sabato 4 giugno 2011

Eremo rupestre di San Bartolomeo in Legio

La terra madre raccoglieva l’acqua attraverso scivoli e sorgenti, l’incanalava, la accompagnava, se la faceva scorrere addosso fino a farsi logorare. Il Vallone di San Bartolomeo era scolpito da tutta quella leggerezza, i suoi solchi erano come delle vene entro cui scorreva la vita, dove ogni cosa si levigava alla ricerca dellaperfezione. La roccia, così dura, diveniva morbida allo sguardo, accompagnandosi alla tregua di vasche cristalline, dimora straordinaria di tritoni e raganelle. Dall’alto, l’Eremo di San Bartolomeo osservava ogni cosa, con la sua pietra liscia cosìermetica e profonda che tratteneva i sogni e le scritte dei fedeli, i segni di un passaggio o di una vocazione. La terra richiamava tutto sull’importanza dell’essenza, lì non c’era niente eppure si conteneva tutto. Come molti altri eremi della Majella, SanBartolomeo fu ricostruito nel XIII secolo per opera di Pietro da Morrone. Non ne conosciamo con precisione la data di origine ma possiamo supporre, come per S. Spirito a cui lo lega anche la vicinanza, che sia anteriore al Mille. Con molta probabilitàPietro da Morrone ricostruì l’Eremo dopo il 1250, visto che si tratta del primo ritiro da lui frequentato dopo Santo Spirito. Sappiamo, seppure non con certezza, che il futuro Celestino V con alcuni compagni vi si stabilì intorno al 1274 per restarvi piùo meno stabilmente fino al 1276. Per l’estrema vicinanza ai centri abitati e per l’eccessivo disturbo causategli dalle frequenti visite dei pellegrini, egli preferì, negli anni successivi, trasferirsi in San Giovanni d’Orfento. L’Eremo posto a circa 600 metri di quota nelvallone di Santo Spirito, si sviluppa sotto un enorme tetto di roccia, lungo circa 50 metri, bucato nella parte iniziale per permettere la discesa nel sottostante terrazzo. La balconata rocciosa è chiusa all’estremità opposta dal muro della chiesa chepresenta al di sopra dell’ingresso degli affreschi, piuttosto malridotti dal tempo e dall’ignoranza, che risalgono al tempo della ricostruzione di Pietro da Morrone. Il piccolo ambiente prende luce da una porta-finestra; di fronte, sotto una pietrasquadrata, c’è una risorgenza d’acqua che si raccoglie in una vaschetta ricavata sul pavimento. Una porticina di lato all’altare conduce in due piccoli ambienti che ricostituiscono la parte abitativa dell’Eremo. Qui la balconata termina ed unalunga scala scavata nella roccia porta nel vallone. Al centro della balconata si trovano altre due scalinate: quella a destra, la “Scala Santa”, viene percorsa solamente in salita, generalmente in ginocchio o pregando. Nel sottostante vallonetroviamo un ponte naturale e una piccola sorgente, entrambi legati alle leggende e alle tradizioni locali. L’Eremo è ancora oggi molto frequentato, in particolar modo in occasione della processione del 25 agosto. Una moltitudine di pellegrini vigiunge al mattino presto e, dopo la Messa ed una veloce colazione consumata giù alla sorgente nel vallone, in processione porta il Santo in paese. I fedeli ripercorrono antichi sentieri dandosi il cambio per portare la leggera statua delSanto, uno alla volta, in braccio come fosse un bambino. La statua in legno, bella nella sua raffigurazione paesana, ha la pelle sulla spalla sinistra ed un coltello nella mano destra. Tale iconografia si rifà alla tradizione che vuole San Bartolomeomartire in oriente, scorticato vivo. I fedeli riportano a casa l’acqua santa, raccolta sotto il masso all’interno della chiesa, e la distribuiscono ai parenti o la mandano all’estero ai familiari emigrati. L’acqua santa si presta a tutto: è l’ultima speranza per imoribondi, è miracolosa per le malattie dei neonati, cura piaghe e ferite. Anticamente era considerata l’unico rimedio contro la peronospora della vite. (Tratto da Eremi d’Abruzzo – Guida ai luoghi di culto rupestri – CARSA Edizioni).

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