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Il Quadrato Magico del Sator e la Chiesa di San Pietro ad Oratorium presso Capestrano
La
facciata frontale della chiesa di San Pietro ad Oratorium portava su di sé
l’effigie di Re Desiderio: secondo alcuni studiosi il re dei Longobardi aveva
promosso, nell’VIII secolo, la
costruzione dell'antico monastero in seguito ad
un sogno. La Chiesa giaceva solitaria immersa nel bosco, accompagnata soltanto
dallo scorrere delle acque del fiume Tirino. Le sue mura
incastonavano nel
severo rigore della pietra bellissime lavorazioni lapidee con motivi vegetali e
zoomorfi: esternamente c’erano fiori, tralci, foglie di acanto ed un drago, e
c’era anche il
quadrato magico del Sator. SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS
erano le cinque parole palindrome che rimanevano inalterate se lette da
sinistra a destra e viceversa, e dall’alto
in basso e dal basso in alto. Un
possibile anagramma svelava l’enigma del Pater Noster, con l’alfa e l’omega, il
principio e la fine, indicate nelle lettere rimanenti A e O, che suggerivano
l’Apocalisse di Giovanni: ne derivava la supposizione che il quadrato magico
del Sator fosse un sigillo nascosto in uso tra i primi cristiani ai tempi delle
persecuzioni. Molte altre tesi
cercavano di svelare l’origine oscura di questo
antichissimo rebus, inciso sulla pietra di diverse chiese d’Italia e d’Europa,
dagli anagrammi diabolici alle croci templari, e persino alle
interpretazioni
della Kabbala ebraica sui nomi dell’Eterno, ma la caratteristica che rendeva
unico questo specifico quadrato magico, proprio della Chiesa di San Pietro ad
Oratorium di
Capestrano, era che qui vi era posto in maniera capovolta. Il
quadrato rovesciato lasciava accrescere su di sé l’enigma, se non era il frutto
di un errore grossolano poteva essere la negazione
esoterica di quello che generalmente
rappresentava, ma non c'è dato saperlo.

Di seguito sono riportate in corsivo le
informazioni sulla chiesa, tratte da un cartello informativo del luogo.
La Chiesa di San Pietro ad Oratorium fu
edificata nella contrada detta di “Araturo”, con nome derivante presumibilmente
da un castello distrutto, da cui si originò successivamente il toponimo di
Oratorium. La località si trova in uno degli angoli più pittoreschi d’Abruzzo,
caratterizzato da molteplici testimonianze
legate all’opera paziente dei monaci
benedettini che l’abitarono fin dall’VIII secolo. Molti storici considerando
veritiera l’iscrizione appsta sull’architrave dell’ingresso ed autentico il
precetto contenuto nel Chronicon Vulturnense, ritennero che Desiderio, re dei
Longobardi, promosse la costruzione del
monastero nel 722, in diretta
dipendenza dalla casa madre benedettina di S. Vincenzo al Volturno. Altri considerarono
invece che il complesso fosse stato fondato da papa Stefano II nel 756, pur
sempre dipendente dal monastero volturnense. Il complesso benedettino di S.
Pietro era composto in origine da un
monastero e dalla chiesa, in un insieme di
alto valore architettonico, artistico, strategico e religioso. Nel corso del
tempo il convento fu completamente distrutto, mentre la chiesa subì una
radicale ricostruzione intorno al 1100. La nuova fondazione fu consacrata nel
1117 da papa Pasquale II, e
lasciata alla dipendenza di S. Vincenzo. L’architettura
chiesastica che prese forma in Abruzzo fra l’XI e il XII secolo, derivata
sostanzialmente dal modello cassinese ed influenzata dalla solenne fondazione
di S. Liberatore alla Majella, consiste, per la maggior parte dei casi, in
edifici longitudinali a tre navate
terminanti in altrettante absidi
semicircolari, come nella ricostruzione romanica della chiesa di Capestrano. Qui
le navi sono ritmate da pilastri sostenenti arcate a tutto sesto culminanti
prospetticamente nel presbiterio, rialzato rispetto all’aula, e le pareti
laterali mostrano una rastremazione verso la
zona dell’altare maggiore, quasi
che i costruttori volessero trasmettere ai fedeli la sensazione di avvicinarsi
progressivamente a Dio. Nel corso degli anni la chiesa subì profondi
rimaneggiamenti: le arcate furono murate e l’impianto ridotto alla sola nave
mediana, che fu così isolata dalle navatelle
laterali. I restauri attuati alla
metà del ‘900 hanno in parte restituito alla chiesa l’originaria impostazione,
con il recupero delle murature dei fianchi, delle tre piccole absidi e delle
coperture lignee. Una menzione particolare meritano gli affreschi della zona presbiteriale,
nati dalla volontà di coniugare
la tendenza antichizzante di matrice cassinese
con la spontanea creatività locale; essi sono considerati fra i più antichi
documenti in Abruzzo realizzati nel momento della ricostruzione romanica dell’edificio.
La raffigurazione più importante è
quella del Redentore fra gli Evangelisti e i ventiquattro vegliardi
dell’Apocalisse,
a cui si accompagnano figure di Santi e di Monaci: al di sopra dell’arco
absidale è raffigurato Cristo benedicente alla greca (l’anulare ripiegato sul
pollice, mignolo, indice e medio sollevati), attorno ci sono gli Evangelisti accompagnati
dai loro simboli, due grandi serafini ed i Seniori
dell’Apocalisse
rappresentati nell’atto di levare le coppe verso Cristo. Nel catino sono infine
raffigurati Santi benedettini in preghiera, ognuno inquadrato da un’elegante
nicchia dipinta che rammenta la decorazione plastica dei templi benedettini. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo).
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