Sulla
cresta di Monte Orsello ammiravamo l’estensione delle ombre della sera. La notte
mangiava i rilievi più bassi, per farspazio a quello che sarebbe stato il
buio. Guardavamo dall’alto il fitto dei boschi che si copriva sotto quel manto
definito, come unacoperta in grado di portare con sé il riposo, e amalgamare i
colori in un’unica tonalità. I Centomonti della Piana di Campo Felice siaccendevano d’oro sotto lo spettro finale del sole, parevano come dune di
deserto, nonostante immobili, animate soltanto dalmovimento lento dell’ombra. Da
lì a poco tutto si sarebbe adagiato nella notte, i cavalli si spostavano
lentamente allaricerca di ripari di fortuna, mentre i pascoli venivano
raccolti sotto gli occhi vigili dei cani pastore.
La
Meta teneva la testa di tutto il gruppo delle Mainarde, segnando il triplice
confine tra Abruzzo, Lazio e Molise. Ilversante laziale trovava il varco di
accesso a seguito del paese Picinisco: una lunga strada ricca di tornanti a
gomito saliva indirezione della montagna, mostrando in ripida progressione la
bellezza della Ciociaria. Ai confini del Parco Nazionale d’Abruzzo,Lazio e
Molise trovavamo l’essenza della sua natura selvaggia, il sentiero, dapprima
nel bosco, si schiariva nelle alture superiori,aperte e sassose, stemperate
dal candore delle pietra. Le vallate si amplificavano mostrando scorci severi,
spogli e impervi, in unsusseguirsi di doline che ne movimentavano la
superficie. Monte La Meta si innalzava dal Passo dei Monaci con la sua maestosapredominanza, e rivelava su di sé branchi indisturbati di camosci. Sulla linea
di cresta lo sguardo si apriva anche sul versanteabruzzese, lasciando scoprire
la Val Pagana e i Biscurri, dove erano ancora percepibili i resti di un antico
Blockhaus, un fortinoin pietra utilizzato nell’Ottocento dai soldati piemontesi
nella lotta contro brigantaggio abruzzese, secondo d’importanza solo aquello
della Majella. Lo sguardo si apriva sulla riserva integrale di Monte Petroso,
in un gioco di chiaroscuro di nuvole talmentebello da metterlo in risalto,
così come con tutte le altre montagne del Parco.
Finalmente
tornavano le mie montagne, il verde intenso dei boschi impenetrabili e l’aria
fresca degli anticipi d’autunno.Settembre portava con sé la quiete di
visibilità lontane, i contrasti definiti delle nuvole, e l’amore conclusosi nei
frutti della terra.Quella che per molti era una stagione malinconica, per me
rappresentava la condizione perfetta per l’ammirazione deicolori. Da Serra
Sparvera ammiravamo un anfiteatro di montagne: dalla lunga linea di cresta del
Parco Nazionale, losguardo saltava di cima in cima a toccare le vette di Monte
Genzana, Monte Greco, Monte Pratello, ed un susseguirsi di rilievipiù o meno
conosciuti, caratterizzati da versanti selvaggi ed isolati. Scoprivamo un nuovo
punto di vista sull’altopiano delleCinque Miglia, il Lago di Scanno e, con
attenzione, anche il Lago Pantaniello nella Valle di Chiarano. Ovunque si
manteneva ancorala bellezza vellutata dei prati, beneficiati dalle tante
piogge dell’estate, ancora distinti da un verde intenso. Ci immergevamonella
valle di Jovana, dove c’era un piccolo nucleo di case, tra le quali un
agriturismo a conduzione familiare, dove poter mangiaree dormire, separato dal
paese da almeno cinque chilometri di strada sterrata. In questo luogo così isolato
l’orso marsicano era solito venire a curiosare.
Agriturismo
Jovana – Località Jovana Comune di Scanno 67038 (AQ) – 0864 74657 – info@jovana.it
Una
lunga scalinata saliva l’unico rilievo dell’isola, la cui cima era cinta dal
Castello di Favignana. Sul fare della sera l’ombra della montagna inghiottiva
il piccolo paese di mare, si accendevano i primi lumi dei lampioni mentre il
silenzio si perdeva all’orizzonte.Tra i rovi e gli arbusti mediterranei
giaceva per terra un vecchio cartello arrugginito che indicava la località come
zona militare, anche gli abitanti del posto ne sconsigliavano l’accesso segnalando
il castello come pericolante, ma nulla era in grado difermare la curiosità di
chi approdava nell’isola. Quasi tutti rendevano omaggio a quella piccola terra
ferma, salutando il tramonto dal suo punto più alto. La gente abitava per pochi
momenti quella vecchia fortezza spalancata, perdendosi tra scalee sale
offuscate, vecchi oggetti arrugginiti e mura deteriorate. C’era chi saliva e
chi scendeva, quell’ambiente pareva animarsi dell’ombra delle persone, che con
i loro passaggi veloci non si lasciavano individuare. Un’enorme antenna radar era
ormaiferma da molti anni. (…) Ma
purtroppo quel che si perde è la visione da vicino del superbo edificio e
soprattutto di quanto resta delle cupe celle in cui furono rinchiusi alcuni dei
più gloriosi eroi del Risorgimento. Il Forte venne edificato su unapreesistente torre di avvistamento saracena (IX secolo) da Ruggero Il il
Normanno nel XII secolo e quindi ampliato come quello di S. Giacomo nel 1498 da
Andrea Rizzo, signore di Favignana, contro gli attacchi corsari. Nel 1655 esso
fuulteriormente fortificato dagli Aragonesi. Il suo triste destino di carcere
ebbe inizio nel 1794, quando i Borboni cominciarono ad inviarvi i patrioti dei
vari moti insurrezionali in condizioni di prigionia a dir poco inumane. Dopo lo
sbarco di Garibaldi aMarsala, nel 1860, la folla che liberò gli ultimi infelici
qui rinchiusi devastò nella sua furia l'interno delle celle e ogni cosa che
potesse ricordare tanta ingiustizia. Ma la struttura dell'edificio rimase in
piedi e venne trasformata in semaforo; poianche questo andò in disuso poiché
spesso il picco montuoso è avvolto dalle nuvole ed è invisibile ai naviganti
proprio quando servirebbe di piu. Il Forte S. Caterina avrebbe potuto ora
servire alla riflessione degli italiani, ma pare che qualcosa si oppongaad una
sua destinazione di pace. (…). (Il testo riportato in corsivo è stato tratto
dal sito www.favignana.com, dove in questa pagina è riportato l’articolo
integrale).
Gli
occhi dei pescatori sono profondi come il mare, nascondono un infinito azzurro
di nobile gentilezza, raggiunta con il lavoro e lafatica e il continuo
confronto con l’elemento liquido del mondo. Le anime buone si riconoscono in
mezzo a centomila, anche se inapparenza rimangono diffidenti perché nei porti
di mare non ci si può affezionare. Grazie ad Enzo, un pescatore di Favignana,avevamo conosciuto alcune delle prospettive più belle dell’isola: Cala Rossa
vista dal mare lasciava leggere tutte le sue cave dicalcarenite, mentre Cala
Rotonda si proteggeva dai venti avvolta dall’anfiteatro dei suoi scogli. L’acqua
limpidissima libera dallaposeidonia lasciava proiettare perfettamente l’ombra
della barca sul fondale, mentre banchi di occhiate ci giravano attorno comese
fossero impegnate nel gioco di una danza. Miriam – Gite in barca a Favignana (Isole
Egadi) arcipelagomiriam@gmail.com
La
bellezza di Marettimo stava nella sua particolare conformazione: si innalzava
come una piccola montagna direttamente sul mare, come a volerne marcare l’archetipo.Esposta più a Ovest di tutte le Isole Egadi si estendeva verso l’oblio del
Mediterraneo: oltre di essa centinaia di chilometri la separavano dalla terra
ferma. Secondo molti Marettimoidentificava Itaca, la patria di Ulisse, il
luogo chiave dove la vita trovava il suo senso, dove il viaggio era la
soluzione terrena del passaggio fugace dell’uomo, perché senza un luogo dove
tornarenessun viaggio trovava il senso del partire. Il vento lambiva le coste
selvagge di Marettimo, percorrendo percorsi esposti a strapiombo sul mare, Penelope
gli raccontava tutte le sue pene,sotto la triste attesa che mirava all’orizzonte,
mentre il castello di Punta Troia si innalzava come una certezza, con la
bellezza di chi l’aveva edificata. Da quei baluardi inespugnabili avevamo difronte la traiettoria delle Baleari, il mondo giaceva al di sotto del livello
del mare, al di sotto della sconosciuta inquietudine dell’oblio. Più in alto, a
vedetta dell’isola, tra i resti delle CaseRomane, vi era una piccola Chiesa Bizantina,
che, con il suo chiaro stile di richiamo orientale, lasciava ipotizzare la sua nascita
intorno all’XI secolo, per probabile opera dei monaci dirito bizantino. Marettimo
era senza dubbio la più bella delle Isole Egadi, perché era in grado di
mantenere ancora integra la sua autenticità.