupata, al centro, da S. Clemente in cattedra con alla destra i Santi Fabio e
Cornelio e alla sua sinistra l’abate Leonate, in abito cardinalizio, che
presenta il modello della chiesa ricostruita. Le porte di bronzo furono
eseguite sotto la reggenzadell’abate Iole, successore di Leonate e sono
suddivise in 72 formelle all’interno delle quali sono rappresentate croci,
abati, rosoni, e 14 castelli, con relativi nomi, soggetti all’Abbazia.
(Notizie tratte da un cartello informativo del luogo, affisso dal MINISTERO PER
I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI – Soprintendenza per i Beni Ambientali
Architettonici Artistici e Storici per l’Abruzzo).
Monte Picca e Monte Alto da Bussi sul Tirino
La Valle del
Tirino si addolciva sotto le temperature della primavera, che conciliata dalla
modesta altitudine diffondeva ovunque il candore dei fiori di mandorlo.
Seguivamo una tracciache da Bussi saliva in direzione del Monte Picca, un
sentiero marcato che senza incertezze conduceva alla Fonte di Monte Alto. Il
bosco si animava della presenza dei boscaioli, che nonriuscivamo a vedere, ma
che sentivamo attraverso il rumore delle motoseghe. Gli asini e i muli ci
guardavano mimetizzati nella macchia, la nostra presenza li aveva bloccati nel
dubbio dellenostre intenzioni, ma una volta tranquillizzati riprendevano a
scendere con addosso il carico di legna, era la prima volta che vedevo all’opera
gli animali da soma. Scorgevamo le viole el’azzurro dei fiori dell’erba
trinità, più salivamo più a tratti la vista si scopriva sulla valle
sottostante: il fiume Tirino curvava le sue anse in un gioco sinuoso, e la luce
che rifletteva addosso portavaa terra un pezzo di cielo. Dalla cima del Monte
Alto si scorgevano lontanissimi punti di fuga, la Majella si imponeva su tutti
per la sua vicinanza, tenendo stretto a sé il massiccio del Morrone.Scorgevamo, da
questa nuova visuale, i profili diversi delle montagne che conoscevamo,
apparivano tutte nuove e sconosciute, tutte da riscoprire ancora e ancora
nuovamente.Solo il Sirente mostrava sempre la stessa faccia, così come il
Corno Grande, grazie al beneficio della sua altezza. Un filo di cresta conduceva
sulla vetta affilata del Monte Picca, uno degliultimi contrafforti del Gran
Sasso, un rilievo che nonostante la modesta altitudine di 1405 metri si apriva
ancora maggiormente a visioni panoramiche. La piccola croce di vetta teneva
alle spallela protezione del bosco, mentre dall’alto osservavamo le nubi
lentamente animarsi sotto il vento di Scirocco.
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giovedì 21 marzo 2013
L'Abbazia di San Crisante da Filetto
Il sole del
pomeriggio filtrava attraverso gli ingressi delle grotte nei pressi di Filetto,
quegli insediamenti rupestri accoglievano da secoli la figura dell’uomo, e la
mantenevano unita alla propriacome un connubio inscindibile, l’uomo qui si
adattava alla natura e non viceversa. Un sentiero di pellegrinaggio si dipanava
attraverso scorci solitari e severi, tra sali e scendi addolciti dal verdedei
pini e dal chiarore delle montagne innevate. Nel Medioevo la ricchezza dei
pascoli affollava questi ultimi e modesti contrafforti montuosi, la vita
scorreva lungo i terrazzamenti e idolci pendii così come la ricchezza di tanti
secoli addietro lasciava la sua memoria attraverso i resti di chiese rupestri
ed antiche abbazie. Molte furono le cose perdute con il passare deltempo,
persino dell’antico castello di Filetto che contribuì alla fondazione della
città dell’Aquila non se ne avevano più tracce, eppure tra gli storici c’era l’opinione
diffusa che sorgesse proprionei pressi dell’Abbazia di San Crisante, risalente
al XII secolo. L’aspetto severo di San
Crisante, più simile ad una fortezza che a una chiesa , ricorda che gli
insediamenti pastorali del GranSasso, anche se appartenenti a religiosi, erano
esposti ad attacchi e scorrerie. Lo stile costruttivo di San Crisante, in
particolare nella muratura e nelle feritoie, è lo stesso della primabasilica
di Santa Maria di Collemaggio, di cui restano oggi solo pochi resti. All’interno
della chiesa sono degli affreschi, dei quali però non è facile individuare i
soggetti. Provvede a spiegarceli lostorico settecentesco Ludovico Antonio
Antinori che nella sua Corografia del 1727 spiega che i personaggi ritratti
sono “Gentile antico signore de’ Castello” e “Maria di Gualtieri di Gentile”,affiancati “dalla Vergine, da Santi Crisante e Daria e altri Santi in abiti
sacerdotali”. Sopra l’altare, invece, compaiono negli affreschi “Santi Crisante
e Daria in tuniche corte, palma in manoe libro nell’altra”. Lo stesso autore
descrive la fontana e il piccolo chiostro dell’abbazia, oggi scomparsi. (Il
testo riportato in corsivo è citato dal libro “Meraviglie sconosciute deiParchi d’Abruzzo – numero 5: “Monaci, contadini pastori”, e tratto
dall’articolo “L’Abbazia di San Crisante, Magnifici i panorami sul Gran Sasso”
scritto da Stefano Ardito – CarsaEdizioni).
La facciata della piccola chiesa assorbiva gli ultimi raggi di sole prima del
tramonto, la pietra dava sfoggio della sua natura immortale, della sua perfetta
funzione strutturale, che nonostantei secoli vedeva ancora strette le sue
fughe. La sera scendeva quietamente, il massiccio del Gran Sasso alterava il
candore della neve con i colori della sera, la primavera giungeva
oggi.
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