domenica 27 febbraio 2011

La Valle di Canala e la Valle della Corte, da Pescasseroli verso il Monte Marsicano

La roccia raccoglie tutto. Il lungo percorso che saliva nel bosco si vestiva di un naturale mistero, pareva di essere osservati da quelle piante, pareva di essere seguiti passo dopo passo pervedere quale fosse la nostra direzione. Quegli anfratti, quelle cavità, raccontavano storie antiche di secoli, forse millenni, trapassando sogni e antiche nostalgie. Il bosco ci guardava, comenessuno mai avesse fatto prima, perché non solo ci osservava, ma conosceva già la nostra storia. Quella faggeta sopra Pescasseroli era una delle più belle che avessi mai visto. Solo un’altra voltal’avevo percorsa, in autunno, ma me ne ricordavo solo ora. Sembrava assurdo ma riconoscevo la stessa sensazione che provavo allora guardando quegli alberi, quelle rocce, queitracciati: quel bosco ci osservava ed io l’avevo riconosciuto solo perché provavo adesso la stessa cosa che provavo allora! Il silenzio si calava sulla neve, e quando mi fermavo ad ascoltarlo,non sapevo se sentirmi intimorita o appagata: tutta quella energia era solo per me, con il suo potenziale immenso, mi accoglieva con fare materno, consapevole forse che addirittura avessi capito.Erano gli alberi che raccoglievano dal cielo tutta quella energia, erano loro il punto di contatto, il tramite che grazie al fitto dei loro rami lo facevano congiungere con la terra. Quella danzacosmica era un antico atto d’amore, e il bosco come una cattedrale, conteneva tutto. La Valle della Corte saliva incanalandosi tra gli alberi e la neve, mano mano che andavamosu elevava le sue pareti laterali, mentre il suo fosso si scombinava di salti, buchi e discontinui saliscendi, divertentissimi al ritorno (anche se impegnativi). Non era la meta l’obiettivo da perseguire,ma il percorso e tutto quello che lo componeva, perché solo vivendolo con amore si poteva arrivare ovunque.

domenica 20 febbraio 2011

Monte La Serra dalla Forca di Castiglione

Ci sono le montagne minori, quelle che spesso non vengono apprezzate perché dimostrano elevazioni meno importanti. Quelle che solitamente nessuno conosce, e che proprio per questonon sono frequentate. Cercano tutti di andare più in alto, di dimostrare quanto sia maggiore il proprio punto di contrasto col cielo, di avere importanza, di possedere considerazione, ma unamontagna è sempre una montagna, ed un uomo a confronto è sempre troppo piccolo. Sopra qualsiasi piano, sopra qualsiasi livello, sopra ogni cosa, è necessario possedere una struttura.Non esistono montagne impossibili da scalare, ma solo uomini che non sono in grado di farlo. È sbagliato non dare importanza a tutti i punti di passaggio diversi e sequenziali che compongono ilnostro percorso, perché noi siamo il percorso. La nostra vita è una lunga strada che si compone di salite e di discese, con aree di sosta e punti di sorpasso. Dobbiamo gioire di tutto percomprendere il meglio, solo osservando ogni sfumatura saremo in grado di riconoscere i colori, di sentirli vibrare lungo tutta la lunghezza d’onda del loro spettro visivo. Amo tutto quello che èselvaggio e non contaminato dall’uomo, i posti dove non va nessuno, dove finalmente posso contemplare il silenzio, sentire la terra, sentire il cielo, trovare Dio e contemporaneamente mestessa. Questo non accade sulla cima di Corno Grande, sempre troppo frequentata, ma sulle montagne piccole e oggettivamente anonime. I luoghi dei punti di contatto sono quelli dove l’animas’incanala verticalmente lungo la linea di testa delle montagne senza disturbi e alterazioni, dove finalmente con il proprio corpo si può fare da tramite tra la terra e il cielo. Nel silenzio del vento sicompone una melodia antichissima, chi riesce a regredire per riuscire ad ascoltarla è un portatore di sogni.

sabato 12 febbraio 2011

Scialpinismo sul Costone della Cerasa dal Vado di Pezza per Costa Cerasole

I profondi avvallamenti del versante Nord-Est del Velino scolpivano enormi concavità, tutte volte a testimoniare l’autentica presenza dei giganteschi circhi glaciali, alcuniriconosciuti addirittura come i più ampi dell’intero Appennino. Le valli sospese compivano poi il resto del disegno, tracciando di rimando un armonioso saliscendi sui successivi contrafforti.Quell’immenso crinale montuoso appariva come un baluardo insormontabile, uno spartiacque naturale tra la Piana del Fucino e quella delle Rocche. Dal basso dei Piani di Pezza quello che siosservava era percepibile solo con il progressivo spostamento dell’orizzonte: i punti di fuga salivano così come saliva la montagna. Era davvero bello scoprirla in questo modo, passodopo passo, sembrava la confidenza di una nuova amicizia. La neve incantava ogni più remoto angolo, era immacolata di un candore rinnovato in grado di attutire la cupa percezione delcielo, così ritmato di nuvole e malumori terrestri. Non poteva esserci altro luogo per noi oggi, destinati ad essere altrove abbiamo trovato solo all’ultimo questa direzione. La cresta delCostone della Cerasa si orlava di cornicioni di neve, che, modellati dal vento, estendevano la montagna verso il cielo. La percezione era bellissima a trecentosessanta gradi, ovunquegirava compiva effettive indagini sul perché della bellezza. Di tanto in tanto anche il sole ci dava una indicazione: con la sua fuga tra le nuvole evidenziava ulteriori spazi da guardare. I paesaggiinvernali sono davvero belli. Dalla valle sospesa della Genzana salivano nuvole fluide e vaporosissime, compivano giochi di trasparenze inquietanti, ovattando tutto in un’unica percezione,per questo siamo andati via, non indugiando oltre. La neve crostosa modellata dal sole e dal vento si apriva con tantissimi tagli, da vedere era bellissima, ma molto meno da sciare. Per nonparlare poi della discesa nel bosco, dove tantissimissime piante componevano barriere anti-sfondamento. Quanto è impegnativo sciare in mezzo al bosco, anche se dieci piante riesci a schivarle c'è sempre l’undicesima che ti frega.

giovedì 10 febbraio 2011

I Piani di Fugno e l'anticima di Monte Carpesco

La prepotente alta pressione di questi giorni aveva anticipato il flusso delle stagioni di un paio di mesi, non sembrava proprio di essere a febbraio, perché quello che appariva imitava di molto le ordinarie giornate di aprile. La neve si era sciolta in tantissimiposti, e l’erba pareva di nuovo rinverdirsi così richiamata dal sole, tutto pareva intorpidirsi come l’anticamera di un risveglio. Una segnalazione focalizzava la neve nei Piani di Fugno, non potevamo perdere questa occasione per andare a fare sciescursionismo. Non so per quale antica e romantica consapevolezza apprezziamo sempre di più tutte le cose nel loro percorso finale. La Piana di Fugno si celebrava come un’ultima resistenza alla primavera, sulla sua area tratteneva pochicentimetri di neve ghiacciata. Il piccolo Lago di Filetto era strutturato in un insolito congelamento che vedeva disegnati sulla sua superficie i profili di grossi cerchi, scanditi ognuno da diverse tonalità d’azzurro. Di lato a noi, mentre proseguivamoverso Fugnetto, la mole boscosa di Monte Ruzza ci faceva da intermediario col cielo, così terso, così limpido, così caldo. Il sole ci investiva con tutta la sua energia, infondendo un piacere diffuso in tutto il corpo. Quella era l’aria della Primavera. Troppoinconfondibile e troppo fuori contesto. Impotenti di fronte a tutto questo non potevamo far altro che godercela. Tra le tante cose interessanti da vedere lì intorno, la mia intenzione si direzionava come al solito verso Monte Carpesco. Non è un’elevazioneimportante, in pochi conoscono quella montagna, eppure io ne sono sempre rimasta molto affascinata a causa della sua forma e composizione. Ricordo la prima volta che vidi quella montagna, circa l’anno scorso, quando tutto intorno era innevato e candido,Monte Carpesco spiccava sopra tutti i punti di vista con la sua colorazione nera dovuta alla vegetazione che lo rivestiva. Anche la sua forma era molto particolare, sembrava la schiena di un dinosauro, una dorsale perfetta in grado di disegnare un profiloarmoniosissimo. Siamo salite fino alla sua anticima, ma avevamo addosso l’attrezzatura da sci da fondo e anche per questo chi era con me aveva deciso di rimandare. Ma il bello delle montagne è che sono sempre lì, in attesa, verrà di certo il momento giusto perguardarla, per scrutarla, per indagarla. Dall’anticima di Monte Carpesco si godeva un panorama stupefacente, pacato, rilassante. A colpirmi molto è stata la vista sul costone di Monte Ruzza, la poca neve rimasta si depositava nelle cavità della terra, livellandoperfettamente la superficie: questa particolarità permetteva la visibilità di tanti fori disposti perfettamente nel terreno, ognuno equidistante dall’altro, tanto che apparivano come una texture puntinata di un fumetto giapponese. Da come mi hanno detto,in quella zona sparavano granate e cannoni, in alcuni punti ci sono addirittura accantonati i resti di bossoli e granate, però mi hanno anche riferito che solitamente tutte queste esercitazioni si svolgevano nel versante a Sud. Questi fori erano troppogeometricamente organizzati per essere il frutto di un’esplosione, forse (anzi, quasi sicuramente) riguardavano il famoso rimboschimento che tanto identifica quella montagna, lasciato incompiuto per qualche motivo. Sarà di certo così.

domenica 6 febbraio 2011

Monte Cardito e i colori del tramonto

Fin da bambina sono sempre stata accompagnata da un pensiero che riguardava i colori: mi sono sempre posta la domanda se quei toni fossero effettivamente così oppure il frutto della percezionedell’occhio umano. È risaputo che gli animali vedono colori diversi rispetto ai nostri, quindi non sarebbe così tanto assurdo pensare che anche tra le persone possano innescarsi percezionidisuguali. Il mio rosso potrebbe essere il blu di qualcun altro, innescando predilezioni differenti e differenti stati d’animo. Anche se esistono macchine fotografiche e telecamere cheriprendono in maniera oggettiva, tuttavia sono sempre arnesi tarati dall’uomo, quindi non sono in grado di fornire realtà con risposte assolute. Per questo insisto sempre nel dire che la realtànon esiste, ma che è solo il frutto della nostra percezione. I colori sono fondamentalmente delle vibrazioni, con precise lunghezze d’onda, potremmo addirittura vivere l’incubo di vedere (con ilnostro occhio umano) un mondo assolutamente monocromatico, concessore solo di onde elettromagnetiche. Con questa premessa i colori potrebbero addirittura diventare un suono. È unasinestesia molto romantica che mi piace tanto pensare. In fondo, così come è limitato il nostro spettro visibile lo è anche altrettanto quello sonoro: non siamo in grado di percepire né gliinfrasuoni né gli ultrasuoni, vibrazioni al di fuori del campo uditivo, sotto la soglia dell’udito e sopra la soglia del dolore. Quindi potrebbe anche essere possibile che le onde sinusoidali deicolori siano percepibili in quei precisi campi, certamente non dall’orecchio umano, ma da altri apparati uditivi. Siamo dotati di un filtro perfetto (i nostri organi sensoriali) per percepire tuttequeste vibrazioni, per ammirare tutta l’assoluta e relativa bellezza dei colori. Come è possibile che la quotidianità li dia così facilmente per scontati? Ogni sera, sulle montagne, accadono imiracoli. La Natura si lascia scivolare addosso tanta di quella di energia da vestirsi d’incanto. Tutto si infuoca e poi si distende, animandosi di un’antica passione, vecchia quanto il genereumano in grado di percepirla. Da Monte Cardito, sopra Campotosto, ammiravamo tante di quelle montagne da perderne il conto. Corno Grande e Corno Piccolo percepiti da lìsembravano un corpo unico, seguiti da Intermesoli e Monte Corvo, che con quella luce si addolcivano in ogni loro angolo. Pizzo Camarda mostrava il suo lato più aspro, ma tutta quelladurezza era poi destinata a perdersi sulle linee morbide di Monte Ienca e Monte San Franco. Alle nostre spalle i Sibillini mostravano le loro elevazioni più alte con Monte Vettore e laCima del Redentore, mentre il sole correva su tutte le soglie liminari, infuocando i profili di toni caldissimi, al limite tra la realtà e l’allucinazione. La catena della Laga si imponeva su di noicon la sua mole possente, percepita così vicino, pareva un’enorme muraglia su cui si proiettava un empireo caleidoscopico. In progressione dopo il tramonto il cielo sitingeva in un rosa allucinante, quasi sintetico, troppo assurdo da trovare in Natura, eppure era proprio così, nella sua veste più concreta possibile. L’amaranto bruciava le ombrose tonalità deiboschi, che accollati alla base delle montagne parevano porgli sostegno nel loro slancio verticale. Nel mezzo di tutto questo giaceva silenziosissimo il Lago di Campotosto. Con la suasuperficie piana, in parti ghiacciata e in parti fluida, rivelava le rifrangenze di ogni delicatissimo taglio cromatico: faceva da testimone al cielo, così incredibile di bellezza, sottolineandoanch’esso la veritiera manifestazione di quei colori. Il sole era tramontato proprio sulla cima del Terminillo, tutta quella linea di fuoco percorreva lunghissime distanze andandosi a perderechissà dove. Come eravamo fortunati ad essere lì, in quel preciso momento, ad assistere a tale rivelazione. Mano mano che le tonalità calde si stemperavano, da dietro le montagne salivano itoni del grigio, ambasciatori della notte. Quello spicchio di luna trovava finalmente compagnia con Venere, venuta a trovarla come d’abitudine, adesso come nel Principio. Quanto siamopiccoli di fronte a tutto questo. All’ombra del mondo vivevamo la nostra notte, mentre sotto di noi i piccolissimi lumi artificiali identificavano la posizione dei paesi. Tornavamo così, al buiodi quella tiepida luna, senza nemmeno l’esigenza di accendere una lampada frontale. Vivendolo fin dall’inizio, il buio ci permetteva di vedere. O meglio, di guardare. Sentivamo quella notte,facevamo parte di quella terra, ne eravamo ombra ed estensione. In fondo, eravamo la stessa materia di quel tramonto.