L’inghiottitoio di Palarzano era ormai ostruito da molti
anni per mano dell’uomo, chissà quale sistema carsico si animava sotto quel
tappo dicemento, quali meraviglie intatte da indagare e sconosciute, mai
rilevate e misteriose. La leggenda portava il detto de “l’acqua cascinesedolce era e amara misi fece” parole della moglie
di un pastore di Antrodoco, che abituata a raccogliere a valle le pecore rubate
dalmarito e buttate nello gnottetùru
un giorno raccolse i resti del marito stesso, morto ammazzato come condanna per
quei furti. Tra laleggenda e la realtà chissà quali percorsi c’erano nel
sottosuolo, chissà se davvero compivano un tragitto sotterraneo che da Cascina
giungevafino ad Antrodoco, a noi rimaneva solo la vista superficiale di
altipiani rasserenanti, definiti dalla geometria delle coltivazioni, dai
recinti e daipochi casolari sparsi. Sulla cresta della Pacima vi erano i
ruderi del Castello di Cascina, risalenti al XII secolo. Quell’antico castello
era natoanticamente come un insediamento rurale poi incastellato, e partecipò
alla fondazione della città dell’Aquila; il suo abbandono fu abbastanzaprecoce, tanto che all’inizio del XIV secolo se ne attestava già una natura
diruta. Rimanevano spesse mura di pietra con varchi di finestre,cumuli di sassi
rivestiti di muschi, ed arbusti solitari a dimorarvi. La vista spaziava sulla
bellezza di entrambi gli altipiani, dove mucche ecavalli si percepivano come
punti di presenze lontane.
domenica 28 gennaio 2018
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