Attraversavamo i
paesi di Assergi e Camarda investiti dalla luce pacata del mattino. Ogni tanto
usciva qualche vecchio abitante, rimasto fedele alla sua casa, e ci salutava
con una gentilezza di
altri tempi,
portatrice di auguri. Nei loro occhi si leggeva una consapevolezza diversa
dalla nostra, per loro la montagna manifestava più incognite che svaghi. Una
strada di fondovalle
raggiungeva Aragno, che raccoglieva nella parte alta tutto
il suo passato: vi erano case vecchie e abbandonate, devastate dal tempo e dal
terremoto, rivestite di rovi e muschi, e inabissate nel
silenzio di volte
sfondate. Settant’anni fa in quelle case si vociferava sulla Resistenza, si
aveva paura, e si cercava di schivare lo sguardo tedesco. Aragno era stata la
culla della
Resistenza armata aquilana, proprio qui si innescarono le direttive
dell’organizzazione partigiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Alle porte
della montagna trovavamo i sentieri
per il Monte di Aragno, ammiravamo la
catena occidentale del Gran Sasso rivestita dal candore della neve, su cui
nuvole sfilacciate proiettavano la propria ombra. Sotto di noi la Valle del
Vasto giaceva come un deserto, spesso spoglia e senza ripari, si componeva di
colline e saliscendi prima di toccare il fondo boscoso verso il letto del
fiume. Diversi casolari abbandonati
davano memoria della presenza dell’uomo, ma
uno tra tutti era quello che aveva segnato la Storia: il Casale Cappelli. Erano
passati molti anni dal triste episodio che vide questo luogo teatro
di morte, di
cui ormai ne rimanevano soltanto poche mura pericolanti ed una lapide affissa
alla memoria di Giovanni di Vincenzo. Il 4 maggio 1944, un piccolo gruppo di
sei partigiani si
era rifugiato in questo casolare a pochi chilometri da
Assergi: si erano attardati in paese per raccogliere informazioni e viveri,
mentre il resto della brigata aveva già raggiunto un altro riparo
nel bosco del
Chiarino. L’imbrunire fece rimandare la partenza all’indomani, chissà quanti
sogni di libertà animavano le loro menti, prima di perdersi nel sonno, al
riparo dell’antico casolare,
anche noto come Casale Jenca. Ma intorno alla mezzanotte, a seguito di una
soffiata dei repubblichini, il casolare fu circondato da un centinaio di
nazifascisti che con facilità asserragliò
la stazione, con la morte immediata
di Giovanni di Vincenzo, colui che era di guardia. Furono tutti presi, ad
eccezione di uno che riuscì a dileguarsi. Un triste capitolo di storia della
Resistenza
abruzzese veniva scritto su queste pietre, ormai sconnesse e
fatiscenti, intricate di rovi e fasci di liane. Tornavamo ad Assergi seguendo
il corso del fiume, lo stesso percorso dei nostri progenitori.
Escursione organizzata dal CAI di Isola del Gran Sasso, coordinata da Luciano del Sordo.
Per approfondimenti sugli
eventi storici relativi alla Resistenza armata aquilana: “L’Aquila dall’armistizio
alla Repubblica 1943-1946” di Walter
Cavalieri, Edizioni Studio 7 L’Aquila, 1994.
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