mercoledì 1 settembre 2010

Monte Camicia e lo stemma aragonese


Finalmente torno su. Dopo due settimane di astinenza, anche il solo pensiero di riandare in montagna mi faceva stare bene. È incredibile come mi mancava. Mi sento costantemente come un magnete calamitato verso dove l’energia è possibilmente più pura. Poco importa se stanotte ho dormito in macchina – che non è il massimo della comodità (a L’Aquila se retretteca!) – questa immagine di benessere della montagna è bastata da sola a ridistendere tutti i muscoli, mi dà gioia, piacere, pace. Da un po’ di tempo tenevo a mente Monte Camicia (2564 m) perché quando ci sono andata a giugno c’era ancora la neve dalla testata del Vradda in su, tanto da non farmi proseguire oltre perché non portavo i ramponi (li avevo lasciati in macchina per solidarietà alla mia amica che li aveva dimenticati: di comune accordo avevamo deciso di salire fino a dove era possibile, e di rigirarci in caso di neve e ghiaccio). Penso sempre che la bellezza non sta nella cima, certo anche in quella, ma soprattutto sta nel percorso, dall’inizio alla fine, dall’andata al ritorno, è tutto quello che ci coinvolge al nostro passaggio. Ricordo quella giornata bellissima, quasi come quella di oggi, che con il cielo nitido e ricamato da nuvole scandiva lo spazio ritmandone la profondità. Non ho mai visto in vita mia la linea del mare così netta! Quasi quasi si intuiva anche la linea della spiaggia. Siamo salite da Fonte Vetica (1604 m), seguendo il percorso che corre sulla dorsale di Monte Tremoggia (2331 m). Appena arrivate in cresta, sulla Sella di Fonte Fredda (1994 m), il teramano appariva come una grande coperta in patchwork adagiata sulle varie collinette sottostanti. Quanto mi piaceva! Intorno a noi, mano mano che salivamo, c’era una distesa di stelle alpine, delicate e bellissime, che si confondevano timidamente nella natura arida che le accoglieva (fino a 412 euro di multa a chi le raccoglie). Il percorso che porta in cima è davvero comodo e facile, abbiamo impiegato circa due ore e mezza per arrivare su. La piccola croce era adornata di nastrini e fettucce colorate, legate lì come a voler sigillare una promessa o un desiderio da affidare al vento. Personalmente non amo queste cose, qui non siamo in Nepal ma in Abruzzo, e sulla cima di queste montagne è consentito solo di lasciare un pezzettino di cuore, nulla di più. (Chissà perché l’uomo sente sempre il bisogno di lasciare una traccia del proprio passaggio… bo… la mia comunque è solo un’opinione: non condivido queste cose, ma le rispetto). Siamo riscese passando per il percorso che segue il canale del Vradda, e in un’ora e venti eravamo alla macchina. Mesi fa, leggendo un libro molto bello (Gran Sasso le più belle escursioni, di Alesi, Calibani e Palermi), ero rimasta molto incuriosita da un paragrafo che parlava di uno stemma aragonese alle pendici del monte Camicia. Dovevo assolutamente trovarlo. Mi ero ripromessa che come sarei riandata su Monte Camicia avrei senza dubbio cercato quello stemma. E alla fine ce l’ho fatta (grazie soprattutto alle indicazioni di un amico). Sasso dopo sasso alla fine sono riuscita a localizzarlo! Quanta storia passa di qui. Riporto il paragrafo a citazione. Alle falde di monte Camicia, nella località detta sotto l’altare, trovasi un grande masso di pietra, del tutto isolato, sul quale è scolpito, in grandi dimensioni, lo stemma mediceo”. Così afferma Oreste Sulli nel suo “Castel del Monte”. Gli amici del CAI aquilano, che per la storia legata al territorio montano hanno una grande passione ed il fiuto dei profondi intenditori, lo hanno subito localizzato ed hanno scoperto che non si tratta di uno stemma dei Medici, ma di quello di Pietro d’Aragona (1472-1491), “riprodotto con l’inquadramento invertito: i pali d’Aragona al posto delle croci potenziate del Ducato di Calabria” (C. Tobia – Boll. CAI L’Aquila, giugno 1993). Ma chi ha scolpito lo stemma e perché? Un pastore per passatempo o c’è dell’altro? Lasciamo la parola al brillante storico Alessandro Clementi. “Una ipotesi: Alfonso d’Aragona istituì nel 1447 la Dogana di Foggia che organizzò in forme razionali e stabili il fenomeno spontaneo della transumanza che fin dalla preistoria aveva costituito il nerbo economico della regione dei grandi altipiani abruzzesi. La funzione principale della Dogana fu quella di assegnare le “locazioni” ovvero le porzioni di pascolo nel territorio del Tavoliere in base alla “professazione” ovvero alla dichiarazione del numero dei capi che si intendeva introdurre in Puglia. Lo stemma scolpito in questa roccia era con molta probabilità legato a qualche funzione amministrativa (quale è ancora da accertare) legata alla Dogana”. (Gran Sasso - le più belle escursioni, di Alberico Alesi, Maurizio Calibani, Antonio Palermi).

2 commenti:

  1. Astinenza da montagna: ti capisco. Sono "nato" escursionista in Appennino e adesso che faccio anche tanti km a piedi dove capita sento sempre il richiamo dell'altezza, anche poca, ma altezza. Troppo bello stare sulla cima e lasciare tutti i pensieri godendosi quello che si vede.
    Ciao.

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  2. già... :-)
    ciao Marco, grazie per il commento

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