Lungo il versante Nord-Est del massiccio del Sirente si snoda un’antica mulattiera che per secoli è stata calcata dai tagliatori di ghiaccio di Secinaro per raggiungere la Neviera. Questa depressione esposta a Nord permetteva di conservare la neve fino ad un inoltrato periodo estivo, costituendo così un’ottima dispensa di ghiaccio, bene che in passato aveva un valore molto pregiato. I nevaroli salivano dal paese fin lassù, prendevano il ghiaccio e lo tagliavano in blocchi, poi lo disponevano dentro delle gerle di vimini isolandolo con foglie secche e, aiutati dai muli, lo trasportavano a valle, dove in seguito lo commerciavano in paese. Erano riusciti a trovare un’ottima soluzione di isolamento termico utilizzando la paglia e il fieno, così buona da consentirgli addirittura di vendere il ghiaccio nel Lazio e nelle Puglie! (Chissà quanto costava allora un gelato…). Il periodo in questione va dal ‘500 ai primi del ‘900, fino a quando questa attività fu soppiantata dalla produzione del ghiaccio industriale. La Neviera non è solo un’oggettiva dispensa di ghiaccio, ma una soggettiva custode del freddo. Sapere che, a prescindere da tutto e tutti, è in grado di mantenere nel suo grembo la neve, ha fatto innescare in me il desiderio di riverenza e di pellegrinaggio. È per questo che volevo tanto andarci, e poi la neve mi mancava tanto. Il sentiero per raggiungere questo circo glaciale è una deviazione di quello che da Fonte all’Acqua (1156 m) sale sulla vetta del Sirente (2348 m), passando per la Valle Lupara. Tale deviazione purtroppo non è molto visibile, e poi buona parte della zona è stata interessata da una slavina che ha buttato giù diversi alberi, proprio a ridosso del sentiero. Con calma e GPS abbiamo ritrovato la traccia, intorno ad una quota di 1700 m. L’ombra fredda del mattino vestiva di rigore il secolare bosco di faggi. Mano mano che salivamo il nostro silenzio era fatto solo del rumore dei rami e delle foglie che calpestavamo, nessuno parlava, solo il sottobosco. Il grosso canale ghiaioso della Neviera si era aperto prominente ai nostri occhi appena usciti dalla faggeta. Ero molto delusa perché la neve non c’era. Quelle gigantesche pareti di roccia si alzavano maestose e ripide sopra le nostre teste, tanto da farmi sentire piccola e assoggettata da tutto quello spettacolo. Erano scure e friabili, accostate solo dai corvi che vi dimoravano. Volevo andarmene. Raggiunta la parte sommitale della Neviera (circa 2000 m) la neve è apparsa come un regalo, inserrata tra le rocce che la custodivano gelosamente. Anche se sporca e trasformata era comunque luminosa e bellissima: era l’anima di quel posto, il cuore, il suo centro energetico da proteggere. La Neviera senza neve sarebbe stata solo passato. Vedere che nonostante lo scorrere del tempo tutto questo resisteva, non so per quale motivo, inconsciamente mi consolava. Era la stessa sensazione di quando si torna nei posti in cui si è stati da bambini: il difficile confronto tra la memoria e l’attuale spazio-tempo. Ero felice di averla trovata. Evitando – meno male – qualsiasi tentativo di arrampicata libera per raggiungere la cresta (Monte Corvo docet) siamo tornati indietro a riprendere il percorso segnato, quello che sale sulla vetta del Sirente passando per la Valle Lupara. Questo è senza dubbio il percorso più bello per raggiungere la cima, vario e panoramico, meraviglioso ed esposto. Una volta su, il lato morbido del Sirente ci ha accolto con i suoi punti di fuga che correvano flessuosamente a valle. Dopo una breve pausa siamo riscesi passando per la Valle Inserrata, comunemente conosciuta come Canale Maiori, facendo attenzione a seguire alcune tracce per evitare di deturpare il maestoso ghiaione. Ho cercato qualche informazione a riguardo di questo doppio nome, e la supposizione più logica me l’ha fornita un esperto conoscitore del territorio: è probabile che Maiori sia l’evoluzione linguistica di Majore (maggiore), nome riportato in alcune mappe cartografiche, e la Valle Inserrata è senza dubbio il canale più grande del Sirente. Nulla di certo, ma è probabile che sia proprio questa l’origine. Secondo i dati del GPS abbiamo percorso 16,4 km, compiendo un dislivello in salita di 1543 m, e impiegando 5h 32' in movimento.
giovedì 16 settembre 2010
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