lunedì 28 marzo 2016

Saepinum e Sepinis sui monti del Matese

Le strade di Saepinum avevano l’odore dolce dei fiori di biancospino, le percorrevamo all’ingresso della primavera, con itoni più brillanti del verde dei prati. Salivamo le antiche vie sannite che in passato avevano popolato le montagne del Matese,percorsi dimenticati tra rovi e prugnoli, difesi dalle spine di una natura incontaminata. Lungo la via, i resti dell’area archeologicadi San Pietro e del Conventino avvaloravano l’importanza di quell’antico territorio, ma era sulla cima del colle che trovavamol’insediamento più importante: lì vi erano i ruderi di Terravecchia, l’antica Sepinis sannita, protetta dal bosco einaccessibile da strade. La natura si riprendeva quello che l’uomo le aveva tolto nei millenni passati, le pietre lavorate lasciavanoleggere a malapena i loro profili, e tutto tornava nella bellezza incontaminata. Compivamo il nostro giro in biciintercettando nella parte finale l’antico tratturo: usciti da Porta Terravecchia rientravamo per Porta Benevento, che come unvarco temporale ci dava l’emozione di calcare un’importante via compiuta dai nostri antenati. 

sabato 26 marzo 2016

Fuori Porta la Montagna: il monastero di San Severo tra le montagne di Arischia e Pettino

Fuori Porta la Montagna il bosco ci accoglieva indicando marcatamente i suoi sentieri che dal basso della città si levavano sui rilievi di appartenenza. I ruderi della Rocchetta si esponevanotra i pini ormai così grandi da chiudere le antiche traiettorie visive, che un tempo traguardavano le altre torri di avvistamento di Coppito, di San Vittorino, di Preturo e San Marco, di Casaline edei Colli di Barete. Gli storici datavano la Rocchetta al XII secolo, ormai rimanevano soltanto pochi sassi e la percezione di una forma circolare. Percorrevamo il filo di cresta di Monte Pettinofino a Croce Cozza, dove il panorama si apriva verso tutte le direzioni, per poi scendere nella Valle Cascio, tra il labile equilibrio di boschi secchi persi nel tempo e nei muschi. Suun piccolo colle giacevano i ruderi di San Severo che nonostante deturpati dal peso degli anni rendevano ancora la loro importanza. Gli affreschi del XIII secolo (secondo gli storici digrande bellezza) erano stati rubati, ne rimanevano pochi stralci a rendere la vibrazione dei loro antichi colori, protetti da una volta a vela in procinto di crollo, realizzata con mattoni a coltello avista. Affianco la chiesa altri ruderi identificavano una probabile Foresteria, tutto si perdeva nell’incuria e nell’incompetenza di chi questi beni avrebbe dovuto tutelarli.
Di seguito una citazione tratta da Fuori Porta La Montagna Note Illustrative a cura di Carlo Tobia, p. 31.
Per una descrizione dell’interno della chiesa come si presentavaagli inizi degli anni 60 vedi p. G. Marinangeli, Severo pitinate dispensator nel 475 della chiesa di Aufinum, Roma, 1963, pp. 40-43. Riportiamone un brano: […] iniziando dall’angolo in cornuepistolae: S. Lucia, Madonna con Bambino. Irriconoscibile la figura successiva. Indi un Santo Vescovo e Dottore: forse Sant’Agostino od anche S. Martino. Sotto questi affreschi, cheprobabilmente risalgono alla prima metà del sec. XIII, quando il monastero fu donato ai Canonici Lateranensi, si nota la parte affrescata con motivi semplici in tempi ancor più vetusti. Il murodi sinistra è stato rinforzato con una parete aggiuntiva. Su questo lato è quasi interamente perito il ciclo pittorico. […] nella parete della chiesa e in muri divisori della «foresteria», sonoincorporati frammenti lapidari che fanno sospettare che il luogo fosse abitato nel periodo romano e il ductus delle iscrizioni funerarie si presenta molto elegante.

domenica 20 marzo 2016

Tramonto sui Piani di Pezza, dallo Iaccio dei Cani al M. Delle Canelle e M. di Selva Canuta

I Piani di Pezza si circondavano della bellezza di montagne innevate, finalmente trovavamo l’inverno sul ciglio dellaprimavera. Il filo di cresta di Monte Le Canelle ci offriva panorami sul Sirente e la Piana delle Rocche, ammiravamo la Majella e partedel Fucino, con la geometria dei suoi campi coltivati, sempre più sfocati con la venuta della sera. Il sole tramontava dietro ilmassiccio del Velino, lasciando sorgere la luna alle nostre spalle, che nonostante indebolita dalla foschia dei venti caldi donava allaneve il riverbero del suo chiarore. La notte giungeva lasciando assopire i rumori su quella coltre bluastra, attraversavamo lapiana immersi nel silenzio, nella quiete, e negli ultimi attimi d’inverno.

giovedì 17 marzo 2016

Il Castello di Arischia sul Fosso del Ferone e la leggendaria Valle Saracena

Il Castello di Arischia sorgeva su uno dei modesti colli tra il Monte San Franco e Monte Stabiata. Seguivamo la via naturale delFosso del Ferone, che scendendo verso Sud Est andava a trovare sfogo nell’incanalamento della selvaggia Terra Ardenza. I vecchiabitanti di Arischia ricordavano questa località coi toponimi di Castellaccio o Castello di Ariscola, conoscenze diffuse dagenerazioni, ormai quasi del tutto perse. Sul piccolo colle erano ben visibili i perimetri delle antiche mura, messe in risalto dallapulizia di una campagna di scavi compiuta nel 2003, tuttavia non approfondita, ed erano la parte sommitale di uno strategico puntodi avvistamento. Le pietre legate con malte di calce, le mura a secco e i terrapieni stimavano un probabile periodo normanno,tutto intorno frammenti di cocci si disperdevano come banali sassi, confusi ancora di più da una leggera nebbia che ne attutivamaggiormente i colori. Arischia, fondata dai Saraceni nel X secolo, celava tra questi modesti rilievi la sua leggendaria ValleSaracena, dove secondo la tradizione vi sarebbero stati seppelliti quegli arabi che non vollero convertirsi al cristianesimo.
Per approfondimenti sulla campagna di scavi eseguita nel 2003 un articolo di Alfonso Forgione (Università degli Studi dell’Aquila) nel seguente link.

domenica 6 marzo 2016

Grotta Nuova del Rio Garrafo

La Grotta Nuova del Rio Garrafo si apriva nella suggestione dell’orrido che l’accoglieva, entravamo dall’ingresso alto,calandoci con la corda lungo la parete rocciosa fino al suo varco d’accesso, aperto proprio come una fenditura della montagna. Ilvuoto si materializzava alla luce degli strapiombi, che nelle lunghe soste impauriva la ragione, mentre l’acqua scorreva sulfondo della forra lasciando all’anima la diffidenza di posizioni innaturali. Mano a mano che scendevamo, dal fondo saliva ilcaldo della grotta, generato dai laghetti sulfurei terminali, che rendeva più accogliente la nostra progressione. Alcuni liraggiungevano per un bagno termale, mentre altri uscivamo col piacere della luce che palesava ogni morfologia della montagna.

sabato 5 marzo 2016

Anello dei Laghi di Rascino e Cornino, Monte Torrecane e il Castello di Piscignola

I laghi di Rascino e Cornino si aprivano alla vista trattenendo negli avvallamenti i residui di neve, la bellezza della loroconformazione immersa nella quiete di quelle montagne non si lasciava turbare dal maltempo e dal freddo. Nei pressi della Pianadi Cornino i cavalli stazionavano in un pascolo lento, dalla neve facevano capolino i primi crochi, che si imponevano timidamentecon la dolcezza dei loro colori. Indagavamo l’imbocco di alcuni inghiottitoi, ma tutto chiudeva su quell’interessante pianocarsico. La cima di Monte Torrecane accoglieva i resti di un’antica torre medievale di avvistamento, da lassù la comunicazionevisiva era certa con i castelli di Rascino e quello di Piscignola. Scendevamo in direzione di quest’ultimo seguendo la via diun’antica mulattiera. Sotto di noi una distesa di prati rasi, puliti dalla neve, accoglieva il verde letto del Fiume Corno e il pascolodei cavalli.