sabato 27 novembre 2010

I Piani di Pezza e la prima sciata di fondo


Le vallate innevate hanno la stessa capacità dei grimaldelli, sono in grado di aprire la mente verso una presa più diretta delle emozioni. Quello che si sente è senza dubbio amplificato e più è grande e isolata la valle e più questo sentimento è forte. Con laneve i riferimenti si annullano in una monocromia silenziosa, tutto scompare, ed ogni intrusione è esaltata perché sopra quel piccolo deserto bianco ci si ritrova a contrasto. Dipende dallo statod’animo trovare il punto di vista perfetto: quella energia o si assorbe sentendosi parte di quella terra, o si contrasta in consapevolezza della nostra inezia in relazione. Ma in ogni modo siè costretti a viverla. Anche se oggi non si toccavano questi gradi ideali di elevazione, i Piani di Pezza, tuttavia, erano molto suggestivi. La neve di certo appiattiva le distanze, ma peraltro,intorno intorno, la boscaglia delimitava confini confortanti. Questa mattina sulla piana non c’era nessuno: la neve era completamente immacolata e si snodava intatta per chilometridavanti ai nostri occhi. Dopo tanto tempo finalmente potevamo riprendere gli sci da fondo. Eravamo in due, io ed una mia amica, aveva scelto lei di venire qui. La neve fresca poneva resistenza ainostri movimenti, ma il piacere di proseguire tollerava la fatica, così sfangavamo a turno in direzione di Capo Pezza. I piccoli laghetti di ghiaccio accoglievano tutto intorno cavalli e stalloni,alcuni si muovevano con molta energia, alzando la neve come la polvere. Incuriositi dalla nostra presenza si avvicinavano e ci guardavano, avevano fame, ci scrutavano sbruffando, cercando dicapire se avessimo del cibo per loro; ma una volta indispettiti trottavano via, dando scena alla meccanica più bella del movimento. I loro profili neri erano bellissimi, si muovevanofluidi, articolandosi morbidamente fino all’estremità delle criniere. Solo a guardarli i sentimenti si rinnovavano alla forza e alla passione per la libertà.

giovedì 25 novembre 2010

Lago di Rascino e Lago di Cornino da Sella di Corno a Rocca di Corno

La prima neve che cade è come un canto d’amore. La sua dolcezza ha lo stesso peso di un’anima innamorata. Libra. Vibra. Si espande come un’esplosione lirica che invade e pervade come quanto dipiù sublime possa esistere. Da tanto tempo attendevo questo momento. Silenziosa e impalpabile, veniva giù come una risposta, evocando tanti ricordi e nostalgie. Ultimamente già ero stata sullaneve, ma non mi ero accostata alla sua anima, semmai l’avevo vissuta a contrasto, tra nebbia e tormenta. Ma adesso era diverso. Adesso la vedevo scendere piano, vacillando timidamente,insicura della propria direzione. L’Altopiano di Rascino si apriva timidamente ai nostri occhi, mostrando tra la nebbia i bracci tentacolari del suo lago. Il sonno della ragione genera mostri,così diceva Francisco Goya, così mi appariva adesso questo lago. Evocava Lovercraft e Cthulhu, ma non nella sua veste terribile, bensì sublimata in una dimensione sensibile. Era suggestiva,antica e incomprensibile; era come un archetipo dell’anima. La neve aveva ricoperto ogni cosa intorno a noi. Eravamo nel bianco, nel silenzio, nella quiete. Il Laghetto di Cornino univa sul suospecchio il cielo con la terra, mentre, da dietro, Monte Nuria osservava in silenzio ogni cosa.

domenica 21 novembre 2010

Punta Trento dai Piani di Pezza

Erano mesi che desideravo salire su Punta Trento e Punta Trieste. Non c’ero mai riuscita fino ad ora, a volte per un motivo e a volte per un altro, ma oggi finalmente se ne prospettava l’occasione, grazie alla disponibilità di un amico che ci avrebbe accompagnato.La giornata non era delle migliori, e le cime di quelle montagne erano abbondantemente innevate, così decidiamo di salire e semmai di rigirarci in caso di condizioni avverse. Il mattino vestiva d’indaco i Piani di Pezza, erano bellissimi con quella luceradente che ne immortalava la delicatezza. I cespugli di ginepro merlettavano lateralmente la costa delle montagne, mentre, sulla piana, i molteplici inghiottitoi sbalzavano i campi in continui saliscendi. La neve appariva timidamente mano mano chesalivamo. Quanto ero felice di sentirla, di vederla, di pestarla, nonostante tutto intorno a noi si animasse diversamente. Il cielo si muoveva in maniera agitata e sulla vetta vedevamo diversi mulinelli che arricciavano la polvere nevosa in piccoli tornado.C’era molta energia nell’aria, frutto dello scontro di pressioni. Tutto quel bianco richiamava in assoluto l’idea più pura di libertà. Forse era quella energia a farmici pensare, quelle vertigini, non lo so, mi turbava e mi placava, ma ad ogni modo a guardarla eramolto bella. La neve ormai dominava su tutto. Il suo manto bianchissimo e illibato ricopriva ogni cosa, era un piacere affondarla con i ramponi, così consistente e dall’apparenza stabile. Una volta in cresta il vento non ha cessato un attimo di darcitormento, era così forte da scendere diversi gradi sotto zero, e in più c’era lei, la nebbia, che non dava la minima percezione di profondità. Bianco su bianco era nella sua peggiore veste possibile. L’intenzione generale era quella di proseguire, ma chesenso avrebbe avuto proseguire? Il GPS segnava una distanza lineare di 23 metri dalla cima di Punta Trento (2243 m), ma che senso aveva andare a vedere quel mucchio di sassi in quella circostanza? Per me nessuno. E per fortuna anche gli altri dopo unpo’ hanno pensato la stessa cosa. L’importante nella vita è scegliere. Questa è la vera libertà. Questo era il significato di quella neve. Scegliere di andare e di tornare. Scegliere di rinunciare.

giovedì 18 novembre 2010

Convento di Sant'Angelo d'Ocre e Santo Spirito da Monticchio e la Fossa Raganesca

Il cielo di oggi lasciava decadere ogni intenzione, così nuvoloso e fitto, mozzava la cima delle montagne, concedendoci accesso solo nelle altitudini più basse. Ma la cosa non aveva molta importanza, in fondo quello che contava non era dove andare, ma andare e basta. Eravamo nei pressi di Monticchio, così propongo di andare a visitare le due enormi doline che si trovano lì vicino, la Fossa diMonticchio e la Fossa Raganesca, magari allungando il passo anche per il Convento di Sant’Angelo d’Ocre e per quello di Santo Spirito, luoghi di beatitudine e di enorme bellezza. Il percorso costeggiava la montagna, attraversando campi di mandorle e cespugli erbosi, segnato dal passo dei fedeli che dal paese di Monticchio raggiungevano in pellegrinaggio il Convento diSant’Angelo d’Ocre. Al convento di Sant’Angelo d’Ocre è legata buona parte della storia della vita religiosa d’Ocre. Edificato nel 1481 dai francescani, al posto di un preesistente piccolo monastero benedettino femminile, che la tradizione vuole fondato nel 1236-42 da Sibilia moglie di Bernardo d’Ocre, sorge su un’imponente sperone di roccia alto circa 35 metri. Nel 1593, ilconvento passò ai Minori Riformati, poi nel 1866, a seguito della soppressione delle comunità religiose, al comune d’Ocre e nuovamente ai frati nel 1887. Non ha subito modifiche tali da alterarne l’originaria struttura architettonica del 1481. Si compone di un chiostro quadrato e porticato ai lati del quale si affiancano i vari ambienti conventuali, come la chiesa e ilrefettorio. Nelle lunette del chiostro, affrescate nel 1661, sono raffigurate scene della vita di S. Antonio da Padova e gli stemmi delle famiglie ocresi committenti delle pitture. Tra le arcate sono dipinti i volti di santi e beati dell’Ordine francescano maschile e femminile. L’interno della chiesa, che ha subito vari interventi nel corso dei secoli, specialmente nel 1791, presenta quadri ed altaridel XVII e XVIII secolo frutto della committenza ocrese. Il piccolo coro e la porta d’ingresso sono quelli costruiti dai frati al momento dell’edificazione del convento. Semplice, ma elegante, è il refettorio del 1748 sovrastato dall’Ultima Cena del secondo decennio del XVI secolo. (tratto da “Un itinerario culturale nella Media Valle dell’Aterno” di Umberto Degano). Proseguiamo oltre,continuando a costeggiare il Cammino di San Cesidio da Fossa. Nel primo pomeriggio ci siamo ritrovate lì, immerse in quel silenzio. Il cielo provava a trattenere a stento i suoi grigiori, rischiarando l’aria di freddo e di desolazione. Noi eravamo lì, immerse in una dimensione surreale, fatta di nostalgia di anni andati, ricordi di spensieratezza e gioventù. Pareva di ascoltare delle voci,come se vicino a noi ci fosse qualcuno, ma ci sbagliavamo, l’unica cosa che eravamo in grado di udire era lo stillare di una goccia che rimbombava in quella grande cassa di risonanza, vuota come erano vuote quelle case. Non un passo, ma silenzio, silenzio, silenzio, che a volte cresceva e prendeva corpo in una sorda preghiera verso Dio. Quell’enorme circo glaciale soprale nostre teste ci guardava impassibile, sentivamo di essere sotto un grande equilibrio precario, e per questo non stavamo tranquille; in punta di piedi siamo andate oltre, proprio come fanno i gatti. Siamo rimaste sulla soglia, ad osservare ad occhi chiusi tutto quello che era. Ancora ne tengo memoria di quando andavo lì, nelle sere d’estate, a dipingere con i miei amici tra ivicoli di quel meraviglioso paese, rischiarato dalle risate e dalla luce dei lampioni. Troppi ricordi per una volta sola. Troppa nostalgia di tutto quello che non c’è più. Ma dove finiscono i ricordi? Possibile che si dispongano solo nella testa e nel cuore e che non ci sia in realtà una dodicesima dimensione? Non so se sarebbe meglio o peggio pensare a questo, tuttavia adesso mifarebbe stare bene. Le piante di mandorlo trattenevano sui rami i loro frutti non colti, si mettevano a contrasto con il cielo, alzando così la voce del loro tormento. Un frutto non colto è quanto di più triste possa esserci. Ogni cosa pareva inutile, i pensieri tornavano tutti verso di Lei, che lentamente fagocitava tutto, inglobando nella vegetazione tutto quello che era stato. Madre Natura è la piùsevera di tutte, come si concede così si riprende tutto. Andiamo oltre, riprendendo il nostro percorso. Il monastero di Santo Spirito d’Ocre costituisce il primo insediamento cistercense nella valle aquilana. Fondato nel 1222 da Placido da Roio, su un terreno donatogli dal Conte Berardo d’Ocre, feudatario di Ocre, entrò ufficialmente nell’Ordine cistercense alla morte delfondatore, nel 1248 e dipese da quello di Santa Maria di Casanova, vicino Penne. Passato in commenda nel 1330 (tra i suoi commendatari ci furono i cardinali Maffeo e Francesco Barberini), nel 1652 fu incluso nell’elenco dei piccoli monasteri soppressi dal Papa Innocenzo X. Il monastero occupa un’area pressoché rettangolare (circa 48 m per 64 m) e si compone di uncortile quadrangolare, in origine chiostro, lungo i cui lati, secondo le norme dispositive cistercensi, sono situati la chiesa, il refettorio, il dormitorio e la Sala capitolare. Le mura perimetrali alte e spesse lo isolano nettamente dal territorio circostante. La facciata principale ha solo cinque aperture: l’ingresso carraio con arco ogivale alla maniera borgognana, l’ingresso pedonale etre eleganti bifore, una delle quali dotata di spia piombatoio. Nell’aula chiesastica, con una volta ogivale non terminata, sono presenti affreschi databili al 1280 e, nel presbiterio, resti di pitture della fine del XVI secolo attribuite a Paolo Mausonio. Nella attigua cappella-sagrestia, con ingresso ad arco ogivale, vi sono affreschi tardo trecenteschi raffiguranti scene della vita diBeato Placido e i resti di un affresco databile al 1263-69. (tratto da “Un itinerario culturale nella Media Valle dell’Aterno” di Umberto Degano). Attualmente il Monastero di Santo Spirito d’Ocre è adibito ad albergo, è curato e gestito davvero bene (metto il link del suo sito web per maggiori informazioni). Il cielo sopra di noi era sempre più cupo, scuriva le sue tonalità di grigiofino a portarsi alla rottura dei suoi ultimi equilibri liminari. La pioggia scendeva su di noi in maniera discontinua, era la perfetta conclusione di quello scenario tanto malinconico quanto bellissimo. La Fossa di Monticchio e la Fossa Raganesca scavavano con le loro linee delle enormi voragini carsiche, mentre tutto intorno a noi si colorava del tipico blu delle fredde sere autunnali.

domenica 14 novembre 2010

Rifugio di Coppo dell'Orso (TROVATO!!!) dal Vallone di Ciafassa per la cresta dei Tre Confini

Dopo l’avventura di domenica scorsa, uno dei pensieri che più volte mi è tornato in mente durante la settimana era rivolto al rifugio di Coppo dell’Orso: volevo assolutamente tornarci, per vedere e capire quale fosse stato il punto in cui avevamo sbagliatopercorso. Grazie alla disponibilità dei ragazzi del posto ho avuto questa possibilità: sono stati di una gentilezza unica! Nel primissimo mattino la Piana del Fucino svaporava tanta di quella nebbia che un pochino mi lasciava perplessa, ma tuttavia hoallontanato subito questo pensiero poiché tutti i bollettini meteo stimavano una giornata splendida. Previsione colta in pieno! Sotto la guida di Michele Morisi, il presidente di Coppo dell’Orso (da cui non mi sono staccata un attimo) abbiamo percorso di nuovo iltragitto di domenica scorsa, risalendo il Vallone di Ciafassa. Una volta svalicato il filo di cresta, quello che si apriva di fronte ai nostri occhi era un qualcosa di assolutamente meraviglioso: il cielo sopra di noi era così splendido che si faceva perdonare ditutto. I morbidi pendii erbosi scendevano dolcemente a valle, ritmando profondità uniche e cariche di verde intenso. Sembrava di essere in primavera, sembra assurdo, ma è proprio così. Di tanto in tanto scorgevamo anche delle margherite, apparivanolungo il nostro percorso come dei piccoli miracoli. I fiori sono sempre dei miracoli. Poco distante da noi c’era il Pozzo della Neve, così decidiamo di allungare il giro passando di lì, con la prospettiva di continuare poi il sentiero per i Campi di Grano.Amo in modo particolare tutto quello che contiene la neve, per me le neviere e i ghiacciai sono delle cattedrali di sacralità. Quel pozzo si apriva sotto i nostri occhi come uno squarcio di terra, così profondo e buio, dai bordi così scoscesi da sembrareinaccessibile. Le nostre ombre correvano lungo quei bordi, tanto da diventarne parte, si attraversavano e proiettavano su quelle rocce aspre, ne fluidificavano la percezione tanto da renderle morbide. Il fondo del pozzo non era visibile, ma forse era megliocosì: a volte il non vedere la bellezza di una cosa la rende ancora più bella, perché inevitabilmente la idealizza. In questo modo quel luogo diveniva ancora più sacro. Ripreso il sentiero abbiamo attraversato tutto Campo di Grano, facendo tappa ogni volta alleCapanne del Pastore. Pare che l’orso marsicano ami in modo particolare questo luogo, causando non pochi problemi a chi vi tieni gli armenti. Ripreso il filo di cresta in direzione dei Tre Confini ogni cosa adesso diventava più chiara: finalmenteriuscivamo a fare mente locale su dove avevamo sbagliato sentiero domenica scorsa sotto la nebbia. Impressionante. Alla luce del tutto sono certa che se avessimo continuato a tentare non avremmo mai e poi mai trovato la strada per il rifugio. Ma adessoeravamo qui, con la testa leggera e una giornata splendida che ci placava l’anima, condizione perfetta dell’essere al posto giusto al momento giusto. Forse è stato quasi un bene che domenica scorsa ci siamo persi, in fondo è stato proprio grazie a questo che oggieravamo qui, a godere di tanta bellezza. Tutte le cose hanno un lato positivo, bisogna solo saperlo cogliere. Al rifugio di Coppo dell’Orso ci aspettava la nostra guida di domenica scorsa, giustamente declassato a ruolo di cuoco, ma in fondo non è darinnegare del tutto la sua amicizia: devo ammettere che ha cucinato bene, almeno quello. (Scrivo ovviamente con simpatia!!!). Ma non solo, lì si festeggiava anche il compleanno di Erica (tanti auguri!!) e così ci siamo felicemente messi tuttiinsieme a mangiare, a bere, a ridere e a brindare: a Erica, alla nebbia e agli Sherpa di tutto il mondo. Scendere per il percorso della Ricarica, dopo, è stato divertentissimo! Dritto per dritto e di corsa!