domenica 4 settembre 2016

Sardegna in moto dal Golfo di Orosei all'Isola di Sant'Antioco e il Massiccio del Gennergentu

La bellezza della Sardegna era nelle sugherete piegate dal Maestrale, nel granito rosso delle montagne, nel silenzio dei nuraghe checontavano i millenni. A Cala Luna il candore del calcare metteva in risalto l’azzurro del mare, che diveniva specchio nei meandri dellaGrotta del Bue Marino. Le concrezioni si aggrumavano in strani speleotemi, come eccentriche mai viste che nessuno mi sapevaspiegare. Mi piaceva la Sardegna e il suo carattere simile a quello d’Abruzzo, fatto di gente dall’animo forte e gentile. Da Cala Gonone alGolfo di Orosei, e poi ancora tante altre strade percorse in moto nel massiccio del Gennargentu, fino ad arrivare alla Torre delle Stelle.Scendevamo verso Sud. La Statale Orientale Sarda passava per il Parco dei Sette Fratelli, attraversando un magnifico canyon di granito rosso,tra lame affilate e taglienti ammorbidite dai lecci. I fichi d’India portavano il carico dei loro frutti, sotto un sole rovente e il cantoassordante delle cicale. Il Castello di Acquafredda del Conte Ugolino si animava del lamento delle poiane, mentre dalla torre più alta vedevamouna distesa di campi arati bruciati dal sole. La lingua di terra sarda che si estendeva verso Sant’Antioco viveva della laguna, di ristagnisvaporati di sale, bianchissimi, che svelavano l’equilibrio di fenicotteri rosa. Sulla spiaggia riecheggiava il suono della risacca e la nenia diritornelli di varie sinfonie fischiate al vento. La costa di Cagliari e la montagna sarda apparivano come velature. Tra la Torre Canai e laSpiaggia Turri l’acqua limpida svelava un universo profondo dove nuotare era come volare. Tantissimi pesci, occhiate, sogliole, scorfani,orate danzavano nella poseidonia verde, mossa come i capelli della fanciullezza al vento. Sott’acqua assistevamo al pasto dei pesci cheindisturbati mangiavano i resti di un granchio, mentre bollicine d’aria partivano dalla sabbia individuando forse mitili o vongole. Entravamotra il silenzio dell’acqua, nel regno dei fluidi. Era la Spiaggia di Coaquaddus. Il Maestrale batteva tra il Faro di Mangiabarche eCalasetta, spingendosi oltre tutta la costa occidentale dell’Isola di Sant’Antioco. L’entroterra spoglio e assolato si vestiva soltanto di bassevegetazioni di lentisco e cespugli selvatici di macchia mediterranea. Cala Sapone oltre al suo spicchio di spiaggia si contornava dellabellezza di scogli neri e lisci, dove i cristalli di sale mostravano il loro migliore contrasto. Una signora anziana stava seduta sugli scoglirivolta al mare, cantava una nenia lontana e familiare, che mista al suono delle onde infrante mi giungeva con estrema dolcezza. Ancheun’altra signora cantava, affidavano le loro parole al mare, chissà cosa rappresentava per loro questo mare, le loro parole erano leggere come ilvento e intense come l’oblio ancestrale. Non trovavamo la Porta d’Oro di Pula e rimaneva soltanto la leggenda della musca macedda. Ifenicotteri rosa stavano in equilibrio nelle paludi, sugli specchi d’acqua delle saline, dove il loro riflesso vibrante si amplificava.

Nessun commento:

Posta un commento