Campitello Matese a fine giugno era immerso nel silenzio, con
gli impianti e gli alberghi chiusi che lasciavano remota la presenza umana.
Salivamo
nel bosco in direzione della Grotta delle Ciaole, dove una suggestiva parete
rocciosa esposta a Nord custodiva nell’ombra i nidi
dei gracchi. Il verde
intenso dell’erba si insinuava tra le pietraie, e il sentiero, che a tratti si
perdeva, risaliva la volta della montagna
lambendo scheletri di vecchi tralicci
abbandonati. Ci perdevamo nella contemplazione dei panorami, i rilievi intorno
a noi si vestivano
dell’eleganza dell’essenziale, così spogli e candidi delle
tonalità della pietra. Sulla cima del Monte Miletto trovavamo riparo dal vento
tra i
ruderi di un vecchio ricovero, il bellissimo panorama spaziava in maniera
sconfinata tra due regioni e mi piaceva in maniera particolare
la visione del
Lago del Matese, la cui superficie aveva la stessa densità visiva della
prospettiva aerea delle montagne alle sue spalle.
Tra velature di nebbia
illusorie la terra si materializzava con tutte le possibili stratificazioni di
leggerezza.

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