lunedì 24 settembre 2012

Rifugio Antelao da Nebbiù

Il bosco si animava del corso d’acqua del Rio Marilongo, quel rumore ci accompagnava a tratti, a seconda della tangenza con ilsentiero. Quell’enorme abetaglia si incastonava sulle ripide pareti della montagna, lasciava intravedere appena il sentiero che salivaattraverso essa, coprendo e scoprendo scorci unici sull’orrido delle cascate di Pissandro. Una leggera nebbia si incanalavavelocemente verso l’alto, attraverso aperture di canali scoscesi, stemperando quel verde intenso incupito dal cielo color piombo.La pioggia ci regalava la presenza delle salamandre, il loro passaggio silenzioso impreziosiva i colori della terra. Il RifugioAntelao ci accoglieva nei suoi ultimi giorni di apertura settimanale, così contornato dalle nuvole lasciava intuire la suaposizione panoramica. Situato a 1796 metri, in località Sella di Pradonego, nel comune di Pieve di Cadore (Belluno), l’edificio,dopo recenti lavori di ristrutturazione e ampliamento, costituisce una meraviglioso punto di passaggio tra il Cadore,sul quale si affaccia come un balcone naturale, e la Val Boite , lungo un percorso che cinge ad est la montagna (3263 mt) da cuiprende il nome. Di proprietá del CAI di Treviso, il Rifugio Antelao fu voluto e costruito nel 1948 dalla scrittrice e alpinista AlmaBevilacqua (più conosciuta con lo pseudonimo di Giovanna Zangrandi) per valorizzare una zona dolomitica poco nota, da leiapprezzata ed amata durante la lotta partigiana. (Informazioni tratte da qui).

martedì 11 settembre 2012

Riflessioni su una spiaggia di Golfo Aranci

L’indomani saremo partiti per tornare a casa, dopo circa una settimana trascorsa in moto in Sardegna, ed una precedente tra l'altopiano di Asiago, le montagne della Val Ridanna ed un appuntamento a Livigno. Le vacanze dello scorso anno avevano come elemento prevalente quello dei vulcani, quest’anno, invece, a fare da comune denominatore erano le miniere. Cercavamo digestire il più possibile i giorni a disposizione, alloggiando in B&B a basso costo per risparmiare, ma soprattutto senza mai fermarci, cercando sempre di prendere il più possibile della bellezza dei luoghi che attraversavamo. Siamo di passaggio su questa terra, in maniera così veloce che purtroppo non potremo mai vederla tutta, dobbiamo prendere il più possibile dalla sua bellezza,altrimenti quale senso mai avrebbe la vita? Finalmente ci riposavamo su di una spiaggia di Golfo Aranci. Non capivo come poteva la maggior parte dei turisti, che sceglieva come meta la Sardegna, soffermarsi solo sulla Costa Smeralda, anche noi ci siamo andati, ma siamo subito fuggiti via da quelle spiagge super affollate, dove si aveva difficoltà anche solo a camminare in rivaal mare. La Costa Smeralda era senza dubbio bellissima, ma altrettanto meraviglioso era tutto quello che veniva dopo. Ripensavo a Stintino e all'Asinara, alla bellezza della Costa Verde, così selvaggia e impreziosita dell'unicità delle Dune di Piscinas. Ripensavo alla zona aspra delle miniere di Ingurtosu, con i suoi paesi fantasma. Ripensavo all'interno incontaminato della Sardegna, tra i nuraghe e le tombe dei giganti, all'odore dell'elicriso, alla maestosità del Gennargentu, e alle querce da sughero piegate dal Maestrale, un vento così presente in tutta la terra di Sardegna. Ripensavo agli occhi dei sardi, che più ci inoltravamo nell’entroterra e più divenivano autentici, ospitali. Questi pochi giorni mi avevano dato tanto, spero presto di tornare su quest’isola antica.

lunedì 10 settembre 2012

Verso il massiccio del Gennargentu

L’interno della Sardegna si lasciava scoprire attraverso strade di asfalto perfetto. Salivamo alla scoperta del Gennargentu con ildesiderio di portare il saluto alla montagna. I purceddi sardi stanziavano tranquillamente bordo strada, nei pressi dellefontane e degli slarghi, erano non curanti della presenza dell’uomo, tanto da non scappare se avvicinati. Per certi aspettitrovavo l’interno della Sardegna simile alle mie montagne d’Abruzzo, con gli stessi ritmi di chi coltiva la terra, con la stessagentilezza di chi sente per il proprio luogo un amore viscerale che è pronto a condividere. La gentilezza e l’ospitalità si leggeva neivolti di chiunque, quella terra era davvero affascinante e si lasciava scoprire con familiarità. Dal rifugio Bruncuspina losguardo scendeva in basso lungo vallate immense, e saliva in alto a guardare le altre montagne farsi accarezzare dalle nubi.

domenica 9 settembre 2012

La foresta di Betilli e il Borgo dei Carbonai

I paesi si sperdevano nell’entroterra sardo, distanziandosi tra loro di molti chilometri. Veniva sera ed eravamo alla ricerca di un luogo dove poter mangiare e dormire. Un cartello lungo la strada evidenziava il bivio dove era posto, indicando un albergo a pochichilometri di distanza: il Borgo dei Carbonai. Seguivamo l’indicazione incuriositi dal nome, inoltrandoci nel bosco di Betilli, percorrendo una lunga strada sterrata che non vedeva mai fine. Il Borgo dei Carbonai appariva immerso nel silenzio,contornato meravigliosamente da una foresta di lecci e dai colori della sera. Due gatti bianchi ci venivano incontro alla ricerca di carezze, e subito dopo anche il gestore veniva ad accoglierci. Eravamo soli in quell’enorme struttura a ridosso della montagna,immersi nella quiete più totale, dove non si sentivano rumori se non quelli soffusi del riposo del bosco.

Il complesso "Su Nuraxi" di Barumini

Il Nuraghe di Barumini si innalzava al di sopra di distese sconfinate, ormai rivestite solo di erba secca. Quell’enorme complesso era visibile da ogni angolazione e raccontava agli uomini la possibile suggestione del mito dei giganti. Le enormi mura di basalto si componevano di pietre ciclopiche e seguivanoil ritornello di linee circolari. Il nuraghe “Su Nuraxi”, situato nei pressi del paese Barumini, nella regione collinare miocenica della Marmilla, ai piedi del tavolato basaltico della giara di Gesturi, il più noto e maestoso complesso nuragico della Sardegna, è stato dichiarato nel 1997 dall’Unesco Patrimoniodell’Umanità. La sua affascinante storia iniziò negli anni ’50 quando l’archeologo e accademico dei Lincei Giovanni Lilliu mise in luce il fortilizio costituito da una torre principale (A), delimitata da un vasto cortile (B) e da quattro torri (C,D,E,F) e circondato da un antemurale e da un vasto villaggio di capanne.L’aspetto originario del complesso era simile a quello di un castello medievale, con alte, svettanti torri cupolate. A distanza di tempo il “gigante di pietra” conserva la sua monumentalità e una grande forza evocatrice. La torre centrale o mastio, di forma troncoconica slanciata, originariamente più alta di 18 metri edattualmente m.14,10, contiene tre camere sovrapposte di cui quella superiore ridotta al contorno perimetrale di base, costruite con filari di pietre di basalto, degradanti verso l’alto, messe in opera a secco. Il corpo centrale e le quattro torri, unite da cortine murarie rettilinee, vennero rifasciati, per ragionistatiche e di maggiore difesa, con blocchi di pietra e coronati da mensole in basalto le quali sostenevano un ballatoio piombatoio. Il rifascio occluse l’originario ingresso meridionale sostituito da un secondo ingresso sopraelevato, aperto dalla cortina di N.E., che costituisce l’attuale accesso al monumento. L’ingressooriginario architravato conduceva ad un ambiente ellissoidale con due garritte a sinistra e a destra, da cui si accedeva al cortile nel quale è ricavato un pozzo, profondo più di venti metri. Nel cortile si aprono anche gli ingressi alla torre centrale e alle torri laterali e alla porta sopraelevata collegata alla scala checonduce alla sommità del bastione. Le torri sono provviste di due ordini di feritoie con funzione difensiva o presa di luce. Nella camera di base del mastio dotata di due grandi nicchie, fu rinvenuto un abbondante strato di sughero, probabilmente utilizzato come rivestimento del pavimento e delle nicchie. Ilcomplesso presenta diverse fasi costruttive. Secondo l’archeologo Giovanni Lilliu l’impianto primitivo del XVI-XV sec. a.C. era costituito dalla torre centrale intorno alla quale nel XIV-XII sec. a.C. vennero costruite le quattro torri e un primitivo antemurale. Nel XII sec. a.C. il fortilizio venne rifasciato el’antemurale arricchito di due torri, raggiungendo il numero di sette. Il soprintendente archeologo Vincenzo Santoni, sulla base di un recente riesame delle strutture e dei materiali, ritiene unitaria la costruzione del mastio, del bastione quadrilobato e del primo antemurale, datandoli tra la fine delXV e l’inizio del XIII sec. a.C.. Un esteso villaggio di capanne, a prevalente impianto circolare ma anche rettilineo, si espande a Est e a Sud del fortilizio turrito, all’esterno e all’interno dell’antemurale. Il villaggio è costituito da più di 200 capanne, edificate in diversi periodi  e utilizzate fino all’età tardo-romana, originariamentecoperte con travi di legno a raggiera e frasche e conservate in parte dell’elevato in pietre di basalto e marna. Focolari, giacigli, ceramiche di uso quotidiano, sistemi di canalizzazione delle acque ed un pozzo testimoniano che in queste si svolgeva la vita comunitaria. In alcuni ambienti sono stati rinvenuti elementiriferiti ad uso rituale. Fra le capanne si distingue la capanna 135, ubicata nel settore orientale del villaggio, di impianto sub rettangolare, sotto il cui pavimento sono stati rinvenuti pozzetti votivi. Un altro ambiente degno di particolare nota è la capanna 80, dotata di un sedile circolare e di nicchie, denominata “Saladel Consiglio” sulla base dell’ipotesi che vi si svolgessero riunioni di carattere civile e religioso da parte degli anziani del villaggio presieduti dal capo. È stato in essa rinvenuto un modellino litico di nuraghe. Rilevanti anche gli isolati abitativi del tipo “a corte” pluricellulare, dotati di un atrio centrale e vani circostanti (11,20,42). (Notizie tratte da un cartello informativo del luogo).

Tra le miniere della Sardegna, la strada da Piscinas a Ingurtosu a Montevecchio

Ingurtosu, il paese fantasma, nacque a metà dell’ottocento nella valle omonima che da Punta Tintillonis degrada dolcemente fino alle dune e al mare di Piscinas. Il suo nome deriva dal sardoguntórzu che significa grifone, avvoltoio, e anche ingordo. Il borgo fu il centro direzionale delle Miniere di Ingurtosu-Gennamari e fino a metà degli anni 60 ospitava circa 2000famiglie. Oggi sono rimasti pochi edifici e affascinanti ruderi incastonati tra la macchia mediterranea padrona della valle. (Testo tratto dal sito http://www.miniereingurtosu.it/, dove l’articolocontinua). Tornavamo a Montevecchio dopo esser stati alle Dune di Piscinas, non conoscevamo questa strada, alcuni ce la consigliavano per la bellezza, altri no a causa del suo dissesto, mauna volta imboccata la via l’intenzione era ovviamente quella di percorrerla. La strada saliva passando per uno sterrato sconnesso, la moto si adattava anche se non posso nascondere iltimore per il fondo breccioso e i tratti esposti senza le protezioni. Ma quali protezioni potevano esserci in un luogo così abbandonato? La bellezza della macchia mediterranea inglobavatutto, cercando di riappropriarsi di quanto era suo, rimanevano solo gli scheletri di una città fantasma e il presagio di un passato lontano. Eravamo nel cuore delle miniere della Sardegna, dove ivecchi ferri arrugginiti costituivano un’importante archeologia industriale, così suggestiva, così sensibile nell’assenza. Un tempo, il rumore dei lavori meccanici faceva da tamburo nella valle, ora solo il suono del vento rimaneva ad accarezzare la sabbia.
Per dormire e mangiare a Montevecchio consiglio (vivamente) l’Agriturismo Sa Tanca – località Sa Tanca – Montevecchio – 09031 – Arbus – Provincia del Medio Campidano (VS)  – telefono: 340/9105265 – web: www.agrisatanca.com