sabato 2 luglio 2011

La Tofana di Rozes e la Galleria del Castelletto

Questa per me era la prima volta che andavo sulle Alpi. Le vedevo piccole avvicinarsi in lontananza, tanto da riuscire a contenerle tra le dita delle mani. Mano a mano che mi avvicinavo a lorocrescevano in progressione, assumendo tutta quella maestosità che gli era propria, quella grandezza solenne e incontrastata che lasciava senza fiato: erano dei veri monumenti della Natura, delleopere d’arte scolpite di una bellezza sublime. I vari strati di umidità stemperavano i colori di quei massicci, tanto da alleggerirli nella percezione d’insieme, tutto diventava poetico eimpalpabile, aereo e bellissimo. A guardarle dal basso non appartenevano né al cielo né alla terra, parevano un tramite ultraterreno per il divino, una zona neutrale dove tutto potevamanifestarsi ed ogni cosa si conteneva prima di svanire. Come lame affilate contrastavano il cielo nella maestosa comprensione di elementi differenti, trovavano il contatto, seguivano la linea, egraffiavano. Il mio Gran Sasso lo portavo nel cuore, ritrovavo nel selvaggio quanto più mi era caro, ma, oltre ad ogni limite conosciuto, seguivano altrettante estensioni della Terra. LaTofana di Rozes vibrava di calde tonalità, così imponente sopra le nostre teste appariva come un cristallo meraviglioso. Il sentiero per la Ferrata Lipella mano a mano incastonava tra le pietre letestimonianze della Prima Guerra Mondiale, con le sue trincee composte e silenziose inserite tutt’uno con la montagna. Il legno marcito da quasi cento anni tratteneva il ferro dei chiodi come unricordo lontano e antico della memoria dei padri. Salire quei ferri è stato come ascoltare un racconto sussurrato direttamente dalla pietra, ci si inoltrava in un buio materno scavato dai compressori,dove ci si sentiva accolti, protetti, guidati da chi prima di noi aveva aperto quei passaggi. Quella notte forzata accostava l’anima a quella della montagna, ed una volta fuori anche il silenzio delCastelletto assumeva la curvatura di un canto. Dal cielo una leggera nevicata ci accoglieva a dispetto di luglio, queste erano le Dolomiti d'Ampezzo, non potevo conoscerle in maniera più bella.

2 commenti:

  1. “....tutti viviamo nella incompletezza. Non siamo onnipotenti. Solo se accettassimo la finitezza come nostro orizzonte la nostalgia potrebbe apparire come un elemento positivo. La nostalgia ci dice costantemente che tutto ciò che abbiamo vissuto, che abbiamo amato, che abbiamo coltivato nel passato, non tornerà più, non ci appartiene più...”.
    Ecco, cara Sara, le tue meravigliose fotografie hanno di nuovo scatenato in me la reazione inconsulta della NOSTALGIA. Ho molto vagato per le pareti delle dolomiti, ho arrampicato per le sue eteree guglie, godendo della sensazione inumana di volare. Mi piaceva dondolare sugli abissi appeso alla mia fedele corda. Ma il tempo è inesorabile e tutto passa in un baleno. Ora non mi resta che pensare che la felicità è rannicchiata in quei luoghi che non mi appartengono più, luoghi in cui solo possiamo guarire del nostro incurabile e struggente male. Ma anche questo spesso è illusorio perché quei luoghi, idealizzati e ripuliti di ogni bruttura, nel frattempo sono mutati e non esistono più. Allora forse la NOSTALGIA non è altro che un rifugio dentro cui ci rintaniamo perché abbiamo paura di scoprire questa amara verità. Fors’anche quei luoghi non sono cambiati, è che quel tempo non esiste più. Potrei ancora salire sui sentieri e sulle ferrate, sciare sulle piste, ma come potrei farlo quando nella mia mente ancora è vivo il ricordo della campana sul campanile della val Montanaia che rintocca allo scuotere dei venti, oppure alle braccia tenere della mia bimba (salita con la funivia della freccia del cielo)che, mille e mille anni fa, mi accolsero felici sulla cima della Tofana dopo che ero salito lungo la via del Primo Pilastro? Allora mi rifugio nel deserto e lascio che la nostalgia mi chiuda la gola, la lascio agire senza opporre una inutile e ridicola resistenza. Scrivo e descrivo le mie “avventure” ( ma non quelle delle dolomiti) per una sorta di elaborazione e di difesa verso una realtà che non mi appartiene più. Non racconto delle dolomiti e delle montagne perché il protagonista ormai è scomparso e non riconosco più in me quella giovane scimmia che si arrampicava da solo sugli abissi dolomitici. Però la mia incurabile malattia mi lascia un po di respiro quando penso che qualcuno che ha la mia stessa visione della natura ( non è che poi sia una cosa positiva…), cammini verso le cime di quelle meraviglie e inizi a salire sulle rampe delle vertiginose ferrate. Mi sembra che i suoi occhi ( e il suo obiettivo) possano (ri)trasmettermi le sensazioni ormai irrimediabilmente perdute. Non credevi che delle SEMPLICI fotografie, ma condite con un meraviglioso commento, potessero essere tanto importanti per qualcuno? ................
    Ciao

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  2. Credo nell’equilibrio che regola ogni cosa, tanto si ama una cosa, tanto la si rimpiangerà un giorno quando non ci sarà più, e più la si ama e più la si piange, è questa la condanna delle anime sensibili, ma senza ogni minimo dubbio è meglio vivere intensamente piuttosto che evitare di farlo per paura di soffrire. Una cosa esiste solo grazie al suo contrapposto, altrimenti sarebbe un assoluto e non verrebbe nemmeno considerato. Che cosa sarebbe per te il Deserto senza tutto il tuo vissuto che ti porti sulle spalle? Non credo che avrebbe avuto lo stesso significato, non credo che sarebbe stato la stessa cosa. E non credo nemmeno che sia un banale ripiego.

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