martedì 28 agosto 2012

Monte Ortigara dal Rifugio Campomulo

Monte Ortigara era per eccellenza la montagna degli uomini. Il vento soffiava lungo gli avvallamenti, accarezzando un’antica montagna scolpita dalle bombe. Quasi nulla rispecchiava il profilo originale dell’antico rilievo: la guerra ne aveva stravolto le forme,un susseguirsi di crateri spianava vallate e depressioni, e in quelle fosse avevano trovato la morte molti uomini. Camminavamo in silenzio, nel massimo rispetto di quello che un tempo aveva sopportato, perché il dolore e la morte trattenevano nella terra lepreghiere di tanti. L’erba si rinnovava di anno in anno, ma ogni germoglio ne protraeva il ricordo, con la propria linfa mischiata al sangue dei soldati. Guardavo dall’alto il Vallone dell’Agnellizza, una distesa di alberi ammantava quella terra di morte, cercandodi coprire il più possibile il bianco della pietra scoperta dalle mine. La natura si riprendeva quello che le era stato tolto come una madre delusa, provavo un orrore infinito al pensiero della Prima Guerra Mondiale. La Pozza dell’Agnellizza è un vastoavvallamento che divide i due crinali montuosi dell’Ortigara a occidente e della Caldiera ad oriente. Divenne presto tristemente conosciuta dagli alpini della 52^ Divisione, che la ribattezzarono “Vallone della Morte”. Completamente espostaalla vista della linea austriaca e delle sue postazioni di artiglieria di Corno di Campo Bianco, di Monte Forno e della stessa Ortigara, era il passaggio obbligato che dovevano percorrere gli alpini prima per attaccare le quote dell’Ortigara e, una voltaconquistate, per portarvi i rifornimenti di viveri e munizioni, oltre che le batterie da montagna trasportate a spalla fin sulle quote di 2105 e 2101. Tutte le testimonianze ricordano con orrore e raccapriccio il terreno cosparso di morti e di feriti chechiedevano aiuto, e che non potevano essere raccolti che di notte per non subire ulteriori perdite. Racconta il Sott. Italo Zaina del Battaglione Spluga: “Corvé di portatori, barellieri, portaordini, vanno e vengono attraverso il Vallone, sul terrenoaccidentato dalle rocce e dalle buche, ingombro di neve fracida e di pozze d’acque, cosparso di morti e di feriti, di grovigli di ferro e di materiali d’ogni specie. I portaferiti cercano e chiamano lungo il terreno sconvolto, si caricano del loro peso doloroso e s’incamminano sotto il fuoco verso le posizioni italiane”. (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo). Sulla cima del Monte Ortigara, una corona di alloro secco giaceva tra i resti arrugginiti di vecchi arnesi e fili spinati, residui di secchi e di  gavette,rottami che un tempo avevano funzioni fondamentali, ma che adesso, sotto la volta del cielo, cercavano a loro modo di uniformarsi al colore della terra. Ogni cosa pareva volesse tornare all’origine. Il cippo italiano e quello austriacoricordavano i propri i morti disposti in maniera distante l’uno dall’altro, volevano distinguersi nonostante portassero entrambi la memoria di poveri uomini costretti a combattere con i propri simili.
 

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