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La chiesa di Santa Maria di Centurelli
(sec. XV-XVIII) si erge lungo il tratturo L’Aquila-Foggia, denominato Mago o
del Re, nel punto in cui la strada si biforca nel ramo Centurelli-Montesecco.
Il complesso architettonico è un chiaro esempio di chiesa tratturale, qui si
fermavano i pastori con i loro greggi transumanti; il portico serviva da
ricovero per i pastori che
attraversavano l’attiguo tratturo, la presenza del
pozzo e del piccolo recinto dove veniva acceso il fuoco testimoniavano la sua
funzionalità. Sappiamo da un frammento di epigrafe romana, rinvenuto nel XVIII
secolo nei pressi della chiesa, che davanti alla chiesa passava l’antica via
Claudia Nova, importante arteria commerciale romana. Un luogo
straordinario
dunque, utilizzato già in epoca imperiale come area di culto, la presenza di
resti architettonici riferibili forse ad un tempietto di mt. 12x4 in opera
quadrata lo confermerebbe. Le vicende costruttive della chiesa si possono
riassumere in tre importanti fasi: la costruzione, l’aggiunta dei corpi
laterali ed infine gli interventi di restauro. 1502 Inizio dei lavori della
nuova chiesa di Santa Maria di
Centurelli. 1558 A tale epoca risale
il completamento del portale d’ingresso. 1561
La chiesa è terminata e i Monaci Celestini vi fanno apporre l’emblema del loro
ordine. 1570 Viene dipinta ad
affresco la nicchia sovrastante l’altare maggiore, a sinistra dell’arco
trionfale. 1581 Viene dipinta ad
affresco la nicchia sovrastante l’altare
maggiore, destra dell’arco trionfale. 1580-1703 In questi anni la chiesa
viene arricchita all’interno con cinque altari laterali e due tabernacoli
lignei per le reliquie (1644-1692). Vengono aggiunti due locali, a ridosso
della sagrestia e della cappella laterale destra per consentire ai fedeli di
assistere alle funzioni religiose e per essere utilizzati come ricovero in caso
di
maltempo. A protezione di essi viene innalzato il portico (1692-1703). 1703-1706 Gli eventi sismici che
colpirono l’Abruzzo provocarono gravi danni alla chiesa: crollo della parte
superiore della facciata, delle murature e della volta della prima campata. Novembre 1733 La chiesa è già stata
riparata, all’interno però gli altari risultano ancora in cattive condizioni in
quanto
spogli del loro corredo. Novembre
1823 Il Vescovo di Aquila Girolamo Manieri dispone che il tetto della
chiesa, essendo crollato, venga riparato immediatamente per evitare ulteriori
danni. 1832-1833 Il tetto viene
restaurato e riparato grazie alle elemosine raccolte e alle prestazioni di
volontari. Marzo 1877 L chiesa
risulta abbandonata, all’interno i corredi
degli altari sono stati depredati e
il pavimento versa in condizioni disastrose. Di fronte a tale stato il Vescovo
di L’Aquila Mons. L. Filippi raccomanda all’Abate di San Pio delle Camere e
all’Arciprete di Caporciano, sotto la cui giurisdizione si trova la chiesa, di
fare appello agli abitanti del circondario affinchè contribuiscano alle spese
di riparazione del tempio o altrimenti
di rivolgersi all’Economato Generale dei
Benefici di Napoli per avere sussidi. Maggio
1905 Il tetto ha di nuovo ceduto e grava sulle volte, il rischio è grande
in quanto queste potrebbero crollare. Il sindaco di San Pio delle Camere chiede
al Prefetto di intervenire per far restaurare la struttura perché può essere
pericoloso per coloro che vi si recano a pregare o per ripararsi
in caso di intemperie. I restauri non possono
essere eseguiti per mancanza di fondi a disposizione dell’intendenza. Luglio 1905 viste le cattive condizioni
in cui è ridotta la chiesa Sua Ecc. Mons. Carrano decide la sua interdizione. 13 gennaio 1915 L’Abruzzo è di nuovo
compito da un devastante sisma. Le forti scosse telluriche compromettono
l’edificio provocando l’apertura di
due gravi lesioni simmetriche nelle
murature della prima campata della chiesa aggravando inoltre il dissesto
dell’arcone centrale e delle volte. 1935
Gli eventi bellici contribuiscono a che la chiesa di Santa Maria di Centurelli
venga lasciata andare in rovina. Dal 1950
a tutt’oggi molteplici sono stati gli interventi di restauro e di consolidamento
a cui è stato sottoposto il bene al
fine di conservarlo come eloquente
testimonianza della storia del territorio e della cultura della transumanza. (Il testo riportato in corsivo è stato
interamente tratto da un cartello informativo del luogo, affisso dal Ministero
per i Beni e le Attività Culturali – SOPRINTENDENZA AI B.A.A.A.S. PER L’ABRUZZO).

Il Castello di
San Pio delle Camere sovrastava il piccolo abitato in pietra, raccolto e
silenzioso, dipanato in stretti vicoli comunicanti. Qualsiasi strada era buona
per raggiungere il
castello, che con la sua presenza imponente dava identità a
tutto il paese. Le vegetazioni selvatiche vivevano nel rigoglio dell’inizio
della primavera, le ginestre rinnovavano il verde addossandosi su
ogni cosa, e
riempiendo la parte interna del castello come un groviglio disteso e protetto. Decisamente staccato dall’attuale contesto
urbano, s’incontra, sul pronunciato declivio (Declivius
Cameratus) della
montagna, il castello-recinto di San Pio delle Camere, a pianta triangolare con
pianta rivolta a monte (puntone). Sono riconoscibili delle analogie d’impianto nelle
opere castellane di Roccacasale, Popoli, Barisciano. Non si hanno notizie sufficienti
per poter affermare se nel castello la popolazione trovasse accoglienza stabile
o abituale, o nei soli
casi di effettivo pericolo. La cinta muraria, in pietre
non squadrate, merlata e dotata di sporgenti torri rettangolari (per la difesa
con il tiro di fiancheggiamento), ben si adatta alla
pendenza del terreno con
la sua foggia a gradoni. Verso meridione manca una parte della cinta del lato
di base perché andata distrutta; per il resto si può dire che la costruzione è
ben
conservata. La murata della cinta, che ha avuto in tempo successivo una
sopraelevazione alquanto evidente, è chiaramente appoggiata a quella del
puntone, che è in sostanza
una precedente torre sopraelevata d’avvistamento
(ruolo di mastio), dotata di scarpa, di scarse e corte feritoie, di un ingresso
arcuato munito di mensole, situato sul lato a valle
all’interno del recinto. L’intero
complesso è di origine tardo medioevale, potendosi far risalire ai secoli XIII
e XIV. Ne fu feudatario il principe Caracciolo di Napoli; subì l’assalto e la
conseguente distruzione da parte di Braccio da Montone. (Il testo riportato
in corsivo è stato tratto da un cartello informativo del luogo, affisso dalla
Comunità Montana Campo Imperatore
Piana di Navelli). Tra lecci, pini neri e
roverelle, la vegetazione si infoltiva al di sopra del castello, serrando tutti
i passaggi e amplificando la percezione più profonda del bosco. In quel
groviglio intricato i movimenti si limitavano e i suoni (o i silenzi) apparivano con altre
vesti. Un sentiero marcato ripristinava la sua natura accogliente, non portando
altre difficoltà al
raggiungimento del rilievo di Monte Gentile. Quella
montagna modesta lasciava scoprire visuali affascinanti e prospettive superbe, dal
Gran Sasso alla Majella, lo sguardo seguiva il profilo
di orizzonti sporgenti, schiariti
dalla mano umida dello Scirocco. Sulla via del ritorno, completamente avvolta di
rovi selvatici e ginestre, la Chiesa di Sant’Antonio da Padova, segnava la sua
presenza quasi in maniera anonima dal bordo della strada. Le decorazioni scolpite
in pietra sul portone tradivano la sua natura fatiscente: quella struttura un
tempo era evidentemente
importante. L’interno, inaccogliente e repulsivo, si riempiva
dei frantumi del tetto completamente sfondato, due aperture indicavano
eventuali ossari ed ogni aspetto martoriato dalla
mano stupida dei vandali
conferiva ulteriore disagio. Quello spazio sembrava maledetto. Una data incisa
nel marmo riportava in numeri romani la data 1657.

Un sentiero
anonimo attraversava il territorio del querceto sopra Preturo, perdendosi nel
fitto intrico di arbusti selvatici; tutto si
chiudeva in passaggi serrati, e si
lasciava proteggere dalle spine dei ginepri e dei prugnoli. Dell’antico
castello di Preturo ne
rimanevano appena pochi sassi: la vegetazione aveva inglobato
a sé quello che l’uomo secoli addietro le aveva tolto, lasciando solo
polvere e
qualche pietra, affini più all’idea di possibili terrazzamenti che fondamenta di
castelli. Nel XIII secolo il
Castello di Preturo contribuì alla fondazione
della città dell’Aquila, ricevendo dei
locali nel quarto di San Pietro. In
paese, la Chiesa di San Pietro a
Preturo era stata recentemente ristrutturata, la bellezza dei suoi affreschi finalmente
si esaltava di
colori rinnovati. La sua origine risaliva circa al 1170, attraversando
secoli e profonde ristrutturazioni, ma nonostante
questo tutelata sempre dai
suoi abitanti, che in ogni tempo ne custodivano la bellezza romanica. L’antica Amiternum riviveva
incisa nei frammenti
lapidei utilizzati per costruire la chiesa, la sua importanza giungeva ai nostri giorni ormai quasi
inosservata, eppure immortale nei solchi della pietra.

Le nuvole si scandivano
sotto il cielo di marzo, trovando nella sua volta profonda il giusto ritmo di
prospettive lontane. Il sole andava e veniva in quel gioco nervoso del vento,
copriva e scopriva lande desolate e distese coltivate, visibili perfettamente
grazie ad un’aria pulita dalle varie umidità. Salivamo da Roccapreturo, alla
ricerca della chiesa di Sant’Erasmo,
approfittando della strada che comodamente
correva sulla montagna. I prati superiori venivano lambiti dal vento, mentre l’erba
dei pascoli viveva nel verde rinnovo della stagione più dolce. La chiesa
di Sant’Erasmo giaceva in quella quiete solitaria, la sua bellezza veniva
rispettata dagli uomini, che la tenevano aperta e pulita, confidata nel buon
senso di chi andava a visitarla.
Al suo interno un piccolo foglio incorniciato,
sotto la statua del santo, dava alcune informazioni sulla sua storia, che riporto
di seguito in corsivo. La prima domenica
di giugno molti pellegrini raggiungono il santuario di S. Erasmo, posto circa
1300 metri sul monte Offermo. In particolare
dai due centri di Beffi e Succiano partono due processioni che prendono
il via
rispettivamente dalla chiesa di S. Giovanni e di S. Michele Arcangelo.
Raggiunta la chiesetta viene officiata una messa dai sacerdoti delle rispettive
frazioni. Durante la messa viene narrata la vita di Sant’Erasmo o ELMO vescovo
di Formia. Si narra che S. Erasmo venne martirizzato una prima volta durante il
regno di Diocleziano (284-305); sottoposto a flagellazione con
fruste
appesantite di piombo, coperto di resina, di cera, di piombo fuso e di olio
bollente, non morì. Torturato di nuovo per ordine di Massimino nel 303 venne
ucciso infine sventrato. Poiché le sue viscere furono avvolte su un verricello,
viene invocato per il male alla pancia. Patrono dei marinai, il suo nome è
legato ai cosidetti “fuochi di Sant’Elmo”,
quelle
fiammelle che a volte appaiono sulle estremità degli alberi delle navi.
Successivamente vengono offerti i pani benedetti che, secondo la tradizione,
hanno la capacità di proteggere le persone dalle malattie del ventre e le
colture agricole dalla grandine. Completati i riti sacri i pellegrini si
fermano per la colazione, raggruppandosi per provenienza, e poi fanno ritorno
in paese per la prosecuzione dei festeggiamenti in onore del santo. Realizzato
da ENRICO GIANCARLI per il nostro protettore S.Erasmo. P.S. Ricorda di tutti
noi ma soprattutto dai aiuto e conforto alla famiglia di Andrea il quale ha
donato la sua vita per domare le fiamme. (Testo interamente tratto da un
foglio informativo situato all’interno della Chiesa di Sant’Erasmo di
Monte
Offermo). Il nostro passaggio veniva osservato da un gruppo di mucche al
pascolo, ci scrutavano annoiate e libere, pacate nella loro natura tranquilla. Alcune
stazionavano sui rilievi più alti, incuranti del vento che accelerava il suo
passo nelle parti sommitali. Nonostante la sua altezza modesta di 1303 metri, Monte
Offermo godeva di un’ampia panoramicità, la vista
non solo si appagava della
mole maestosa del Sirente, ma era anche in grado di scorgere il Gran Sasso e la
Majella, senza tralasciare alcuni scorci della valle Subequana. Ad Ovest della
montagna, un’altra costruzione riguardava il culto del Santo, era la “cunetta”
o “cunicella” di Sant’Erasmo, una piccola costruzione aperta che mostrava all’interno
della sua volta a botte un quadro
raffigurante il Santo nel momento del suo
martirio. La processione penitenziale di
Sant’Erasmo. Un tema ricorrente della cosidetta mentalità popolare è la
rivendicazione da parte di contrapposte comunità del possesso di reliquie o
statue considerate autentiche. È questo il casi di S. Erasmo a Succiano e
Beffi, località che da secoli rinnovano tale “contrapposizione” nel
tributare la
prima domenica di giugno una festa in onore al vescovo di Formia, che prevede
un pellegrinaggio penitenziale ripercorrendo i luoghi mitici del passaggio del
santo in quelle contrade. Così due distinte processioni muovono rispettivamente
dalla chiesa di S. Giovanni a Succiano e da quella di San Michele Arcangelo a
Beffi in direzione della “cunicella” di S. Erasmo posta
a quota 1160 metri (il
diritto di priorità nell’andamento del corteo è tradizionalmente assegnato a
Beffi). Dopo una breve sosta per la benedizione rituale, si prosegue
oltrepassando i “calmi” di S. Erasmo e le “impronte miracolose” lasciate, come
vuole il racconto leggendario, dal Santo inginocchiatosi su una pietra.
Raggiunta la cima del Monte Offermo (1303 m) si
ridiscende in direzione del
santuario-rifugio, dove i fedeli partecipano ad una funzione religiosa che vede
coinvolti altri devoti provenienti dai centri circonvicini. Nel sagrato della
chiesetta viene consumato, in maniera separata dalla comunità di Succiano e
Beffi, il pranzo che comprende i “panicelli” di Sant’Erasmo i quali, secondo la
tradizione, preservano da
malattie dell’intestino ed allontanano la grandine. (Il
testo riportato in corsivo è stato scritto da Massimo Santilli e citato dal
libro “Parco Regionale Sirente-Velino, guida turistica” Edizioni Amaltea).
