domenica 29 aprile 2012

Lago Vivo dalla Sorgente del Sambuco

Monte Petroso non si poteva guardare, la sua riserva integrale si difendeva dall’accesso della gente, spesso curiosa e distratta dalleindicazioni del Parco. Immaginavo la bellezza della Valle Cupella, così rocciosa e inaccessibile, così proibita e per questo bellissima.Spaccati dolomitici rievocavano gli sfasciumi di roccia di una natura selvaggia, quella terra era riservata agli orsi marsicani, ailupi appenninici e alle linci, ai camosci, ai cervi e ai caprioli. Noi non potevamo accedere a quella bellezza smisurata fatta di rocciae faggi secolari, ci era permesso solo di compiere un anello fino a Lago Vivo. Quella piccola depressione carsica si avvaleva dellabellezza di colori brillanti, il verde acceso delle alghe si esaltava del suo odore salmastro, così insolito a quella altitudine. L’acqualimpida in tutta la sua superficie lasciava trasparire un fondale variopinto di molteplici sfumature color erba, dove il cielo sispecchiava incrementandone ulteriormente la bellezza. I rospi gracidavano nascosti, mentre il bosco cantava della voce degliuccelli. Quell’enorme prato si rivestiva di frammenti di pietre bianchissime, tanto da impreziosire il suo manto proprio come fanno le stelle con la cava fonda della notte.

L'albero della Poesia

Nei pressi della Sorgente del Sambuco giacevano i resti di un vecchio salice sradicato, la sua mole possente si riversava esanime sulla giovane erba, tra i fiori di biancospino e laprimavera rinnovata. Questo albero portava il segno d’amore di una poesia affissa sulla sua corteccia, la sua memoria era importante e rispettata, tanto che tutti erano portati a chiamarlol’albero della poesia. (Inizio sentiero K6 del Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, che da i pressi del Lago di Barrea conduce al Lago Vivo).
Oh mio Mosè/ or quanta tristezza/ c’è in me.
Tu/ che tanta emozione/ e gioia/ donavi al cor mio/ come potrò darti l’addio/ e credere/ che il tuo sguardo/ non è più rivolto/ verso/ il buon Dio?
Lungo quella silente/ e panoramica via,/ la tua figura monumentale/ troneggiava/ con nobiltà/ e malia.
Con le braccia aperte,/ tanta pazienza/ di sapore antico/ e il calore leale/ di un vecchio amico,/ ci davi il benvenuto/ al regno forestale,/ e con eleganza/ ci ricordavi/ che nel Parco Nazionale,/ la flora/ è un bene speciale.
Tu/ che con il tuo/ atavico zelo/ hai visto:/ i Carbonari, i Borboni,/ i Garibaldini, i Briganti, le due guerre mondiali,/ il Camminaitalia tricolore/ e sopportato/ con ardore/ tutte le furie impetuose/ venute dal cielo,/ fa/ che le tue spoglie mortali/ ci scuotano la coscienza,/ entrino/ nei nostri tesori mentali/ e ci rendano riverenti/ verso/ la tua mortale presenza.
Nessuno/ ti potrà toccare/ ma ognuno/ ti dovrà venerare/ e della tua storia/ imparare/ per poi/ ai posteri raccontare./ Addio mio Mosè.
Barrea lì 21/03/2011

mercoledì 25 aprile 2012

Monte Ocre e Monte Cagno da Forcamiccia

Il freddo della notte aveva lastricato di ghiaccio la parte alta della montagna, lasciando correre il sentiero tra disegni di vetro ecespugli di calaverna. Tutti quei ghiaioni bianchi rimandavano al candore della neve, che con le sue lingue immobili maculavano lazona delle Settacque. La terra che si scopriva al sole vedeva la bellezza dei crochi che annunciavano la primavera, tuttoappariva nella transizione di passaggio, tra i prati rinverditi dal rigoglio della giovinezza e gli ultimi sentori della memoriadell’inverno. A breve tutto si sarebbe risvegliato, la terra sarebbe diventata calda e avrebbe incamerato il più possibile i raggi delsole, fino a fecondarsi del suo calore e della sua vita. La lunga cresta che collegava i rilievi di Monte Ocre e di Monte Cagnovedeva dinanzi a sé il profilo del Gran Sasso, tra i colori nitidi, così puliti dal vento, ed il gioco particolare di nuvole svaporate. Gliultimi accumuli di neve si arricciavano verso Nord, mentre la brina brillava ai raggi del sole e le zone d’ombra erano vetrificate.

domenica 22 aprile 2012

Monte Carpesco dai Piani di Fugno

Il maltempo oscurava le montagne più alte, tutte in balia dei venti e dei vorticosi spostamenti delle nuvole. Le tonalità del grigio facevano in qualche modo da cappa al cielo, e i colori perdevano la vitalità, come se si smorzassero nei toni e setacciassero la luce.I Piani di Fugno si vestivano di quel colore sordo, giusto il Lago di Filetto faceva da specchio al cielo aprendo un varco di luce. La strada che attraversava i Piani di Fugnetto vedeva delimitare con del filo spinato una vecchia zona militare, mille buchetrivellavano quel terreno, segno di passate esercitazioni belliche. Vedevamo dal valico la sezione frontale di Monte Carpesco, circa due o tre volte avevo provato a salirlo, ma ogni volta avevo rinunciato, ora per un motivo ora per un altro quasi semprelegato al maltempo. Eppure era una montagna bassa, di facile accesso. Monte Carpesco era la montagna dei lupi, la sua fitta vegetazione permetteva tane e ripari nei suoi anfratti, a dispetto degli avvallamenti brulli  e delle radure spoglie che vi eranointorno. Quel punto di vista si apriva su una delle zone meno frequentate del Gran Sasso, lo sguardo si inabissava nel panorama uniformato dal colore dorato dell’erba secca. Il vento fortissimo soffiava da tutti gli avvallamenti laterali, rendendoci pocopiacevole la salita, così, a pochi metri dalla cima, io e la mia amica decidevamo nuovamente di rinunciare, anche se la montagna era piccola e facile e non c’erano pericoli oggettivi. Mi rendevo conto che preferivo sempre di più rinunciare alle cime delle montagnequando queste non erano accoglienti, piuttosto che continuare e salirle ugualmente. Perché? Perché non ne trovavo il senso. Una montagna, anche se piccola e di facile accesso, era pur sempre una montagna, un qualcosa di immortale e superlativo al miocospetto, rinunciare a salirla mi faceva sentire riconoscente ad una natura meravigliosa che si componeva di tutto, dalle vette più alte alle collinette più basse. Lungo la via del ritorno una deviazione ci faceva scoprire alcune vecchie grotte scavate daipastori, profonde e con ingressi di pietra, la sorpresa ci ripagava della rinuncia: forse la montagna aveva accolto il nostro segno di rispetto e a sua volta ci aveva fatto un dono.

sabato 21 aprile 2012

L'anticima di Monte Miglio e Monte Mezzana

La bellezza di Anversa degli Abruzzi rimaneva inalterata tra le rocce a ridosso delle Gole del Sagittario. Eravamo tornati a percorrere il percorso della carriola che conduceva fino a PizzoMarcello, la montagna che 200 milioni di anni fa era una scogliera, prima del sollevamento della catena appenninica. Eravamo tornati sia per ammirare nuovamente la bellezza delParco Nazionale, sia per il desiderio di compiere un anello interessante su altre due montagne: Monte Miglio e Monte Mezzana. Il sentiero saliva tra gli sfasciumi delle rocce,insinuandosi a tratti in boscaglie più o meno aperte. Vedevamo la progressione della primavera, le lingue di neve si erano ritirate molto e le primule prendevano terreno all’ombra del sottobosco.Sotto il Monte Miglio si aprivano distese di prati verdissimi, collegavano la mente all’idea più bella della giovinezza, quando tutto nasce ingenuamente nel fiore della vita. Monte Miglio eMonte Mezzana si guardavano distanziate dalla valle di Bocca Mezzana e da altri rilievi minori, si distinguevano l’una dall’altra come due identità separate, ma contemporaneamente unite dauno scenario unico. Il vento soffiava spostando nubi cariche di chiaroscuri, in lontananza le pale eoliche erano tutte in movimento regalando il sogno di una visione felliniana. Ortonadei Marsi si scopriva come una roccaforte in cima alla sua piccola montagna, a vederla da lì era bellissima, raccolta nell’intimità e protetta delle sue due montagne madri. La Piana del Fucino siesaltava del riverbero della luce del sole, le diverse coltivazioni dei campi la facevano apparire composta da mille geometrie. Monte Mezzana si animava di un vento talmente forte damantenere l’aria perfettamente nitida: lo sguardo correva profondità lontanissime, giovando di una visibilità perfetta, in grado di far ammirare tante di quelle montagne da perderne il conto.

mercoledì 18 aprile 2012

Le sorgenti del Fiume Vera

Ci sono alcuni luoghi che nonostante siano facilmente accessibili riescono tuttavia a mantenere inalterate le loro caratteristiche di ambiente incontaminato, a trasmettere la loro energia, e a porre una sospensione allo scorrere del tempo. Le vie d’accesso dei paradisi semplici si nascondono nella quotidianità di strade e paesi, a voltebasta solo girare un angolo e scoprire qualcosa in grado di togliere il fiato perché capace di comunicare direttamente all’anima la meraviglia di cui si veste. La breve strada che conduceva alle Sorgenti del Vera mi era rimasta nel cuore, ricordavo i ranuncoli e il profumo dei fiori di caprifoglio, tra l’ombra refrigerata dall’acqua, ilsilenzio delle cartiere e le alghe filiformi mosse dalla leggera corrente. Quel breve sentiero si inabissava in una foresta di alberi completamente rivestiti dalle edere, il verde predisponeva tutto il suo potenziale, così impreziosito dal giallo del tarassaco. Cominciavano i farfaracci e cominciavano le ortiche, a breve tuttala vegetazione sarebbe salita un metro da terra, rendendo così ancor più prezioso quel piccolo sentiero. Ero felice nel constatare un recupero del luogo, avevano pulito il percorso e tolto alcune piante che si erano spaccate a ridosso del fiume, tutto appariva più armonioso e curato. All’ingresso del sentiero un cartelloesplicava tale intervento. C’è molta storia intorno al Fiume Vera, le sue acque hanno dato la vita a cartiere che hanno prodotto anche filigrana, gualchiere, rameria e soprattutto mulini. Le stesse acque hanno servito le lavandaie, i contadini. Qualcuno ancora ricorda il battere dei magli giorno e notte, lo stridoredelle macine dei mulini e il cicaleccio delle lavandaie. Ora il fiume scorre silenzioso, non ha molto da fare solo essere oggetto di osservazione dai naturalisti e di studio da parte dei ricercatori. La qualità dell’acqua è elevata così come la condizione di equilibrio ecologico, che permette laconservazione di un’area naturalistica di bellezza unica. Il progetto “Riserve in cammino” ha avuto l’obiettivo della conservazione e della riqualificazione dell’habitat. Gli interventi sono stati così identificati: conservazione patrimoniale: taglio della vegetazione ridondante della fascia golenale; sistemazionecon interventi di ingegneria naturalistica e di messa in sicurezza; realizzazione di cartellonistica informativa; eliminazione di detrattori del paesaggio; predisposizione per l’informatizzazione delle procedure di acquisizione e gestione dei dati naturalistico-ambientali. Il progetto è stato finanziato con fondi CIPE dellaProvincia dell’Aquila, cantierati dal Comune dell’Aquila, Settore Ambiente dall’11-9-2010 al 12-11-2010. Il contraente per la realizzazione dagli interventi è stata la Cooperativa ACF S.c.a.r.l. di Assergi. (Testo tratto da un cartello informativo del luogo affisso dalla Provincia dell’Aquila).