L’acqua
affiorava dalla terra assecondando gli avvallamenti e confluendo tutta nei vari
ingressi del Fiume Aniene. Quellesorgenti coprivano un’ampia zona del
territorio, una volta in superficie trovavano da sole il proprio tragitto in
direzione delmare, in direzione di quella agglomerazione materna da cui erano
attratte ancor prima di venire alla luce. I fossi si ammantavanodel grigio
delle pietre e del rossiccio delle foglie morte, ogni cosa appariva come un’estensione
d’ombra, evocatrice di una Naturaaffascinante. La parte alta della salita per
Monte Tarino si vincolava tra le mani dell’inverno, la neve si addossava ancora
sumolti rilievi circostanti, evidenziando profili nuovi e sconosciuti per me
che non ero mai stata sui Monti Simbruini. Il filo di crestamostrava le due
facce della primavera, ormai il calore del sole si era appropriato di molte
facce a Sud, scoprendo la terra e i timidiinneschi di vegetazione; mentre i
versanti a Nord trattenevano a fatica enormi cornici di neve. Tra le croci di
vetta correvano iprofili del Gran Sasso e di altre montagne, mentre
riconoscevo bene l’inconfondibile Piana del Fucino che, con la scomposizionegeometrica dei suoi colori, dava vita alla sua identità. Scendevamo da quel
crinale in direzione del Vallone di AcquaCorore, le foglie secche schiacciate
dall’ultima neve costituivano un suolo perfetto. Altre sorgenti del Fiume
Aniene prendevanovita sotto i nostri piedi, apparivano in silenzio e mano mano
prendevano voce nel lungo viaggio della loro esistenza.
sabato 13 aprile 2013
Anello di Monte Tarino
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