Campotosto lo
custodisce nella cripta della chiesa seicentesca di Santa Maria Apparente: un
piccolo ambiente ipogeo sormontato da una volta a vela dove tracce di affreschi
deteriorati sono ancora in grado di emanare la dolcezza dei visi di giovani
Madonne e piccoli accenni di stelle. Sull’intonaco di quegli affreschi è inciso
grossolanamente il Quadrato magico del Sator, senza rigore geometrico ma di
inconfondibile matrice universale, come un sigillo posto sul fuoco tellurico.
Nei pressi di Capestrano
il Quadrato magico è situato sulla facciata esterna della chiesa di San Pietro
ad Oratorium, affiancando l’effige di Re Desiderio, dominatore longobardo che
nell’VIII secolo promosse la costruzione dell'antica abbazia in seguito a un
sogno. La particolarità che rende unico questo Sator è la sua collocazione
capovolta, che, scongiurando un errore grossolano, può anche suggerire
l’ipotesi della negazione stessa del suo simbolo.
Il terzo quadrato magico d’Abruzzo è situato sulla facciata frontale
della chiesa di Santa Lucia di Maglianode’ Marsi, difficilmente visibile ad occhio nudo, sotto la pancia di una
figura mostruosa scolpita all’interno di una formella duecentesca, qui inciso nella
versione più antica che inizia con la parola ROTAS: “ROTAS OPERA TENET AREPO
SATOR”.
Sono moltissime le ipotesi formulate a svelare l’enigma di
questo antico rebus presente non solo in Abruzzo ma anche in Italia e in Europa,
combinando letture metaforiche, numerologiche, filosofiche e teologiche. Tra
queste l’interpretazione cristiana si focalizza sull’anagramma di un possibile Pater Noster, risultato in una croce
dissimulata le cui lettere rimanenti A e O vanno a simboleggiare l’Alfa e
l’Omega, il principio e la fine, in riferimento all’Apocalisse di Giovanni.
I tre quadrati magici d’Abruzzo si differenziano tra loro
per la collocazione: uno è nascosto, uno è esposto, uno è visibile al mondo
eppure celato.
Articolo pubblicato sul portale abruzzoturismo.it - link -
come rappresentante “Abruzzo Smart Ambassador”.
Il complesso minerario di Roccamorice giaceva nel silenzio,
da oltre sessant’anni si erano assopite le voci degli ultimi minatori, assorbite
nell’oblio dei lunghi cunicoli bui, dove binari e vagoni presentavano la
propria memoria con sfaldamenti di ruggine, e l’acqua lasciava tessere
incredibili creazioni di muffe. Davanti ai nostri occhi si presentava un
ambiente scavato artificialmente alla ricerca delle lenti di coltivazione,

natura a seguito della presenza umana, ricercava
pacatamente il suo equilibrio e per questo era di estrema delicatezza, poiché sconosciuto
nelle sue dinamiche. Negli ultimi anni il GRAIM – Gruppo Ricerca Archeologia
Industriale della Majella – aveva compiuto un enorme
lavoro di studio e rilievo
di quegli ambienti, articolati tra loro come un dedalo labirintico, centinaia
di gallerie sotterranee disposte su più
livelli presentavano chilometri di
binari, carrelli, bunker sotterranei, montacarichi, tramogge e stazioni di
carico. La preziosa ricerca del
GRAIM cercava di mettere ordine al passato, e
continuava a svilupparsi indagando mano a mano ambienti dimenticati nelle
viscere delle
miniere. 

con carenza di ossigeno difficilmente
rilevabile senza un’attrezzatura conforme per il monitoraggio di aria e gas.
dell’Apocalisse,
mentre sotto di lei il corpo di fabbrica dell’Incile dava accesso ai grandi
collettori di scolo dell’Emissario del Fucino. Quella