venerdì 30 aprile 2010

Cascate della Volpara e della Prata da Umito


Ieri il Sirente e oggi la Laga, in due giorni ho avuto la possibilità di condividere due regni assolutamente diversi: sono passata dalla cresta innevata e rocciosa del Sirente, elevata ed esposta, al verde intenso dei boschi della Laga, con le sue cascate, le felci e le pietre arenarie. Partiti da Umìto,una piccola frazione del comune di Acquasanta Terme, abbiamo intrapreso una comoda carrareccia che saliva in direzione di Macera della Morte. Il sottofondo dello scroscio dell'acqua ci accompagnava lungo tutto il tragitto. Percorrendo la strada abbiamo incontrato un boscagliolo del posto che, informatosi del nostro itinerario, ci ha detto che non potevamo scegliere momento migliore per visitare le Cascate, perchè rese ancor più spettacolari grazie allo scioglimento delle nevi. Guardando la carta, superata la zona che si chiama Forcella, abbiamo deviato a sinistra in direzione delle Cascate della Prata. Nei pressi della finale della cascata un cartello informativo riportava: Cascate della Prata quota 863 mslm. Formata dal Rio Prata, o Rio Secco, appare come una delle più belle cascate dei Monti della Laga, anche con la portata minima sprigiona il suo magico fascino. Sia lungo il sentiero che viene dalla strada brecciata di fondo valle, sia lungo quello che viene da Umito fino alla base
della cascata, ci sono una serie di piccole piazzole dove fino agli anni 50 gli abitanti di Umito bruciavano legna per ricavarne carbone facile da trasportare; Il paleontologo Guglielmo Allevi nel suo libro “Fra le Rupi del Fiobbo” (1894) parla di un primitivo insediamento umano sul crinale di fronte alle cascate denominato “Ara della Croce”, e chiama i carbonai “i neri sacerdoti del fuoco”. I reperti che furono trovati nell'insediamento furono portati dal paleontologo ad Offida, ma oggi è possibile vederli al Museo Archeologico Nazionale Pigorini di Roma, dove sono custoditi. Il sentiero percorso era
anticamente usato per raggiungere l'alta montagna del comune di Montacuto (uno dei cinque comuni in cui fino al 1860 era divisa Acquasanta). I pascoli sopra la cascata sono ancora oggi usati durante il periodo estivo per le greggi. Ripreso il percorso principale, giungevamo presso il Rifugio del Papa (o Rifugio Scalelle) della Forestale, da lì in poi la strada mutava in sentiero.Il tragitto si arricchiva di elementi straordinari, come la Grotta della Spelonga e il Fornetto, di cui un cartello ne accennava la storia: il Fornetto è una grotta chiusa da un muro che, fino agli anni 50, venne usato dai pastori come rifugio per la notte. Sul muro di chiusura era stato costruito un forno (da cui prende appunto il nome) per la cottura del pane. Questa grotta è custode di molta più storia si possa immaginare. Qui transitarono migliaia di briganti, andando a combattere per mantenere il regno temporale dei Papi. Da qui passarono contrabbandieri quando il Monte Macera della Morte segnava ancora il confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa. Da qui passarono gli antichi che dal rietino, sono giunti a colonizzare i nostri luoghi. Qui si nascosero i partigiani durante la seconda guerra mondiale. Qui transitarono pastori che, in autunno, dal fondovalle andarono con i loro greggi nell'Agro Romano in cerca di temperature meno rigide. Fino al 1950, qui, passarono gruppi di donne che numerose portavano a valle il carbone prodotto tra questi boschi, intonando canzoni d'amore nonostante il duro lavoro.
Ripreso il percorso attraversavamo il Rio d'Imito, i Bacili, e il Fosso dell'Abete, fino ad arrivare, finalmente, al punto di migliore avvistamento della Cascata della Volpara.Un cartello del luogo riportava: 
Le Cascate della Volpara, che nascono dal Rio Volpara, sono caratterizzate da una serie di salti che iniziano a 2000 metri di quota e terminano a 800 metri più a valle. In inverno le cascate
sono coperte dalla neve che scivola dalle mura laterali, ma quando negli anni più freddi le cascate ghiacciano completamente, lo spettacolo lascia senza fiato. La cima della montagna, nota come Macera della Morte (2073 mslm), fu lo scenario delle guerre combattute fra i Romani e i Piceni. Lì, molti anni fa, un cippo in arenaria segnava il confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa. Oggi segna il confine tra le regioni Marche, Lazio e Abruzzo. Il sentiero che porta alle cascate della Volpara in passato veniva percorso dai contrabbandieri che attraversavano il confine per evitare i dazi doganali. A valle della cascata sugli scivoli di arenaria (Baccili), con la tecnica della fluitazione si trasportavano tronchi fino alla costa per costruire imbarcazioni. A metà strada circa, si trova il Fornetto, grotta chiusa con un muro utilizzata fino agli anni 50 dai pastori. Sul muro di chiusura era stato costruito un forno per la cottura del pane.

giovedì 29 aprile 2010

Monte Sirente dalla Valle d'Arano passando per lo Stazzo di Cristo


Ho sempre pensato al Sirente come ad una montagna inarrivabile, questo non tanto a causa della lunghezza del percorso, ma a causa dell'illusione scaturita dall'identificare la vetta nelle molteplici anticime che l'anticipano. La cima è sempre quella dopo (soprattutto se si parte da Rovere). Partiti da Ovindoli, e più precisamente dalla Valle d'Arano (1335 m), abbiamo intrapreso la carrareccia che sale subito dopo il piccolo ponte di pietra. E' una strada molto comoda che porta nei pressi del Prato del Popolo. Quanto mi fa strano pensare che tutta quella zona un tempo era sott'acqua: è facile scorgere sulle pietre disposte a terra, lungo la carrareccia, il profilo di antiche conchiglie e di altri fossili. Proseguendo oltre, ed ignorando soprattutto la vecchia segnaletica del CAI, siamo giunti nei pressi dello Stazzo di Cristo. Questa accortezza ci ha permesso di evitare i numerosi saliscendi che è solito offrire il Sirente. Siamo arrivati in vetta (2348 m) in maniera comoda, grazie alla neve che livellava per bene la superficie e che ci permetteva di fare dei passi regolari e controllati.

domenica 25 aprile 2010

Monte Gabbia da Fonte Palomba


Questa è stata la seconda uscita del CAI dell'Aquila. Il sito la descriveva così (riporto le informazioni): MONTE GABBIA ESCURSIONE del 25 APRILE 2010 · coordinatore A.E. Gianfranco Micarelli (in collaborazione A.E. Latino Bafile, A.E. Alfredo Fossi, A.E. Leucio Rossi) - Località di partenza escursione: FONTE PALOMBA 1080 m · Punti di transito: M.GABBIA, F.TE BRIGNOLA, RIF.GHENGA, PIANO DEL MONTE · Lunghezza complessiva percorso: circa 10 Km · DISLIVELLO IN SALITA: ~ 690 M · TEMPO DI PERCORRENZA STIMATO: 6 ORE S.C. Difficoltà: E; e così è stata, solo che nei tempi di percorrenza non sapevo che fossero inserite anche le pause, numerose e abbastanza lunghe (d'altronde con i gruppi...), non vorrei sbilanciarmi troppo, ma credo che con 4 ore comode si fa benissimo tutto il giro. Partiti da Fonte Palomba (1080 m), abbiamo percorso un comodo sentiero leggermente ripido che passa in mezzo ad un bellissimo bosco di pini, forse potrebbe essere questa la parte più impegnativa di tutto il percorso, caratterizzato prevalentemente da pendenze morbide, assolutamente poco difficoltose e molto molto piacevoli. La vetta si raggiunge impiegando poco tempo. Quella segnata come cima di Monte Gabbia (1497 m), in realtà è un'anticima, perchè il punto di maggiore elevazione è situato a breve distanza, ed è segnato sulla carta a 1504 metri, ed è contraddistinto, sul territorio, da una specie di croce di legno un po' arrangiata. Nonostante sia una montagna bassa, l'ho trovata molto panoramica: a Nord si leggeva bene tutta la linea dell'orizzonte che correva lungo i Monti Sibillini, quelli della Laga e del Gran Sasso (con un certo risalto su Monte Corvo che spiccava dalla foschia), mentre a Sud ammiravo con occhi nuovi Monte Calvo, Monte Nuria e Monte Giano... irriconoscibili dal mio occhio inesperto da quella prospettiva. Sulla seconda cima incontrata di Monte Gabbia (o Monte Cabbia?!), quella di 1504 metri, passa il confine di regione che taglia in due il territorio: a Est c'è l'Abruzzo e ad Ovest il Lazio (...mi piacciono i punti di confine...). Proseguendo in direzione del Terminillo (talmente definito che sembrava si potesse toccare), siamo scesi a Fonte Brignola (1187 m), dove il fontanile presenta due bocchette, la pricipale, che non credo sia eccezionale come acqua perchè sgorga e si rimmette successivamente nel condotto, e la secondaria, disposta in basso a destra, probabilmente sorgiva. Dal Piano di Brignola abbiamo seguito un sentiero pianeggiante molto comodo che arriva nella Valle Stadana, dove è presente un casale privato che prende il nome di Rifugio Chenga (ex Casale Laurenzi), dove, montata su una porta, è presente una tavola con una scritta che dovrebbe essere legge: RISPETTA E SARAI RISPETTATO. Sono presenti, in zona, molti ruderi di
ricoveri di pastori. Successivamente, il percorso ad anello che abbiamo eseguito passa lungo un sentierino addossato a Valle Acera, da cui si godeva la vista sulla bellissima vallata sottostante di Santo Nunzio, dove i campi diversamente coltivati creavano un gioco di colori alternati. Tagliando il percorso in direzione del Piano del Monte abbiamo seguito, per un tratto di strada, una comoda carrareccia che conduce al paese. Svalicando per un'altra vallata (per tagliare) ed intrapreso un altro sentiero, ci siamo trovati nei pressi di questo cartello, dove intrapresa la direzione che si inerpica su Monte Gabbia (o Monte Cabbia?!) abbiamo trovato un segnale di fondamentale, inestimabile, assoluta importanza: l'ometto di pietra più bello del mondo, che come un faro nella notte ci ha indicato la via, manco fosse Virgilio all'Inferno. Da lì a poco si raggiunge facilmente il Rifugio Monte Cabbia (1121 m) della forestale, rintersecando così la strada iniziale dell'andata, che passa nel bosco e conduce a Fonte Palomba. Girando su internet per cercare informazioni sul territorio, mi sono imbattuta nel sito del paese di Cabbia di Montereale, davvero ben fatto, che illustra per bene il territorio, la sua storia e la sua attività. E proprio approfittando dell'ottima funzionalità di questo sito che mi sono (appena) tolta il dubbio riguardo la giusta denominazione del luogo, a volte riportato come Cabbia e a volte come Gabbia. Mi ha gentilmente risposto Monia Pizzelli, colei che gestisce il sito, che, informandosi, mi ha fornito un'eccellente spiegazione scritta appositamente da Concezio Salvi, che riporto qui di seguito.
Cabbia o Gabbia? Il paese prese il nome di Caja da Valle Caja, la valletta posta sotto la Palommara tra Lu Fossatu e jò e Lu Pantanicciu. Ancora oggi esiste la dicitura Alacaja intendendosi la parte di quella valletta verso il villino e la casa di Nando. Alacaja probabilmente da v-allecaja. Quando, forse nei primi decenni del secolo scorso, il nome è stato "italianizzato" la Caja è diventata inizialmente Gabbia e non Cabbia poichè foneticamente è più facilmente pronunciabile e dalla pronuncia verbale si è poi passati alla parola scritta. Inizialmente i Cajani non si preoccuparono di ciò, sia perchè alla prese con problemi più pressanti, sia perchè il livello culturale era modesto. Successivamente, dopo gli anni Sessanta del secolo scorso, con una elevata percentuale di laureati e diplomati tra i Cajani, qualcuno ha iniziato a trovare "sconveniente" il termine "Gabbia" anche perchè soggetto a salaci battute: "gabbia di matti", "ma voi vivete in gabbia", "vi hanno rinchiusi in gabbia" etc... etc... Questo ad esempio ha portato che le scritte stradali, fatte dal Comune di Montereale, che indicano gli ingressi del paese riportano la dicitura CABBIA con la “C”. Ricordo vagamente che quelle indicazione stradali inizialmente erano state fatte con la dicitura Gabbia ma furono subito fatte cambiare prima di essere posizionate. Tutti questi passaggi, nel corso dei decenni, hanno portato alla presenza contemporanea delle due diciture anche su piantine geografiche o similari. Da qui i dubbi di alcuni.
Per tutto quello precedentemente esposto, per me, il nome corretto è CABBIA e non GABBIA. Probabilmente tra qualche decennio la dicitura con la “G” andrà progressivamente ad estinguersi. Siamo riusciti finalmente ad uscire dalla Gabbia!!!
Concezio Salvi

mercoledì 21 aprile 2010

Monte Ocre da Roio Piano


Circa venti giorni fa abbiamo fatto un'escursione per raggiungere la cima di Monte Ocre (2204 m) da Ripa di Bagno (816 m), ma purtroppo siamo rimasti bloccati presso i Tre Bauzi, a poco dalla cima, per la mancanza di attrezzatura (piccozza, ramponi, ecc...). Ci eravamo comunque ripromessi di ripercorrere il giro a distanza di un mese, cercando una condizione ambientalistica migliore, più sicura, o almeno con poca neve. Come la scorsa volta anche questa escursione è stata guidata da Gaetano Falcone, solo che invece di partire da Ripa di Bagno, ha deciso di seguire il percorso che parte da Roio Piano (804 m). E' un tragitto davvero molto lungo (addirittura ho trovato difficoltà a scattare la foto alla carta per far entrare tutto il percorso ai limiti della visibilità). Lasciata la macchina nei pressi dell'inizio della carrareccia di Capo Roio ( 42°19'28.92"N 13°21'14.88"E) abbiamo cominciato a salire il sentiero della Via del Monte (ho messo le coordinate direttamente della strada intrapresa per non sbagliare, perchè sul posto ci sono anche altre deviazioni non riportate sulla carta). Si percorre un lungo tratto di sentiero che mi verrebbe da consigliare soprattutto agli amanti della mountain bike, sì perchè sono pendenze morbide, su un terreno comodamente tracciato che sale tra vallate verdi arricchite talvolta da castagni, faggi, carpini e biancospini. Purtroppo per seguire il sentiero n°6 indicato sulla carta ci vorrebbe un veggente perchè i segnali di orientamento riportati sul territorio sono pessimi, dissociati, disposti a momenti uno ogni chilometro: proprio per questo motivo è stato difficile capire in quale punto lasciare la carrareccia e seguire il sentiero come è indicato sulla carta. Ma più che un errore è stata una svista (tra una chiacchiera e l'altra proprio non ce ne siamo accorti), e tuttavia è stata una distrazione positiva, perchè solo così potevamo scoprire altri punti di interesse fuori sentiero, come la dolina di Mezza Spada e la Fonte Cerasitto. Ricapitolando il tragitto, guardando la carta, siamo passati per: la Via del Monte, Pietra Pidocchiosa (!!?), Casetta del Monte, Valle Spinosa, Colle Campetello, Prati della Cuza, la Noce, e le Casarelle. Da qui a breve il sentiero si apre in un piccolo altopiano da cui si gode la vista sulla bellissima dolina di Mezza Spada, dove una depressione notevole segna la differenza di altitudine tra 1395 m e 1198 m. Lungo questa parte di percorso, sopra descritta, c'è stato un punto in cui siamo rimasti molto colpiti da quello che può essere la potenza distruttiva di una valanga: mezzo bosco (ormai secco) disposto lungo tutta la pendenza della montagna... il sentiero che abbiamo fatto noi, quasi a valle, lontano dalle pareti e assolutamente non in pendenza, passa proprio nel bel mezzo di questo cimitero di piante: quindi per quanto questo possa sembrare un tragitto tranquillo da fare tutto l'anno, con la neve non lo è proprio per niente! E' impressionante la potenza di una valanga (link). Tornando alla dolina di Mezza Spada, da lì abbiamo deciso di riallacciarci al sentiero 6D segnato sulla carta, prendendo di petto oltre 450 metri di dislivello fino a raggiungere il Passo di Vallefredda (1695 m). Poco dopo l'inizio della feroce impettata c'è Fonte Cerasitto (1301 m), purtroppo senza acqua, o meglio qualche goccia c'era, ma nulla di che. Raggiunta Valle Fredda a segnare il tragitto c'è una comoda carrareccia che attraversa tutta la Valle di Santo Iago, e che giunge a Terra Rossa, sotto il Valico dei Monti di Bagno (1792 m), dove una piccola vallata accoglie un rifugio aperto e un laghetto (aperto non nel senso che c'è un esercizio commerciale attivo, ma nel senso che è splalancato e di libera fruizione del bestiame!). Da qui in poi il sentierto per
raggiungere Monte Ocre (2204 m) è lo stesso di venti giorni fa che va in direzione dei Tre Bauzi (2150 m). E proprio come 20 giorni fa ci siamo fermati lì, senza arrivare in cima, dopo circa 6 ore di cammino. Purtroppo l'ultimo tratto per raggiunere la vetta di Monte Ocre (2204 m) era ancora innevato, di certo non ghiacciato come l'altra volta e alcuni punti erano puliti, PERO'... A dire il vero abbiamo provato a fare un pezzo dell'ultimo tratto di salita, all'inizio sembrava che la cosa fosse fattibile, ma, salendo, tra la neve che non si sfondava più e il vento sempre più gelido che tirava, abbiamo deciso di lasciar stare. Da come mi hanno spiegato anche la neve di fine aprile più “trasformata”, se sottoposta ad un vento gelido, ghiaccia solo nella sua parte superiore, differenziandosi così dallo strato sottostante di consistenza diversa: aumenta di molto la probabilità che un attrito provochi un distaccamento del manto nevoso. Non sia mai. Dietro front. Casa dolce casa. Lungi da me l'idea di sopravvalutare me e sottovalutare la montagna... Ci riproveremo tra un mese. Nell'eseguire la discesa abbiamo dato attenzione al percorso 6D che dal Passo di Vallefredda passa sopra la dolina di Mezza Spada, rintercettando così la carrareccia dell'andata... che disastro la segnaletica di quel sentiero..! E' tutta da rifare. Tuttavia siamo riusciti ad intuire il percorso stabilendo anche i punti di congiunzione: abbiamo fatto pure una mezza specie di ometto (anche detto gendarme) lungo la carrareccia per individuare il punto in cui salire. Tutto il resto del ritorno è lo stesso dell'andata. Dieci ore scarse.