Il Castello di
San Pio delle Camere sovrastava il piccolo abitato in pietra, raccolto e
silenzioso, dipanato in stretti vicoli comunicanti. Qualsiasi strada era buona
per raggiungere ilcastello, che con la sua presenza imponente dava identità a
tutto il paese. Le vegetazioni selvatiche vivevano nel rigoglio dell’inizio
della primavera, le ginestre rinnovavano il verde addossandosi suogni cosa, e
riempiendo la parte interna del castello come un groviglio disteso e protetto. Decisamente staccato dall’attuale contesto
urbano, s’incontra, sul pronunciato declivio (DecliviusCameratus) della
montagna, il castello-recinto di San Pio delle Camere, a pianta triangolare con
pianta rivolta a monte (puntone). Sono riconoscibili delle analogie d’impianto nelleopere castellane di Roccacasale, Popoli, Barisciano. Non si hanno notizie sufficienti
per poter affermare se nel castello la popolazione trovasse accoglienza stabile
o abituale, o nei solicasi di effettivo pericolo. La cinta muraria, in pietre
non squadrate, merlata e dotata di sporgenti torri rettangolari (per la difesa
con il tiro di fiancheggiamento), ben si adatta allapendenza del terreno con
la sua foggia a gradoni. Verso meridione manca una parte della cinta del lato
di base perché andata distrutta; per il resto si può dire che la costruzione è
benconservata. La murata della cinta, che ha avuto in tempo successivo una
sopraelevazione alquanto evidente, è chiaramente appoggiata a quella del
puntone, che è in sostanzauna precedente torre sopraelevata d’avvistamento
(ruolo di mastio), dotata di scarpa, di scarse e corte feritoie, di un ingresso
arcuato munito di mensole, situato sul lato a valleall’interno del recinto. L’intero
complesso è di origine tardo medioevale, potendosi far risalire ai secoli XIII
e XIV. Ne fu feudatario il principe Caracciolo di Napoli; subì l’assalto e laconseguente distruzione da parte di Braccio da Montone. (Il testo riportato
in corsivo è stato tratto da un cartello informativo del luogo, affisso dalla
Comunità Montana Campo ImperatorePiana di Navelli). Tra lecci, pini neri e
roverelle, la vegetazione si infoltiva al di sopra del castello, serrando tutti
i passaggi e amplificando la percezione più profonda del bosco. In quelgroviglio intricato i movimenti si limitavano e i suoni (o i silenzi) apparivano con altre
vesti. Un sentiero marcato ripristinava la sua natura accogliente, non portando
altre difficoltà alraggiungimento del rilievo di Monte Gentile. Quella
montagna modesta lasciava scoprire visuali affascinanti e prospettive superbe, dal
Gran Sasso alla Majella, lo sguardo seguiva il profilodi orizzonti sporgenti, schiariti
dalla mano umida dello Scirocco. Sulla via del ritorno, completamente avvolta di
rovi selvatici e ginestre, la Chiesa di Sant’Antonio da Padova, segnava la suapresenza quasi in maniera anonima dal bordo della strada. Le decorazioni scolpite
in pietra sul portone tradivano la sua natura fatiscente: quella struttura un
tempo era evidentementeimportante. L’interno, inaccogliente e repulsivo, si riempiva
dei frantumi del tetto completamente sfondato, due aperture indicavano
eventuali ossari ed ogni aspetto martoriato dallamano stupida dei vandali
conferiva ulteriore disagio. Quello spazio sembrava maledetto. Una data incisa
nel marmo riportava in numeri romani la data 1657.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento